In macchina ascolto la radio pubblica, una specie di Radio3 americana. Le onde, da una decina di giorni, sono dominate dalla decisione della Corte suprema sulla validità costituzionale, a livello federale, del diritto all’aborto – una decisione che mi atterrisce: che più di ogni altro evento degli ultimi sette anni mette in questione la mia scelta di migrare qui.

Visto che in questo momento mi trovo in un aeroporto, assai assonnato oltre che frastornato dall’attualità (ghiacciai, sparatorie, ulteriori minacce ai diritti), vorrei dire, di questa faccenda epocale, una cosa assai marginale e forse curiosa. Tanto lo si sarà ormai capito che questa, più che una newsletter, è una oldsletter, un bollettino spesso molto poco aggiornato che però si vuole attuale – quando non futuribile. Ecco, vorrei dire che mi colpisce la naturalezza immediata con cui tutte le persone intervistate o intervistanti alla radio negli Stati Uniti (ginecologhe, attivisti, sacerdoti, professoresse di legge e di biologia, gente comune) discutono gli effetti dell’inatteso cambio di paradigma sui corpi e i destini di chi non ha più il diritto ad abortire parlando di «women and pregnant people».

Mi pare che nel discorso italofono una simile formula – «le donne e le persone incinte» – sarebbe meno omogeneamente e serenamente pronunciata, persino su Radio3. Si direbbe più automaticamente, credo, «delle donne» e basta. Il nostro femminismo classico del resto si fonda sulla differenza: in molti suoi testi fondativi di grande impatto si rivendica un’essenza irriducibile del femminile. L’eredità di questa prospettiva, così importante per la nostra cultura radicale, si riscontra anche in fenomeni recenti, da “Se non ora quando” a #quellavoltache.

E tuttavia in Italia, poco più di un anno fa, L’Espresso (che ancora era L’Espresso) andava in edicola con una copertina disegnata da una donna trans che rappresentava una persona incinta evidentemente non interessata né ad essere né ad apparire donna. Un sorridente uomo trans, col pancione.

Sono molti i motivi per cui l’erosione e la dissoluzione dei diritti riproduttivi riguardano tutti, tutte e tuttə. Uno di questi motivi è evidentemente che, a differenza di quel che vogliono imporci fanatici evangelici, Corte suprema e buonsensai nostrani, individuare chi ha un utero adeguato alla gestazione e farne l’unica pietra di paragone della categoria “donna”, depositario legittimo e autentico del femminile, è un modo per controllare e disciplinare, soggiogare, mortificare.

Tra le persone trans, specialmente giovani, gli uomini sono di gran lunga la maggioranza, e molti di loro possono rimanere incinti (ma ora non possono, in quasi metà degli Stati Uniti d’America, abortire). Mi pare che, al di là della pur nobile e importantissima inclusione, menzionare questa categoria di potenziali «persone incinte» come si fa con spigliata serenità alla radio quaggiù, aiuti molto a guardare il mondo e l’umanità a un livello di risoluzione maggiore. La lingua ha questo potere: mette a fuoco, aumenta la nitidezza della visione. E anche per questo Cose da maschi ci ragiona su quest’estate.

Illustrazione di Alessandro Giammei

L’articolo che vi propongo questa settimana è ancora più filologicamente vertiginoso, mi pare, di quello della settimana scorsa, ma come promesso è dedicato a una seconda coppia di parole: “il pianto” e “la pianta”. Alla fine del ragionamento cerco di invertire i loro generi in un esercizio di fanta-etimologia ispirato a Ranma, eroe di un cartone giapponese ovidianamente metamorfico, ma il punto di partenza è un tema che scrissi in terza elementare. Lo trovate (l’articolo di questa settimana, non il tema di 25 anni fa) qui su Domani online, e sabato uscirà in edicola pronto per essere sfoggiato in spiaggia o al picnic. Spero che abbiate voglia di scrivermi con feedback e idee, o anche reazioni più fulminee.

Avevo qualche timore lanciando Cose da maschi in estiva la settimana scorsa, e l’ho anche espresso. Invece l’escursione nella filologia e nell’etimo dei maschili grammaticali ha totalizzato commenti allegri. Un collega molto più serio e bravo di me, Eugenio Refini dell’università di New York (chi segue da un po’ cose da maschi lo ha già letto qui), mi ha detto che sì, sono partito per la tangente, ma per certe tangenti vale la pena partire, e il musicologo Alexandros Hatzikiriakos mi ha scritto su Instagram incoraggiandomi a continuare su questa via. La presenza di Kylo Ren ha attratto l’attenzione della scrittrice e politologa Arianna Farinelli (da cui credo comprerò a New York una spada laser di seconda mano) e di Giorgio Bondì, che cura il fantastico fansite.

Tutto ciò per dire non solo che mi sento sempre più autorizzato a fare il nerd in questo spazio, ma anche che la settimana prossima riceveremo un articolo su Star Wars e sul fatto che la Forza è femmina! Che sia con voi, in questi tempi crepuscolari.

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