Esiste nella storia letteraria una branca carsica che con buona approssimazione si potrebbe chiamare «storie di scrittori»: lo nota il protagonista di uno dei racconti che compongono I difetti fondamentali, di Luca Ricci, che La Nave di Teseo riporta oggi in libreria, con il bonus di una novella inedita, a cinque anni dalla prima edizione rizzoliana.

In questo lustro, peraltro, di storie di scrittori (e di editori) ne sono apparse varie, a segnalare che il tema è ritornato attuale: da Bontà di Walter Siti a Desideri deviati di Edoardo Albinati, da Le donne amate di Francesco Pacifico fino al recentissimo Leggere possedere vendere bruciare di Antonio Franchini – per citare solo i primi titoli che mi vengono in mente – l’impressione è che per chi scrive e ha più di quarant’anni i tempi siano maturi per una verifica più o meno impietosa di cosa è diventata oggi la scrittura letteraria, e di come vive chi si ostina ancora a farne, contro ogni logica, il centro della propria vita.

Le stagioni della letteratura

Ma in questi stessi cinque anni lo stesso Luca Ricci ha intrapreso e quasi portato a termine il progetto di una quadrilogia di romanzi brevi – sono usciti Gli autunnali (2018), Gli estivi (2020) e l’anno scorso Gli invernali – che dietro la struttura ispirata al ciclo delle stagioni e al tema ricorrente dell’amore ossessivo e non corrisposto sembrano ruotare, di fatto, intorno a un asse più segreto e intellettuale: che è, ancora una volta, quello della letteratura (del resto i Difetti ci ricordano che «solo erotomani e scrittori vanno alla radice dell’incontentabilità»).

E quindi: cosa la letteratura significa per Ricci e perché non basta mai ad appagarlo, come funziona la scrittura nella testa di uno scrittore, cosa sta cambiando e come andrà a finire questo gioco con le parole e con il tempo che chiamiamo narrativa letteraria e che oggi sembra giunto a una svolta della sua lunga storia.

Ora, se le «storie di scrittori» si espongono a un pericolo, questo è di solito rappresentato da una overdose di metaletteratura: racconti noiosissimi tra mille virgolette, al quadrato o al cubo, farciti dalla famigerata «riflessione sull'atto dello scrivere», così mediocre e fatua quando a organizzarla è un non-scrittore («Ci sono due specie di scrittori. Quelli che lo sono e quelli che non lo sono», è l'aforisma di Kraus che manda in crisi Il folle in uno dei racconti dei Difetti fondamentali).

Ricci per fortuna evade sempre questo rischio – il suo approccio al contrario è sanguigno e viscerale. Nei Difetti soprattutto umoristico, e a volte satirico, quando affronta il paesaggio dell’editoria italiana in alcuni suoi luoghi cruciali: i premi letterari, le librerie in cui torreggiano i bestseller, le retoriche della bibliodiversità. Ma, ancora più profondamente, a emergere dietro l’ironia è qualcosa che definirei una nostalgia della letteratura, e che sempre più si delinea come un tratto generazionale, visto che la si percepisce spesso in tanti nostri narratori nati negli anni Settanta. Un sentimento che in Ricci prende la forma della malinconia: «E che cos’era in fondo la Letteratura, ormai, se non una splendida rovina?».

In un certo senso è da questa frase-concetto dei Difetti fondamentali che germinava Gli autunnali. In quel romanzo la passione del protagonista per una donna che nella sua fantasia malata vive, per così dire, due volte - prima come Jeanne e poi come Gemma - ha ben poco di realistico, non pretende di essere credibile; è un’ossessione cartacea alla lettera, visto che prende spunto da una fotografia.

Fantasmi romanzeschi

Se è vero che «certi amori non vogliono finire, ma solo ricominciare daccapo», l’amore che Ricci intende riportare in vita è quello, totalizzante, per la letteratura stessa: il fantasma femminile serve a convocare una fitta serie di fantasmi romanzeschi, e quanto al vero “doppio", negli Autunnali è probabilmente La chioma, un celebre racconto di Maupassant («più vivo dei vivi», come lo si saluta nella dedica), da cui Ricci deduce tutti gli snodi narrativi principali, diversi emblemi, quattro epigrafi e la frase con cui termina il libro.

