Senza dubbio dove si trovano folle e alcol il rischio di disordini aumenta. Basta consultare le news per avere conto di divieti o limitazioni alla vendita degli alcolici in occasione di momenti molto partecipati, come concerti o eventi sportivi.

Anche da queste proibizioni si è diffusa la stranezza della birra analcolica, che personalmente ricordo come peccato giovanile nella mia prima e unica volta, in occasione di una partita di Italia ’90 vissuta allo stadio. L’esigenza di limitare le bevute dove c’è affollamento è abbastanza nuova per i tempi della storia, ma quella di ridurre i rischi di incontri etilici troppo ravvicinati risale a parecchi secoli fa.

Attenuanti e aggravanti

Carlo V d’Asburgo (1500-1558) fu un imperatore pieno di pensieri e preoccupazioni, attributi inevitabili del successo politico. Al culmine della sua potenza, regnava su di un impero che comprendeva i Paesi Bassi, la Spagna, parti dell’Italia meridionale e settentrionale, una vasta zona dei paesi di lingua tedesca (Austria, Sacro Romano Impero) e le sterminate colonie americane.

Possiamo con difficoltà immaginare quanto dovesse pensare alle beghe di governo, tra le quali non mancavano quelle legate alle bevute pubbliche. Certo con l’aiuto dei propri funzionari, Carlo V dovette comunque legiferare sul tema, dopo aver constatato quanti morti e feriti giacevano abitualmente sui pavimenti delle bettole sparse in città e villaggi dei suoi domini europei.

Lo fece più volte, per esempio il 7 ottobre 1531 pubblicando una dettagliata ordinanza dedicata a quello che oggi definiremmo ordine pubblico. Per porre un freno alle conseguenze dei disordini provocati (anche) dalle frequenti sbornie dei propri sudditi, Carlo V stabilì che sia dentro sia fuori i villaggi le feste e le fiere si sarebbero dovute localmente concentrare in un unico giorno. A chi trasgrediva era comminata una pena pecuniaria.

Un articolo successivo (32) ci dà una panoramica su quanto gravi potessero essere i disordini: gli omicidi commessi in stato di ubriachezza non sarebbero stati più trattati come se avere bevuto fosse una circostanza attenuante, bensì un’aggravante.

Il delinquente brillo

Fermiamoci un attimo su questa disposizione. La nostra sensibilità viene disturbata al pensiero che le pene legate a un omicidio commesso sotto gli effetti dell’alcol possano essere annacquate dall’ubriachezza. Nel sistema italiano vigente essere sbronzi non può essere mai una circostanza attenuante, anzi, spesso è un’aggravante. Recita per esempio l’articolo 92 del Codice penale: «L’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce la imputabilità. Se l’ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata».

Non è sempre stato così, anzi. La differenza di approccio parte già da un confronto tra le civiltà fondanti la cultura occidentale: il filosofo greco Pittaco di Mitilene (650-570 a.C.) riteneva il delinquente brillo meritevole di una duplice pena, mentre nel Digesto – raccolta dei pareri di giuristi romani promulgata nel 533 d.C. – in vari passi si identificava l’ebbrezza quale circostanza di non punibilità perché determinava quella che noi definiamo capacità d’intendere e di volere.

La cultura giuridica che portò a Carlo V seguì il modello romano, di norma senza prevedere l’assoluzione del reo, ma considerando la sua alterazione una circostanza attenuante.

Applicazione della legge

Il cambiamento voluto dall’imperatore asburgico non ebbe grandi conseguenze: nessuno dei due articoli appena riassunti ricevette infatti effettiva applicazione. Come facciamo a saperlo? Lo storico impara fin dai primi passi del mestiere a riconoscere un campanello d’allarme relativo ai documenti giuridici: se i provvedimenti vengono ripetuti più e più volte, di solito significa che nessuno li osserva.

In questo caso, le misure di Carlo V furono ribadite per un secolo intero, anche ben dopo la sua morte, e a dimostrarne la mancata applicazione abbiamo anche i commenti dei giuristi e le decisioni dei magistrati.

I rimproveri di Lutero

Nonostante la personale tolleranza nei confronti di chi amava alzare il gomito e la orgogliosa rappresentazione di sé come buon bevitore, anche Martin Lutero (1483-1546), vissuto nella stessa epoca di Carlo V, si scagliò contro chi, ubriaco, provocava disordini nelle taverne, contravvenendo sia ai precetti divini, sia a quelli dell’elettore di Sassonia, che aveva idee simili a quelle dell’imperatore.

Lutero si lamentava pure perché le risse davano scandalo agli occhi degli stranieri di passaggio in Germania. E, si sa, botteghe e cantine erano i posti dove era più facile incontrare un forestiero.

Secondo il padre della Riforma, laddove né la punizione divina né quella del principe potevano nulla, dovevano arrivare i magistrati locali.

Insomma, quando la libertà del singolo confliggeva con gli interessi pubblici, anche Lutero criticava pesantemente gli atteggiamenti scomposti legati all’ebbrezza alcolica. Anche perché sbornie e litigi contribuivano ad alimentare la cattiva fama dei tedeschi ubriaconi, insieme con la diffusione di comportamenti non troppo edificanti propri della quotidianità dell’osteria.

Boccali come bombe

Per esempio, era diffuso oltralpe un passatempo per il quale gli avventori si sfidavano in una guerra tutti contro tutti, usando i boccali come fossero bombe e le posate armi: una rissa collettiva organizzata secondo gesti rituali, accompagnata da enormi bevute e destinata a terminare quando uno solo dei giocherelloni fosse riuscito a rimanere in piedi, garantendosi pure un premio.

Sembra di rivedere la scena di una delle mischie colossali sovente disegnate nelle tavole di Tex Willer, dove immancabilmente i buoni (o il buono) resistono sulle proprie gambe e segnano la fine del tafferuglio offrendo un’allegra bevuta di gruppo ai compagni di divertimento, mentre di norma i cattivi (o il cattivo), privi di sensi dopo aver ricevuto la proverbiale spazzolata, vengono gettati fuori dal saloon senza troppi complimenti.

Può essere che qualcuno inorridisca, specie se si tratta di uno smilzo giornalista, «uno scribacchino venuto dall’est» ignaro della dura legge del west. Nonostante i tentativi di Carlo V e di Lutero, lo stesso poteva evidentemente accadere a un viaggiatore europeo, magari arrivato dal sud e del tutto estraneo ai costumi di Germania. Non c’è legge che tenga.

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