Noi storici siamo abituati a fare i conti con le ricorrenze. Lo abbiamo sperimentato, per scriverne una, con la lunga ondata di pubblicazioni ed eventi relativi alla Grande Guerra (1914 o 1915, dipende dai luoghi – 1918), lo verifichiamo regolarmente nel dialogo con alcuni editori, che spesso pianificano parte delle proprie uscite guardando al calendario delle commemorazioni. Come sanno bene gli osservatori attenti, anche nel giornalismo si sta sempre più imponendo la voglia di ricordare, anticipando però, così da arrivare prima degli altri e vendere un po’ di più.

Dio vi benedica

C’è chi davvero ha voluto muoversi per tempo, si tratta della Elite Source Pro, una società di marketing guidata da Hugh Kirkpatrick con sede a Nashville, Tennessee, stato profondamente repubblicano. Come? Lanciando nel mese di maggio sul sempre più importante mercato dei preordini librari la God Bless the USA Bible, “arricchita” dalla costituzione degli Stati Uniti, dal Bill of Rights (Carta dei diritti), dal Pledge of Allegiance (Giuramento di Fedeltà) e dalla canzone di successo del cantante country Lee Greenwood, intitolata proprio Dio benedica gli Stati Uniti d’America, God Bless the USA. L’occasione sulla quale giocare in anticipo è quella degli attentati terroristici dell’11 settembre, di cui tra tre mesi ricorrerà il ventennale. La previsione, infatti, è che in quella data la Bibbia con i suoi allegati verrà spedita a chi l’ha prenotata: un patriottico, concreto ricordo dell’evento più traumatico nella recentissima storia nordamericana.

Cerchiamo di mettere ordine nella lista dei contenuti. In copertina sventola la bandiera a stelle e strisce, lo si vede nel sito internet preparato per il lancio di The Ultimate American Bible, così viene enfaticamente definita. La Bibbia è quella di re Giacomo (1611), traduzione inglese per eccellenza e, notizia forse non così accessoria, libera da copyright. La Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica, completata nel settembre 1787, ratificata nel giugno 1788 ed entrata in vigore nel marzo 1789. Con l’espressione Bill of Rights si indica l’insieme dei primi dieci emendamenti (in tutto sono ventisette) della Costituzione, approvati nel 1791. Sono le norme che enunciano i diritti fondamentali del cittadino. Il Giuramento di Fedeltà si fa alla bandiera, risale a fine Ottocento, ha avuto nel corso dei decenni alcune modifiche ed è in estrema sintesi una promessa di lealtà alla nazione che si pronuncia nelle scuole (non sempre, non tutte) e in certe cerimonie pubbliche.

Diversa e ben più recente è la storia dell’inno patriottico di Lee Greenwood. La canzone risale al 1984, ebbe un buon successo e fu suonata alla Convenzione nazionale repubblicana di quello stesso anno, presenti il presidente Ronald Reagan e la first-lady Nancy. Fu un long-seller, God Bless the USA, perché rientrò nelle classifiche di vendita in occasione della Guerra del Golfo 1990-1991 e soprattutto dopo l’11 settembre 2001. Per di più, giova precisare, è uno dei brani preferiti dall’ex-presidente Donald Trump.

Oltre la Bibbia

Come si spiega l’ardito sposalizio tra scritti così diversi? Kirkpatrick sostiene che la sua proposta ha uno scopo pratico, riunire nello stesso volume testi che tutti dovrebbero leggere, e uno morale, evidenziare come i padri fondatori della nazione fossero stati ispirati dalla Bibbia. Quanto al country, servirà evidentemente a dare un tocco musicale alle presunte fondamenta della patria.

Proprio nella supposta ispirazione divina sta il primo grosso nodo della questione. Vari portavoce di diverse confessioni cristiane sostengono: l’interesse della Elite Source Pro rivela una neanche tanto larvata adesione ai princìpi del nazionalismo cristiano, se non del suprematismo bianco. Questo nonostante le prese di distanza pronunciate da Kirkpatrick, che sostiene di volere semplicemente restituire un significato unitario ai simboli degli Stati Uniti, togliendo loro qualsiasi connotazione politica. Sono giustificazioni che abbiamo sentito anche per Bibbie, rosari e stendardi esibiti in Italia. È davvero questo il modo? Se lo chiedono in molti.

