Da qualche tempo gli articoli di Domani che escono per Cose da maschi non sono più dietro a un paywall: basta cliccare sui link in newsletter e l’intero pezzo si apre leggibile anche per chi non ha un abbonamento al giornale. Nonostante ciò, mi pare di aver allungato e allungato queste lettere settimanali, come avessi l’ansia di dire tutto di nuovo qui dopo aver scelto testi altrui e finito testi miei per mandarli in redazione.

Provo a trattenermi un po’ oggi, anche perché la fine dell’anno accademico si avvicina e sarà forse il caso di progettare una pausa estiva, o almeno un ritmo più tranquillo nei prossimi mesi. A dire il vero pianificavo, all’inizio, di concludere rubrica e newsletter in maggio, ma non ce la faccio: la comunità che è emersa in questi mesi, vivace e simpatica (mai un accollo, mai un troll – se non sporadicamente nei commenti su Facebook, ma si sa che quella è ormai la patria dell’antipatia) ha raffinato di molto il mio ragionamento sul genere.

Mi mancherebbe troppo trovare i messaggi di chi legge queste righe nella mia email, su Instagram e Twitter, e (che fico!) in posti come Rivista studio e Donna moderna, o addirittura in tesi universitarie – ce n’è una, in corso di stesura presso la Södertörn University di Stoccolma, per cui una brillante studentessa di giornalismo mi ha intervistato su Cose da maschi. Perciò, bando alle ciance, andiamo avanti cercando di non dilungarci troppo.

Privilegio del monastero di Monfero conferito dal suggello di re Ferdinando II di Galizia (1157-1188), da Wikipedia

Questo mercoledì torna a trovarci, come promesso, il filosofo Lorenzo Gasparrini, che aveva già scritto per Cose da maschi un pezzo che ha circolato molto online sul femminismo degli uomini. Il suo nuovo articolo, che trovate qui su Domani, affronta una questione altrettanto cruciale e quasi sempre fraintesa nei dibattiti sul genere – non solo in Italia ma, come noto di continuo anche in conversazioni tra accademici blasonati, pure negli Stati Uniti.

È il problema del privilegio: questa parola-chiave delle lotte femministe intersezionali che mette in allarme anche maschi assai benintenzionati. Ma come, io che ho tanti problemi, che ho tanti svantaggi, che subisco soprusi e fregature continue dovrei sentirmi “privilegiato” solo perché sono maschio? Dovrei sentirmi in colpa perché il mio genere, la mia sessualità, la mia razza, il mio corpo sono considerati normali? È colpa mia se sono nato così?

Lorenzo Gasparrini, con la lucida semplicità della sua franca penna, risponde a queste domande facendoci capire perché sono mal poste. Il suo articolo ha le qualità di un vademecum: ci ricorda cose che, lette tutte di fila, paiono ovvie, ma che in una contesa online, o davanti a una in tv, tendono a sfuggirci; distingue per noi il privilegio dall’accesso ai capitali, ed entrambi dal potere, sul cui uso ci offre opzioni. Distingue, soprattutto, la colpa dalla responsabilità, e ci aiuta a capire come prendere attivamente quest’ultima in mano. Uno degli obiettivi principali di questo spazio è quello di promuovere la coscienza, la consapevolezza di ciò che significa essere, sentirsi e volersi maschi, e sono grato a Lorenzo per l’aiuto che questo suo articolo offre in quella direzione.

Illustrazione originale di Didier Falzone per Cose da maschi

Anche il mio articolo, questa settimana, si interroga sui problemi di auto-consapevolezza che affliggono la tribù dei maschi, generalmente portata a sentirsi parte di una norma o a nutrire l’ansia di cadere fuori dai suoi limiti. È un articolo sulla gonna, lo trovate qui su Domani e, some al solito, sabato in edicola.

Le amiche e gli amici cui ho detto che stavo scrivendo di gonne per questa rubrica mi hanno risposto con sorpresa approvazione, come se stessi scardinando chissà quale pregiudizio. Ma la verità è che la gonna, se uno esce dalla specola minima dell’Europa moderna, non è per niente rivoluzionaria sulle gambe degli uomini. Non c’è nemmeno da tirare in ballo il kilt degli scozzesi, o la tunica dei preti: tre quarti del mondo, e grandissima parte della storia del costume di tutte le civiltà, non batte ciglio davanti alle gonne maschili, anzi.

Non vi spoilero altro, ma aggiungo che, ragionando su quando e perché noialtri occidentali abbiamo preso a considerare i pantaloni un biglietto d’ingresso nel consesso privilegiato degli uomini, ho avuto un’opportunità di tornare più precisamente su una questione già affrontata con diversi altri oggetti: quella della relatività dei codici, di come le cose in sé non abbiano essenziali significati intrinseci (e men che meno un genere stabilito) ma solo orizzonti d’attesa negli occhi degli altri – esattamente come le parole di una lingua non significano nulla in assenza di un orecchio capace di decodificarle.

Chi si è avventuratə in edicola sabato scorso per prendere una copia di Domani e leggere il mio articolo sui capezzoli si sarà forse stupitə trovandoci il San Sebastiano del maestro del Tondo Greenville invece che l’ormai tradizionale illustrazione di Didier Falzone. L’iconografia era precisissima: proprio di quel quadro parlavo nell’articolo. E tuttavia, la mia intenzione era quella di appaiare le mie parole al collage, bellissimo, di Didier, che invece è rimasto solo nelle incarnazioni online del pezzo, in newsletter e nel sito del giornale. Si è trattato di un disguido puramente tecnico: l’immagine era stata amata da chiunque l’avesse vista. E penso che tutti ameranno anche quella che ci regala questa settimana, ispirata al “Buffalo look” di un’iconica copertina di The Face.

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