«C'è sempre un giorno dopo. Lo penso spesso in queste strane settimane, caro Marco», mi ha scritto Danilo, un amico che da tempo mi aiuta a capire. Danilo abita nel quartiere romano di Centocelle, a pochi metri dal distributore di benzina esploso un mese fa, il 4 luglio, provocando la morte di Claudio Ercoli e decine di feriti. Siamo nei giorni in cui le autorità di Roma festeggiano (giustamente) il successo della Giornata mondiale della gioventù di Tor Vergata, non distante dal distributore di via Gordiani. Per questo mi sembra giusto pubblicare le parole di Danilo, eroe sconosciuto della gentilezza. Cosa succede quando si spengono le luci, il giorno dopo. (Marco Damilano)


So che a volte sembra impossibile o forzato legare gli eventi che succedono in modo imprevisto, ma il raccogliere le poche briciole trovate da queste strade ormai disperse di significato è l'unica cosa che tiene in equilibrio un bisogno di razionalità e uno emotivo.

Ti avevo raccontato dei miei vicini di casa, della malattia di uno di loro e di sua madre che se ne prende cura. Purtroppo, tre settimane fa, il mio amico si è sentito male, e nel giro di poche ore è morto in ospedale. I genitori non hanno avuto neanche il tempo di realizzare l'accaduto. Dopo lunghi anni di assistenza, di fatiche e sofferenze, di orari precisi che scandiscono il percorso di una giornata, di paure per il futuro se i genitori fossero venuti a mancare, ogni cosa è finita in pochi minuti. Non sono mai rimasti soli in queste tragiche giornate, c'è stato un via vai di amici, parenti e vicini a dargli affetto e sostegno. Eppure, il loro vero “giorno dopo” è accaduto solo due giorni fa, quando la Asl ha mandato gli addetti a ritirare gli ausili meccanici, li rimetteranno in circolo per altri pazienti con disabilità. Il salone di casa che per anni era diventato stretto, occupato dal letto motorizzato, dal sollevatore, dalla sedia a rotelle e da tutto ciò che serviva per assistere un uomo disabile, è tornato a essere una stanza enorme in cui se sospiri senti l'eco rimbalzare tra le pareti.

Il “giorno dopo” che una persona muore è uno spazio vuoto che resta pieno di un'intera vita. Vedo i suoi genitori che camminano come fantasmi, ancorati alle abitudini di sempre. La madre si alza ancora presto per svegliare il figlio, convinta che sia ancora lì, prima di realizzare che ogni cosa che componeva un giorno comune è perduta. Eppure, se guardi bene, trovi ancora ciò che ha riempito quella casa. E che riempie tutte le case. Vedi il “giorno dopo” che ha compiuto i giorni prima. Vita, morte, emozioni, mobili, letto, pavimento, movimenti e tempo. Tutto in una briciola appena.

OGNI NUOVO GIORNO

Quando ti prendi cura di una persona che sta male, il “giorno dopo” devi sempre costruirlo da capo, anche se la giornata andrà esattamente come la precedente, con le stesse cose da fare, ripetute e sistemate a memoria, le stesse scadenze, al limite dell'alienazione. Anzi, si aggiunge sempre un pizzico di difficoltà in più, come un cucchiaino di sale sullo stesso piatto colmo di cui ormai non riconosci più il sapore. Così è la vita qui. Forse lo è dappertutto anche per motivi diversi, ma qui te ne accorgi prima.

Mia mamma continua il lento viaggio nella sua malattia, ogni giorno con un sintomo nuovo che scompiglia tutto e che poi diventa abitudine. Il caldo la debilita in modo tale da renderle difficile stare sveglia o prendere un bicchiere per bere. Ogni minuto del suo giorno è in mano nostra. Non puoi allontanarti, neanche da una camera all'altra senza aver messo tutto in sicurezza, devi programmare tutto, anche l'uscita per andare a buttare il sacchetto della spazzatura. Succede spesso che anche sei hai programmato tutto per uscire, un imprevisto bug di sistema serri i ranghi, i cieli, i respiri. E rimandi tutto al “giorno dopo”. Di quale epoca, non si sa mai.

