Una domenica vi svegliate e vi viene voglia di disegnare una natura morta. Così, tanto per. Disponete gli oggetti, quello che avete in casa, senza troppo pensare, poi cominciate. Non siete bravi, però non siete neppure incapaci, un po’ di talento c’è, forse da ragazzini eravate portati per il disegno.

Il progetto però si rivela più difficile di quello che pensavate: prove su prove, poi vi viene in mente di colorare. Un mese dopo siete ancora lì, più presi che mai. La natura morta – idea nata senza troppo riflettere – è diventata, non si sa perché, un’ossessione che non riuscite ad abbandonare. Magari un giorno finalmente lasciate perdere, ma se lo fate vi resta addosso un senso di colpa: «Non finisco mai le cose che inizio, spreco il tempo».

Nell’economia tradizionale esiste un concetto piccolo, ma utile: il costo irrecuperabile o costo sommerso. Si tratta di spese già sostenute, che non possono essere recuperate in alcun modo e che non sono rimborsabili. Una regola importante è che queste spese non devono influenzare le scelte future. Ma è molto difficile che non lo facciano, perché gli esseri umani sono “avversi alla perdita” (chissà perché questa espressione suona subito comprensibile).

Andate a vedere uno spettacolo, pagate un biglietto assai costoso, entrate, dopo pochi minuti vi rendete conto che lo spettacolo non fa per voi, ma non vi alzate perché vi spiace aver speso i soldi senza motivo. «Resto, dai, magari poi mi piace.» Se il biglietto invece vi è stato regalato, o addirittura se si tratta di uno spettacolo gratuito, sarà più facile decidere di alzarsi. Ma la regola dell’economia tradizionale dice che la vostra decisione dovrebbe essere slegata dai soldi che avete speso. Dovreste reagire al presente e costruire il futuro senza badare ai costi sommersi. Lezione di vita?

Affrontiamo un concetto diverso, la “non linearità”. Siamo abituati a pensare che lo sforzo debba essere proporzionale ai risultati. Sappiamo che non è sempre così, ma speriamo e ci aspettiamo che sia così “in linea di massima”. Se studiamo il violino prevediamo di migliorare un poco alla volta, magari non diventeremo bravi, ma comunque saremo migliori di quello che eravamo. A volte però non accade. Per mesi e mesi studiamo senza progredire.

La testa è vuota, ci sentiamo come l’anima di Edgar Allan Poe, «vuota, senza limiti, senza confini, dominata dall’indefinito e dall’indeterminato; dove echeggiano senza suono gli incubi, le fantasie, le fantasticherie, le malinconie, le ossessioni, l’energia vitale senza sbocchi» (Pietro Citati). Decidiamo dunque di mollare, abbiamo perso tempo, e pazienza, quel tempo è un costo sommerso. Giusto? Chissà.

A volte accade il miracolo: decidiamo di continuare un giorno in più. Uno solo! E quel giorno succede qualcosa di straordinario. Ci sblocchiamo, capiamo qualcosa di essenziale e finalmente suoniamo il violino meglio di prima. Non è un miracolo, però. È solo che la realtà tende a essere non lineare più spesso di quanto siamo in grado di capire.

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