Rimasto a lungo trascurato, il contrasto alle disuguaglianze economiche, di reddito e di ricchezza, è oggi al centro della discussione pubblica. L’attenzione, tuttavia, tende a focalizzarsi sul mero andamento delle disuguaglianze e sulla denuncia dei livelli raggiunti. Langue la riflessione sulle ragioni per preoccuparsene e, dunque, su quanta disuguaglianza economica possiamo permetterci. Questo è un problema.

Certo, interessi e rapporti di potere sono, alla fine, dirimenti. Le ragioni sono, però, un ingrediente fondamentale per motivare all’azione e definire le politiche.

Non a caso, la crescita delle disuguaglianze verificatasi negli Stati Uniti a partire dagli anni Settanta del secolo scorso è stata favorita da un potente investimento culturale in fondazioni e centri di ricerca teso a smontare il “vecchio” senso comune più ugualitario. Oggi siamo di fronte alla situazione opposta: dobbiamo investire nella ri-creazione, nel mutato contesto, di un “nuovo” senso comune più ugualitario.

Effetti sulla democrazia

Due mi sembrano i blocchi principali di ragioni per preoccuparsi delle disuguaglianze economiche. Il primo insieme concerne le conseguenze: le disuguaglianze economiche possono provocare diverse conseguenze indesiderabili.

Vi sono, innanzitutto, i costi per la democrazia. Disuguaglianze economiche elevate potrebbero compromettere l’uguaglianza politica, distorcendo il gioco democratico grazie all’influenza dei più ricchi sul finanziamento della politica – tanto maggiore in assenza di un sistema di finanziamento pubblico dei partiti – e alla collusione fra politici e élite economiche. Un effetto potrebbe essere l’indebolimento della disponibilità collettiva alla redistribuzione.

In ogni caso, aumentano le sfide per la redistribuzione. Si pensi alla tutela della salute sancita dall’art. 32 della Costituzione: le disuguaglianze economiche rischiano di aggravare le disuguaglianze nelle attese di vita.

I casi della Gran Bretagna e dell’Italia sono emblematici: nonostante la presenza di un servizio sanitario nazionale, le attese di vita restano fortemente influenzate dalla posizione occupata nella distribuzione delle risorse. Detto in altri termini, la disuguaglianza economica gioca un ruolo indipendente sulla salute a prescindere dai servizi offerti.

Oppure, si pensi all’investimento pubblico nell’istruzione, anch’esso sancito dalla Costituzione all’art. 34. Più aumentano le disuguaglianze economiche, più rischiano di aumentare anche gli ostacoli all’istruzione che la scuola non è in grado di contrastare.

La scuola è, infatti, solo un pezzo di ciò che serve all’istruzione. Anche per l’influenza sulle aspettative e la disponibilità a sforzarsi, contano il contesto territoriale e la famiglia in cui i giovani crescono. Più aumentano le disuguaglianze economiche più rischiano di aumentare sia le disuguaglianze territoriali, sia le disuguaglianze nelle cosiddette enrichment expenditures (spese extra-curriculari) che le famiglie possono dedicare ai figli. E non dimentichiamo i rischi di conseguenze negative sulla coesione sociale.

Il riferimento, come ricorda T.M. Scanlon nel bel libro Perché combattere le disuguaglianze, è al rischio di una divisione umiliante di status sociale fra perdenti e vincenti. Infine, contro la retorica degli effetti di sgocciolamento del benessere dai più ricchi ai più poveri, disuguaglianze elevate potrebbero compromettere la crescita. Come ben riassunse Branko Milanovic, «c’è un limite al numero di abiti di Armani e di bottiglie di Dom Perignon che i più ricchi possono acquistare».

I ricchi potranno, sì, consumare in assoluto più dei poveri, ma alla fine una parte cospicua dei loro redditi non potrà che essere risparmiata.

Migliorare le condizioni di chi, come i meno avvantaggiati, ha una maggiore propensione al consumo favorirebbe invece la domanda aggregata e, con essa, la crescita. Peraltro, il consumo dei più ricchi è anche spesso indirizzato a beni critici per il clima (elicotteri, yacht ecc.). Disuguaglianze elevate potrebbero, altresì, indebolire la disponibilità a cooperare dei più svantaggiati. Sentirsi maltrattati induce a una minore offerta di impegno rispetto a quanto offriremmo qualora ci sentissimo ben trattati.

Le cause all’origine

Il secondo insieme di ragioni investe i processi stessi di formazione delle disuguaglianze economiche. In breve, non basta occuparsi di cosa capita ex post, una volta che le disuguaglianze si siano realizzate. Conta pure la dimensione ex ante relativa ai processi di generazione delle disuguaglianze.

Contano i modi in cui, nell’economia, è distribuito il valore aggiunto. Mercati dominati da barriere all’entrata conferiscono a chi è già entrato vantaggi che paiono difficilmente giustificabili sotto un profilo di giustizia, penalizzando competitori potenziali, acquirenti e produttori di beni intermedi, lavoratori.

Considerazioni simili valgono per de-regolazioni del mercato del lavoro e assetti d’impresa sordi a qualsiasi richiamo alla democrazia economica, addirittura pronti ad accettare forme di esternalizzazione della produzione e contratti pirata che paiono incompatibili con accezioni anche assai deboli di uguaglianza di considerazione e rispetto.

Appaiono del tutto inaccettabili mercati dove la provenienza sociale è ancora dirimente ai fini del reddito che si può ambire a guadagnare.

Penso ai molti casi riscontrati in diversi paesi europei in cui i posti di lavoro migliori, pure a parità di istruzione, sono riservati a chi proviene da famiglie più avvantaggiate.

Anche risolvessimo molte di queste ingiustizie, appare comunque difficile accettare come giusta la meritocrazia dei mercati, quando molto di quello che guadagniamo sul mercato dipende dal caso.

Riconobbe lo stesso Warren Buffet che, pur essendo lui particolarmente abile, non avrebbe in alcun modo guadagnato così tanto se non avesse avuto la fortuna di nascere negli Stati Uniti in un periodo storico in cui le sue abilità sono particolarmente remunerate. Possiamo naturalmente disquisire sul peso e sulla specificazione delle singole ragioni. Del peso complessivo delle ragioni offerte appare, tuttavia, difficile dubitare. A esse dovremmo dedicare più attenzione nella discussione pubblica.

Elena Granaglia e Maria Giuseppina Muzzarelli interverranno alla rassegna “Disuguaglianze e democrazia. Quale futuro per un capitalismo democratico?”, a cura del Mulino, alla Nuvola di Roma il 26 marzo. 

 

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