«Disertiamo». «Agitatevi». «La guerra è la più difesa forma di terrorismo». Queste sono solo alcune delle frasi che si ripetono lungo le pareti e i pavimenti di Contro la guerra. Sguardi e immaginari, la mostra di Emergency a cura di Cheap, il collettivo di arte pubblica «con uno sguardo non obiettivo», nato a Bologna nel 2013, visitabile gratuitamente al Palazzo Esposizioni di Roma, Sala Fontana, fino al prossimo 29 giugno.

«Una mostra dal titolo secco che invita a rompere il silenzio assordante intorno a una dimensione oscena del contemporaneo che richiama la responsabilità di tutti. Non solo dei governi. Perché si tratta di una scelta individuale di tutti noi», dice l’assessore alla Cultura di Roma Capitale Massimiliano Smeriglio per inaugurare, subito dopo l’intervento del fotografo, editore e curatore Marco Delogu, il percorso immersivo ideato da Emergency e Cheap che permette ai visitatori di entrare, in modo intimo ma non voyeristico, nelle storie delle vittime di guerra, così come nella resistenza di chi si oppone, praticando la disobbedienza civile, protestando pubblicamente, rivendicando il disarmo e la solidarietà.

E curando le ferite degli altri, come l’ong fondata da Gino Strada fa dal 1994, attraverso la medicina come strumento di pace.

«Ma la guerra non è solo una ferita fisica. È un dibattito intossicato durante il quale non si riesce più a parlare, è razzismo perché va alla ricerca del nemico. È nazionalismo, è patriarcato. E non ha niente a che vedere con gli ideali di sostenibilità ambientale e sociale su cui abbiamo lavorato tanti anni», dice ancora Smeriglio per spiegare perché l’assessorato alla Cultura di Roma Capitale insieme all’azienda speciale Palaexpo si sono fatti promotori dell’esibizione che, senza mezzi termini, ripudia la guerra e invita anche gli altri a farlo.

«La guerra, come ha sempre sostenuto Gino Strada, va abolita perché è uno strumento primitivo che non funziona. E che mette a rischio l’umanità», ricorda, decisa, Simonetta Gola, responsabile della comunicazione Emergency, dopo aver descritto – convinta che il lavoro culturale sia una parte fondamentale dell’attività da svolgere contro la guerra – le immagini e i poster che compongono la mostra: sui muri, alle grandi fotografie in bianco e nero, tratte dall’archivio storico dell’ong, che mostrano l’attività di cura di Emergency, dall’Afghanistan all’Iraq, si alternano i poster di Cheap, provenienti da alcuni degli interventi realizzati dal collettivo negli ultimi anni.

Mentre al centro della sala, un box ripara dagli sguardi superficiali le immagini più crude: fotografie di persone e dei loro corpi sopraffatti dalla violenza, visibili solo attraverso le feritoie che tagliano la parete bianca, a chi sceglie di guardare.

«Oggi sono più di 54 i conflitti nel mondo. Alcuni sono sui giornali, altri no. Alcuni sono più terrificanti di altri. Ma i numeri che conosciamo sulle guerre non descrivono la realtà. Perché per ogni per vittima diretta, ci sono da 3 a 15 altre vittime coinvolte indirettamente. Questi sono i dati reali che dobbiamo tenere a mente quando crediamo che, visto che è lontana e non temiamo le sue conseguenze, la guerra sia inevitabile», chiarisce ancora Gola prima di lasciare il microfono a Sara Manfredi di Cheap. Che spiega come visualizzare per mesi le foto di Emergency, per selezionarle, non sia stato semplice, perché sono immagini che raccontano di distruzione e morte.

Ma anche che mostrano un panorama umano enorme, fatto di gesti di cura: «Per testimoniare che il diritto alla salute è un diritto di tutti. Perché così funzionano i diritti, devono essere di tutti, altrimenti sarebbero privilegi. Privilegi come il nostro che siamo qui a immaginare come potrebbe essere mondo senza guerre. Mentre chi è a Gaza non può farlo».

Per questo, per Manfredi, è importante spendere questo beneficio per la Palestina, per il disarmo, per fermare le transazioni di armi: «Per chiedere quello che chiedeva Strada: che guerra venga abolita».

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