Alle «storie di scrittori» che si leggono nei Difetti fondamentali va insomma abbinato questo «romanzo di romanzieri» - non solo il narratore protagonista, ma anche la sua "spalla”, amico e antagonista, il memorabile Gittani: un altro narratore in cerca di se stesso, un altro temperamento decadente e inattuale, un altro esempio di scrittore in crisi che fa capolino anche in quegli altri «romanzi di romanzieri» che sono in fondo Gli Estivi e Gli invernali. Il cambio di stagione implica una trasformazione della prospettiva e del registro: se l’autunno è il tempo del declino - e infatti ospita scrittori «senza più clorofilla nelle vene» - l’estate è il tempo del miraggio e dell’incoscienza («uno dei più grandi abbagli dell’umanità era stato confondere quell’incoscienza con la leggerezza»).

Per contrasto, nel parlare di amore e di scrittura Ricci non è forse mai stato così freddo, così lucido, così duro e insomma così demoralizzato, anche nello scherzo («eravamo così disperati che ci mettemmo a parlare di letteratura»). Lucido e duro sulla passione che scintilla negli amori nuovi, contusi dalla rissa infinita e un po’ pazzoide della seduzione: «Nell’amore gli altri ci servono unicamente come tele, per proiettarci sopra le nostre fantasie (…). Gli altri non sono indispensabili, facciamo tutto da noi».

Ma non meno implacabile sulla letteratura, su quello che oggi gli sembra diventata: «I non lettori sono infinitamente più numerosi dei lettori, quindi il mercato librario si è convinto di puntare su quelli». Negli Autunnali l’amore era ancora passibile di qualche reincarnazione folle, la letteratura ancora una spettacolare rovina; negli Estivi l’amore si confessa irrealizzabile e la letteratura s’incarna in una stella cadente che è l’immagine più esatta dei nuovi letterati - nei cieli agostani «le stelle ogni sera vedono cadere noi» (altrove «un aquilone che fino a quel momento si era librato in aria alla perfezione cadde di schianto: mi apparve una metafora adatta per qualunque cosa»).

E Gli invernali? Anche lì, romanzieri bolliti e esordienti in crisi d’identità, scrittrici prive di talento ma «che il mondo c’invidia» e altre più dotate ma sul viale del tramonto; editori insicuri, critici palloni gonfiati e agenti letterari senza scrupoli. Ritornano i tradimenti, le gelosie, le ossessioni che avvincono e separano amici e amanti. Ma quello che negli Estivi era constatazione crepuscolare, negli Invernali diventa sentenza sepolcrale, testamentaria: «I lettori sono finiti. Sono rimasti solo i non lettori».  Se l’autunno, per come lo intendeva Luca Ricci, era la stagione della nostalgia, e l’estate quella dell’abbaglio, l’inverno è «la storia delle cose che abbiamo sepolto», in un febbraio romano in cui «invece di nevicare cominciò a piovere» (e in cui il vecchio Gittani torna solo per dirci che ha smesso di scrivere e che sta aspettando di crepare).

Il funerale

E quindi cosa abbiamo seppellito, per quell’innamorato deluso e inconsolabile che è oggi Luca Ricci, nella scintillante bara di cristallo della comunicazione letteraria? Forse quella che un suo personaggio chiama la «letteratura del delirio»: «Antisociale e diseducativa, spietatamente esatta ma non stitica, generosa, accorata e al tempo stesso priva di enfasi, fuori sia dalla dittatura dello storytelling – la trama muscolare, il personaggio indimenticabile – sia dal diktat dello stile – la bella pagina, la lingua come fine e non come mezzo».

Al suo posto, romanzi e romanzieri studiatamente pensati (da se stessi prima ancora che dall’industria culturale) per chi non legge: professionisti del «messaggio» persuasi che la bellezza salverà il mondo, intrattenitori a caccia di premi letterari, artisti che si sbracciano sui social, fotografano le copertine e si recensiscono tra loro, giù giù fino a una critica che non può morire «perché non è mai davvero nata». «Il segreto consiste nel regredire, a ogni livello. Sul piano della visione, del ragionamento, dell’espressione verbale». Luca Ricci invece va avanti; ed è quasi primavera. Se tanto ci dà tanto, sarà la sua stagione più crudele.

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