Promuovere il mito di un eccezionalismo americano, fondato sull’idea di un Dio benedicente i primi coloni cristiani e bianchi pare spinga in direzione decisamente contraria; pubblicando i loro scritti come fossero un’estensione della parola sacra si segna piuttosto una linea di divisione con chi cristiano e bianco non è.

Una mossa vincente?

Sotto l’aspetto commerciale ancora non sappiamo come funzionerà The Ultimate American Bible, su quello dell’immagine c’è da farsi venire qualche dubbio sul suo buon esito. L’annuncio di Kirkpatrick ha provocato accuse di blasfemia e viva preoccupazione in chi teme si voglia alimentare proprio il nazionalismo cristiano bianco, di per sé già ben sostenuto dal quadriennio trumpiano, nel corso del quale il presidente non ha mancato di farsi fotografare ripetutamente con la Bibbia in mano. Ma ha pure istituito la Commission 1776, incaricata dall’ex-presidente di sostenere «un’educazione patriottica». Si tratta di una commissione (subito cancellata da Biden) priva di storici professionisti, artefice di un report zeppo di errori e partigianerie, voluta per supportare l’idea dell’eccezionalismo americano riscrivendo la storia delle origini.

Un articolo piuttosto duro apparso su Christianity Today a firma di Jamie Aten e Kent Annan giudica che in un momento storico nel quale sempre più spesso i nazionalisti bianchi stanno utilizzano simboli cristiani per puntellare la propria ideologia, «pericolosa ed empia», sostenere che una collezione di testi simile non abbia a che fare con la politica attuale è ingenuo a pensare bene, disonesto a pensare male.

Le preoccupazioni si sono presto trasformate in una petizione rivolta a Zondervan, filiale di HarperCollins Christian Publishing, che secondo Kirkpatrick aveva acquistato la licenza per pubblicare la Bibbia arricchita; alcuni autori di Zondervan hanno manifestato il proprio disagio, preso le distanze, chiesto di ripensarci. L’editore ha fatto di più, affermando pubblicamente che sì, alcuni contatti erano stati presi per redigere un ipotetico piano editoriale, ma si è deciso di non portarlo avanti. Rinunciando a cosa? A parere di molti a una brutta figura, secondo Kirkpatrick invece a un buon profitto. In base a quanto da lui dichiarato ai media, i pre-ordini sarebbero già sette-ottocento, tanto che dopo essere partito dall’idea di una tiratura di mille copie, sta puntando alle 20mila.

Purché se ne parli

Kirckpatrick non si è particolarmente preoccupato per la marcia indietro di Zondervan, dichiarando che l’editore ha tutto il diritto di considerare la proposta un business svantaggioso, ma è convinto del progetto. Non c’è motivo di fermarlo, ha aggiunto, anzi, il relativo clamore sorto attorno alla questione non potrà che agevolarlo: le polemiche “hanno aggiunto benzina” al suo serbatoio e lo aiuteranno.

Arriviamo così al secondo ingarbugliato nodo del problema: perché abbiamo bisogno di ricorrenze, sulle quali addirittura giocare d’anticipo, perché serve l’11 settembre per promuovere un patriottismo ammantato di sacro?

Entra in gioco la fondamentale distinzione tra ricerca storica e memoria a rapido consumo, quella tra chi guarda al passato per indagarne la complessità, il difficile intreccio tra cause ed effetti e chi si accontenta invece di registrare una data attribuendole significati troppo semplici per essere fondati. Un amico, professionista del mercato editoriale, mi confidava il rischio dei libri d’occasione: la loro resistenza sul mercato può sfumare in pochissimi giorni. Meglio forse, allora, consentire alla storia di proporsi con i propri tempi (talvolta non brevi) e i propri documenti, che possono essere pure testi normativi e canzoni, basta evitare di pensare siano ispirati da una qualche divinità, e proprio in quel giorno.

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