Lo sbarco degli Alleati in Sicilia nel luglio 1943 ha avuto una notevole importanza militare e politica. E non solo per l’isola. Speriamo che questo anniversario serva a ribadirlo, evitando sia i miti complottistici che le rivendicazioni fuori tempo.

Per molti italiani lo sbarco richiama poche e sfocate immagini: l’infelice battuta di Mussolini sul "bagnasciuga", la foto di Capa sulla strada per Troina, le voci incontrollate sulla mafia. Vale invece la pena di chiarire alcuni elementi di base, da tempo messi a disposizione dalla storiografia più avvertita, cioè a studiosi come Rosario Mangiameli e Salvatore Lupo e i loro bravissimi allievi.

Innanzitutto lo sbarco è stata una operazione strategicamente rilevante: di fronte alle richieste russe di aprire un fronte occidentale gli Alleati, soprattutto per volontà inglese, optano fin da Casablanca per uno sbarco in Italia, per sfruttare le truppe rimaste in Africa e riprendere il pieno controllo del Mediterraneo .

Si tratta inoltre di una azione ragguardevole dal punto di vista militare, sia per le inedite dimensioni (vengono impiegate più di 2.500 imbarcazioni, con il supporto di 4.000 aerei, per trasportare oltre 150.000 uomini, 14.000 veicoli, 1.800 cannoni, 600 carri armati), che per le novità tecniche messe in campo (ad esempio i mezzi da sbarco o i camion anfibi). Da entrambi i punti di vista si tratta della prova generale di quanto avverrà in Normandia meno di un anno dopo (che peraltro coinvolgerà meno uomini e interesserà un tratto di spiagge più limitato).

Sulle sue dirette conseguenze ci sono state allora e dopo aspre polemiche tra i fascisti che accusavano l’esercito di scarsa resistenza al nemico; e i militari che scaricavano le responsabilità sul regime e la sua incapacità organizzativa. Oggi questo fronte sembra chiuso e anzi le celebrazioni ufficiali paiono improntate all’unanime orgoglio nazionale e militare.

Senza derivare in accuse impietose o viceversa in eroismi mal riposti, bisogna dire che gli italiani, privi di supporto dalla marina, hanno difficoltà al primo impatto col nemico sulle spiagge; e notevoli problemi di comunicazione nelle retrovie. La piazzaforte di Augusta si squaglia come era già era accaduto a quella di Pantelleria e i tanti arresi (oltre 120.000 prigionieri) o fuggitivi non offrirono un bello spettacolo. Ma la Livorno combatte sulla piana di Gela, mostrando carenze di dotazione, ma non di coraggio e spirito di sacrificio. Del resto molti dei soldati di stanza sull’isola e praticamente tutte le camicie nere sono del posto, quindi non può stupire che, in quel contesto, molti abbandonino il fronte per ricongiungersi con le famiglie.

La situazione anticipa per certi versi quello che avverrà sul continente dopo l’8 settembre: sia sul lato della truppa che si sbanda, sia da quello della popolazione civile, che si prodiga per accoglierla. Ma c’è un di più di insofferenza verso la guerra, che si ritroverà anche pochi mesi dopo, in tutt’altro contesto, nel movimento del "non si parte".

Le tesi che ascrivono il cedimento militare ad altri fattori esterni ( occultando tra l’altro il consenso offerto al fascismo) sono comprensibili ma non convincenti. Prima fra tutte quella del coinvolgimento attivo della mafia, diffusa negli anni Sessanta in un momento di ripresa delle cosche e poi periodicamente riemergente nei media, nonostante le ripetute smentite degli storici.

Come ribadito da Lupo in un suo recente volume (Il mito del grande complotto, Donzelli) le autorità americane negoziano effettivamente con Lucky Luciano ma ben prima dello sbarco e per questioni interne, che hanno a che fare essenzialmente col controllo dei portuali della costa atlantica. Il rapporto coi gangster frutta qualche informazione utile sulla Sicilia, ma non ha nulla a che vedere con lo sbarco, per il quale piuttosto si cercano appoggi tra antifascisti e prigionieri, trovandoli poi soprattutto nella filiera dell’emigrazione.

Del resto l’ascesa di Calogero Vizzini si deve più a motivazioni interne che al sostegno americano; la mafia è ben più attiva sulla costa occidentale che a Catania; e la scarsa combattività della popolazione civile riguarda tutta l’isola.

