Ebbene sì, come leggerete oggi stesso sul sito di Domani e sabato in edicola, anch’io questa settimana mi sono messo a ragionare e scrivere di presidenza della Repubblica e (anche se di striscio soltanto) di Sanremo. Ma l’ho fatto attraverso una cosa da maschi un po’ anomala: le chiavi.

Prima però di dare qualche spiegazione, e di mostrare la strepitosa illustrazione regalataci da Didier Falzone, vorrei subito dare il benvenuto in questa rubrica e in questa newsletter a Eugenio Refini, italianista dal multiforme ingegno della New York University (ora in prestito all’American Academy in Rome) che si occupa con eguale acume d’immagini, poesia, teatro e musica.

A queste ultime due arti si dedica il suo pezzo, che trovate qui su Domani. Per scriverlo, Eugenio è andato a vedere e ad ascoltare I Capuleti e i Montecchi alla Scala, opera di Vincenzo Bellini diretta da Speranza Scappucci (prima donna a dirigere in quel teatro!) in cui la maschilità fa giravolte meravigliose da tre secoli.

Le righe divertenti e leggere, profonde e colte che ci regala Eugenio dopo questa trasferta milanese sono un piacere assoluto, e non solo perché partono da un caleidoscopio di “Romei” trans-storici e trans-media – dal gatto coatto degli Aristogatti a Leonardo DiCaprio ragazzino, da Zeffirelli a Shakespeare in Love.

Ciò che incanta è l’affabile chiarezza con cui Eugenio, che di opera ne sa a bizzeffe, è capace di invitare chi legge dentro a questioni di storia e tecnica musicale, a idee registiche e tradizioni teatrali, a fatti importanti di performance e gender (per usare due belle parole inglesi difficili da tradurre): «in teatro il genere che conta (se e quando conta) non è quello dell’interprete, ma quello costruito dall’interprete, con la voce e con il corpo, per il personaggio».

È la prima volta che in Cose da Maschi compaiono castrati, contralti che interpretano personaggi maschili, travestitismi elisabettiani, direttori e direttrici d’orchestra. Sono dunque assai grato a Eugenio, che è esattamente il tipo di amico tanto colto quanto simpatico da cui uno si vorrebbe far raccontare ogni possibile recita, spettacolo, concerto e opera di qualsiasi stagione.

Ecco, proprio di amici in realtà si parla nel mio pezzo sulle chiavi che ho annunciato: di amicizia maschile. Giacché Pier delle Vigne, che come Pietro (suo quasi omonimo) di chiavi ne aveva due, le usava per sintonizzarsi sul cuore dell’imperatore, Federico II di Svevia, come in una bromance medievale di reciproco supporto e influenza.

Nel pezzo, che trovate cliccando qui, parto da una questione un po’ da pensiero intrusivo delle tre di notte: il presidente della Repubblica (o, d’altronde, l’imperatore) ce l’hanno un mazzo di chiavi? E perché associamo le chiavi al potere, al controllo, a un fallico possesso se poi i più potenti, in realtà, non le portano con sé, le affidano ad altri, se ne liberano quando vengono incoronati o giurano fedeltà alla Repubblica?

Tra Frank Underwood e Andreotti, gli scatoloni di Mattarella e Il portiere di notte di Liliana Cavani ho cercato di rispondere a queste domande, e come al solito me ne sono semmai venute in mente altre.

Sono deliziato dall’illustrazione a collage che, per la seconda settimana di seguito, Didier Falzone ha regalato a Cose da maschi, cogliendo di nuovo in dettagli finissimi l’iconologia sacra e profana, pop e canonica dell’oggetto della settimana. Pietro/Pier portiere (di notte) con due chiavi, in paradiso ma con la bretella sgargiante, è davvero un armonioso ircocervo del maschio con chiavi che ho cercato di tenere insieme scrivendo l’articolo.

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