Gaza, gli attacchi dell’amministrazione americana ai diritti civili e, più in generale, le battaglie sociali hanno provocato un piccolo terremoto nell’industria del gelato. Dopo 47 anni, Jerry Greenfield, cofondatore del brand americano Ben&Jerry’s, ha deciso di lasciare l’attività secondo quanto ha dichiarato sul suo profilo X il suo storico socio, Ben Cohen, che ha pubblicato la sua lettera di addio.

La ragione di tale scelta è da imputare alla mancata libertà che la casa madre di Ben&Jerry’s, la conglomerata anglo-olandese Unilever, non starebbe più garantendo al marchio, nonostante le promesse fatte al momento dell’acquisizione nel 2000. Come sottolinea la lettera di Greenfield, che, come Cohen, non aveva più ruoli operativi nell’azienda, Ben&Jerry «si è sempre fatta avanti e ha parlato a sostegno della pace, della giustizia e dei diritti umani, non come concetti astratti, ma in relazione a eventi reali che accadono nel nostro mondo».

Per questo, visto «che questo non è più possibile farlo in Ben & Jerry’s significa che non ne farò più parte. Se non riesco a portare avanti questi valori all’interno, vorrà dire che lo farò all’esterno», ha concluso.

A questa lettera ha risposto un rappresentante della Magnum Ice Cream, ramo di Unilever dedicato proprio ai gelati, che ha dichiarato di non condividere le posizioni di Greenfield e ha sottolineato di aver tentato più volte di instaurare un confronto positivo con i due ideatori del marchio. L’impresa ha inoltre ribadito che Ben & Jerry’s gode ancora di un’immagine solida, costruita su principi etici ben radicati, e che continuerà a ricoprire un ruolo di rilievo nella galassia Unilever.

Lo spin off

La decisione di Greenfield giunge in un momento importante per l’azienda e per la stessa Unilever, che a novembre quoterà in borsa proprio il suo reparto gelato, la Magnum Ice Cream. Una scelta non condivisa dai fondatori del marchio con la mucca golosa, che temono la perdita di identità sociale: per questo, come ha dichiarato Ben Cohen, pochi giorni fa era stato proposto a Unilever di vendere Ben&Jerry’s a investitori interessati a una valutazione compresa fra 1,5 e 2,5 miliardi di dollari.

Una richiesta che ha trovato il fermo rifiuto dell’amministratore delegato di Magnum Ice Cream, Peter ter Kulve, che ha dichiarato di voler mantenere il brand all’interno dell’azienda.

Una lunga storia di attivismo sociale

Gelato e attivismo sociale sono i due capisaldi del marchio Ben&Jerry’s sin dall’inizio, datato 1978, quando Cohen e Greenfield aprirono una gelateria a Burlington, in Vermont. Il prodotto si distingueva subito per due caratteristiche particolari, il formato in barattolo e i pezzettoni nella crema, una scelta quest’ultima da ricondurre anche all’anosmia, cioè l’incapacità di sentire gli odori, di cui soffre lo stesso Cohen.

«Quando abbiamo iniziato, il gioco era che Jerry faceva un gusto che potevo assaporare a occhi chiusi. Per questo, doveva creare gelati dal sapore intenso. A causa di questa disabilità, ho un eccellente percezione delle consistenze. La cremosità e la croccantezza sono molto importanti per le persone che non possono gustare», ha dichiarato in seguito lo stesso Cohen.

Il marchio della mucca golosa ha così reso celebri gusti unici come, ad esempio, il noto “Cherry Garcia”, dedicato al chitarrista e cantante dei Grateful Dead, Jerry Garcia, che consiste in un mix a base di gelato alla ciliegia arricchito con marasche a pezzi e variegatura al caramello.

Gusti che spesso si sono uniti all’altra grande caratteristica del marchio, quella di portare avanti le proprie battaglie civili. Nel corso del tempo, infatti, sono arrivati anche il gelato “Chubby Hubby”, vaniglia con pretzel al caramello e burro d’arachidi, rinominato “Hubby Hubby” nel 2009 per sostenere le unioni civili, e il gelato “Justice Remixed”, gusto cioccolato e cannella, lanciato nel 2019 per sensibilizzare sulle discriminazioni razziali.

L’impegno per Gaza

Negli ultimi anni, però, le diatribe con la casa madre Unilever sono aumentate a causa di quanto accade in Palestina: già nel 2021 il marchio aveva annunciato che non avrebbe più venduto i propri gelati a Gerusalemme Est e nei territori occupati in Cisgiordania, scelta contestata da Unilever che ha poi ceduto i diritti commerciali di Ben & Jerry’s in Israele a una propria succursale, permettendone così la vendita.

Nel 2024, Ben&Jerry’s ha deciso di intentare una causa contro Unilever con l’accusa di aver disatteso gli impegni pattuiti. Secondo la denuncia, Unilever avrebbe cercato di intimidire i dipendenti, prospettato la dissoluzione del consiglio direttivo e limitato la libertà del marchio di manifestare pubblicamente il proprio appoggio alla causa del popolo palestinese.

Ancora a gennaio, Ben&Jerry’s ha detto che l’azienda madre anglo-olandese aveva bloccato un post che faceva riferimento all’aborto, al cambiamento climatico e all’assistenza sanitaria universale solo perché menzionava Donald Trump. A ciò si aggiunge l’accusa giunta lo scorso marzo in merito alla rimozione dell’amministratore delegato Dave Stever, avvenuta senza consultare il cda del marchio, «a causa dell’allineamento alla missione sociale dell’azienda».

Un impegno sociale sentito in egual misura sia da Greenfield che da Cohen, che a maggio era stato arrestato e subito rilasciato dalla polizia del Campidoglio nel corso dell’audizione del segretario alla Salute Robert Kennedy Jr. «State uccidendo i bambini a Gaza con le nostre bombe e tagliando l’assistenza sanitaria ai bambini poveri qui», aveva dichiarato, interrompendo la seduta.

Negli ultimi mesi inoltre il marchio ha deciso di definire come “genocidio” quanto commesso da Israele a Gaza, in controtendenza sia con la stessa Unilever che con altre aziende. Una scelta di campo spiegata da Greenfield nella sua stessa lettera: «Non si è mai trattato solo di gelato: era un modo per diffondere amore e invitare gli altri a lottare per l’equità, la giustizia e un mondo migliore».

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