Non è una passeggiata

In ogni caso per gli Alleati la conquista dell’isola non è una passeggiata, se la confrontiamo con alltre fasi e altri contesti della guerra. Le manovre incontrano diversi ostacoli, l’avanzata richiede più di un mese e i tedeschi riescono comunque a evacuare il grosso delle loro forze (compiendo in questa fase anche diversi massacri di civili, che anticipano quello che avverrà più tardi nel corso della loro “ritirata aggressiva”).

E se la stanchezza per la guerra e l’opportunismo della classe dirigente fanno sì che la popolazione accolga gli invasori come liberatori, esponendo bandiere e lenzuoli banchi e dissuadendo i militari dal dare battaglia, non per questo mancano disagi e opposizioni. Le ricerche di Mangiameli hanno ricordato i danni dei bombardamenti (drammatico quello di Palermo del 9 maggio) e ricostruito gli episodi di stragi di civili; e le indagini di storia orale, pur non rilevando una vera e propria memoria divisa, hanno fatto emergere malcontenti e timori.

Così pure hanno evidenziato il fiorire e il diffondersi di false notizie, come quelle sulle donne pilota o sulle violenze dei neri, che esprimono pregiudizi radicati e insieme nuove incertezze. Significativa anche la diversa percezione di inglesi e americani, nettamente favorevole ai secondi, sia per la presenza di italoamericani pronti a familiarizzare che per il progetto politico più innovativo di cui si fanno portatori.

In effetti la "precoce liberazione" porta a una situazione di controllo che gli alleati gestiscono attraverso l’Amg, modellato su un impianto di governo indiretto di matrice coloniale. Ma le due potenze hanno obiettivi e metodi diversi: i britannici hanno un interesse più antropologico che politico e mirano sostanzialmente a restaurare le classi dirigenti tradizionali; gli americani invece sono più decisamente antifascisti e sviluppano una proposta più moderna e democratica.

Charles Poletti incarna perfettamente questo approccio, sia per le radici italoamericane che per il pedagogismo rooseveltiano. Ma va ricordato anche Frank Toscani, poi romanzato da Hersey nel fortunato volume che gli frutta il Pulitzer (Una campana per Adano), in cui tra l’altro si stigmatizza per converso la violenza (verso i suoi uomini prima ancora che verso gli italiani) del generale Patton.

Tessuto sociale lacerato

Gli Alleati si trovano a dover gestire una situazione di emergenza e a dover ricostruire un tessuto sociale. Non stupisce che in questa situazione debbano fare ricorso, per la nomina di sindaci e prefetti, alle elites prefasciste (ben rappresentate da Enrico La loggia) o a quelle che si accreditano come forze nuove.

Questo vale per la mafia, che nel dopoguerra assume sìi un ruolo importante, soprattutto nel controllo del mercato nero; ma che ben presto viene contrastata con l’istituzione dell’ispettorato di pubblica sicurezza.

E vale anche per il separatismo, formato da maggiorenti interessati a accreditarsi presso gli Alleati per passare indenni la transizione, come Andrea Finocchiaro Aprile o Lucio Tasca Bordonaro, designato a sindaco di Palermo. Ma anche qui i documenti dimostrano un rapido ravvedimento degli angloamericani e un netto rifiuto della prospettiva separatista. Tra il gennaio e febbraio 1944, in corrispondenza con il congresso antifascista di Bari e poi con la restituzione della sovranità al Regno del Sud, gli interlocutori principali diventano i partiti antifascisti. Centrale è ad esempio il rruolo di Salvatore Aldisio, prima ninistro dell’Interno nel nuovo governo ciellenistico e poi Alto commissario per l’isola. Egli porta avanti una linea autonomistica in grado di neutralizzare l’indipendentismo, senza rinunciare alla difesa della specificità siciliana, promuovendo una maggiore partecipazione e un concetto di sviluppo non slegato dalll’equita. Elementi che si ritrovano poi nei lavori della Consulta e nella lettera dello Statuto regionale, facendo della Sicilia del dopoguerra un laboratorio politico d’avanguardia.

Lo studio dello sbarco del luglio 1943 e delle sue conseguenze, se affrontato in modo scientifico, offre quindi molteplici spunti di rilievo, sia per la comprensione delle peculiarità siciliane che per guardare da un punto di vista originale le dinamiche nazionali.


 

© Riproduzione riservata