Mi ritrovo a litigare con mio padre e mio fratello. Spesso la politica è un innesco e, al contempo, una valvola di sfogo di ciò che è represso nell'animo. Siamo su tre posizioni diverse. A casa mia potrebbe benissimo essere organizzato un convegno di partito, viste le correnti divergenti. Io ancora credo in un qualcosa di sinistra, nonostante dubbi e delusioni, mio padre odia visceralmente tutta la politica, mio fratello guarda a destra, a quello «non mainstream», nascosto, anti-sistema, perciò vero. Ma le nostre discussioni e rancori emergono dalle stesse mancanze e pesi comuni. E il “giorno dopo” di un litigio ci rincontriamo nell'assistere mamma.

DOPO IL GRANDE BOTTO

Il “giorno dopo” del quartiere, dopo il grande botto, è un giorno di incertezze e frammenti sempre più evidenti. La dimostrazione che ogni spazio privato che abitiamo è uno spazio collettivo, subisce colpi di intensità diversa, li sentiamo tutti, in qualche modo, da ogni parte della città.

Il giorno dopo restano la puzza di bruciato e le macerie, quelle che avevamo prima del botto e quelle delle persone ferite e delle cose distrutte. Si dirà della mancata procedura non eseguita in sicurezza, si cercherà una responsabilità urlata che nessuno vorrà assumersi, e tutti diranno che sapevano che qualcosa non andava da tempo, che quel giacimento di gas era troppo vicino a un centro abitato e popoloso, che non si è ascoltato l'allarme dei cittadini e non si è fatto niente in anticipo per prevenire o migliorare. Poi le istituzioni, i tg e la maggior parte delle persone che non hanno nulla di rotto dimenticheranno tutto, lasciando solo chi deve rimettere insieme i cocci con le sue sole forze. Il solito “giorno dopo” italiano.

La politica non ha bisogno di un “giorno dopo”, incastrata com'è in una bolla di potere su cui tutti soffiano, terrorizzati dal farla cadere a terra. Per questo non va a cercare gli spazi vuoti da riempire, ma occupa solo quelli che conosce bene.

OLTRE IL BUIO

Qualche domenica fa qui a Centocelle c'era l'opera in piazza. Era pieno di persone di ogni cultura, fede politica, religione, storia e posizione sociale. Erano lì in uno dei pochi spazi di accoglienza. So che la politica è una questione più complessa, ma è comunque una musica che deve essere suonata insieme. Una vera politica di sinistra deve venire nei luoghi, senza necessariamente portare il solito bagaglio di maschere, volti e ristampe che girano in ogni festival d'Italia. Deve spogliarsi di ego, deve prima incontrare le cose che già esistono, vedere i problemi ma anche le comunità, le autogestioni di ogni singolo quartiere lasciato fuori le mura, ogni singola storia che regge un pilastro, una strada, un bivio. Essere disposti ad accettare un vero confronto con le persone, anche aspro, ma sincero.

Se accendi una luce in una piazza di sera, io credo che le persone verranno ad aggiungere le proprie, e forse insieme si aspetterà un “giorno dopo” migliore oltre questo buio che ci disperde.

Perché se non si fa questo, se non si prova nemmeno a condividere luoghi di vita, il mondo si comprerà tutta la morte che resta.

O forse è già tardi. E ogni “giorno dopo” è il giorno di un'altra bomba, di un'altra guerra, di altre ferite, di un abuso di potere, di un privilegio che calpesta un diritto, di impedimenti e negazioni. Finché arriverà il momento in cui il “giorno dopo” è svanito.

Io però voglio ancora pensare che esiste. Che domani avrà senso aspettare ancora un giorno. Basterà una briciola.

In una sua poesia, Wislawa Szymborska scriveva un modo ironico: «La giornata seguente si preannuncia soleggiata, anche se a quelli che sono ancora vivi continuerà ad essere utile l'ombrello».

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