Quest’anno si celebrano i cento anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini – uno che alle cose da maschi ha dedicato (tra i suoi rovelli corporali, le ossessioni estetiche e l’iconica immagine personale) larghissima parte della propria vicenda creativa.

Essendo cresciuto a Roma, avendo scritto poesie, essendomi cresimato, avendo studiato letteratura, portato i capelli lunghi (giuro!) e protestato in piazza, ho un rapporto complicato con questo cattivo maestro, reazionario eppure rivoluzionario, osceno e spirituale, queer ma così spesso tragicamente normativo.

La settimana scorsa non sono riuscito a non evocare il suo multiforme fantasma recensendo il nuovo riuscitissimo romanzo di Jonathan Bazzi, Corpi minori, che nel suo tragitto marxista, erotico e mistico da Rozzano a Milano (ma anche dalla Romania all’Umbria, e dal disequilibrio all’ascesi – forse addirittura alla gioia) fa rima con quelli, pur invece inevitabilmente falliti, dei maschi narrati o filmati da Pasolini: i riccetti, gli edipi, i cristi, gli accattoni, i figli di Mamma Roma.

Sarà forse perché sto traducendo, con febbrile intensità e continue battute d’arresto, gli scritti di PPP sulla pittura in inglese con Ara Merjian. O perché l’anno scorso ho insegnato i film di PPP ispirati alla tragedia greca assieme a una geniale classicista, Ava Shirazi, in un corso ibrido di lettere classiche e moderne tra i college di Haverford e Bryn Mawr. Oppure perché, come dicevo, questo è l’anno del centenario.

In ogni caso, non riesco a esorcizzare questo spettro. E dunque, quando lo storico Germano Maifreda, celebre esperto di economia rinascimentale ed esperienze giudaiche della prima modernità, ha condiviso con me in anteprima il suo nuovo libro appena uscito, non ho potuto che pregarlo, trovandoci un ricco capitolo in gran parte pasoliniano, di regalarcene un pezzetto per Cose da maschi.

Germano è al contempo un professore rigoroso, dall’impressionante curriculum scientifico, e un divulgatore dalla voce autorevole e appassionante: uno che coi saggi ti rapisce, oltre a istruirti. Il suo nuovo libro si chiama Immagini contese e, come recita il sottotitolo, racconta la storia politica delle figure dal Rinascimento alla cancel culture.

Come tutti i lavori di Germano, da quelli più specialistici a quelli più accessibili, è una disamina del potere: del suo linguaggio, del suo esercizio, dei suoi inaspettati rapporti economici e politici con la dicibilità, con la cultura, con la libertà, con la fama.

Tra Giordano Bruno e Francesco Gonzaga, cortei della Roma ottocentesca e propagande xenofobe del secolo successivo, questo libro rapido ma denso, pieno di casi storici interessantissimi, parla direttamente al presente: al nostro rapporto con le immagini pubbliche, alla recrudescenza del fascismo, a quella che un tempo si chiamava guerra ideologica e che oggi ci appare come una tifoseria da social network, al confine sempre più inafferrabile tra libertà individuali e bene comune.

Una ampia sezione è dedicata, come dicevo, a Pasolini, e in particolare al più controverso dei suoi progetti: Salò, l’ultimo allucinante film che ha girato, uscito nelle sale dopo la sua morte. Germano, nell’estratto che ci dona (e che trovate qui su Domani) riflette appunto su come quel film importantissimo e inguardabile sia potuto uscire, recuperando i verbali e le dichiarazioni di chi ne valutò l’oscenità. Le sue conclusioni sulla censura (una parola così spesso usata a vanvera in questi anni) vi faranno venir voglia di leggere il resto del libro.

Illustrazione di Didier Falzone

La mia conta delle cose da maschi invece non è, malgrado tutto, granché pasoliniana. Questa settimana (ecco il link all’articolo su Domani) ho ragionato sulle tasche.

Sulle tasche della prima modernità, studiate dagli storici e dalle storiche del costume e della moda, evolute da un iniziale ibrido tra tasca e borsa e poi raccontate come una novità rinascimentale dal cugino di Tiziano, Cesare Vecellio, artista veneziano. Ma anche sulle tasche dei miei jeans, e in particolare su quella taschina all’interno della tasca davanti: la tasca-di-tasca in cui infilo, da quando ho smesso di fumare sigarette normali, la mia sigaretta elettronica, che altrimenti perderei più di quanto già non la perda.

È curioso che la fallica, protrusa borsa serva a segnalare la propria femminilità mentre la tasca, così ovviamente vaginale, sia funzionale alla performance del maschio dalle mani libere, privo di orpelli, che cammina con le mani in tasca appunto, per mostrarsi indisponibile e introverso, o nelle tasche cala i pollici per fare il galletto, o ancora tiene solo il pollice fuori dalla tasca di dietro, sentendosi disinvolto.

Sono tutti gesti maschili quelli che si fanno con le tasche, anche quando li esibisce chi maschio non è. E infatti molti pantaloni e giacche pensati per corpi di donna presentano tasche fittizie, che servono solo per i gesti: sono chiuse da una cucitura stretta, sono troppo aderenti per contenere alcunché, sono simulacri di tasche.

L’idea di scrivere di tasche mi è in realtà venuta da voialtrə che leggete questa newsletter. Quando l’ho lanciata (ormai ventidue settimane fa!) chiesi su Instagram di segnalarmi cose da maschi che avrei dovuto raccontare, e moltissimi (anzi, moltissime; soprattutto donne) hanno risposto «Tasche!», dando voce a una frustrazione per quei simulacri inservibili.

Farà loro piacere sapere ho chiuso il pezzo con un’accorata riflessione su Doraemon, il gatto spaziale dell’omonimo cartone giapponese. Attraverso questo affabile alieno felino caratterizzato da una capacissima tasca piena di meraviglie ho cercato di immaginare una maschilità marsupiale incentrata sulla materiale metafora, appunto, della tasca: ricettacolo introflesso, capiente, accogliente e sorprendente.

Mi piacerebbe ricevere ancora numerosi consigli sulle cose da maschi da includere nelle future uscite. Scrivetemi! Anche per dar modo all’estro delizioso di Didier Falzone di esprimersi su temi visuali inattesi.

Sono anche oggi incantato dal suo lavoro: una teoria di tasche dentro le tasche, appiattite e claustrofobiche ma fatte immediatamente tridimensionali dall’ago col filo, che trafigge la carta del collage ricordandomi dei “poemi tautologici” del libro d’avanguardia Poema & Oggetto di Giulia Niccolai – un capolavoro di cui, se vi va di leggere un più barboso saggio accademico, ho dato una lettura femminista qui.

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