Il lunedì di novembre in cui Emilia e Riccardo imboccano un sentiero dal nome evocativo (Stra’ delle Forche, si chiama) non è un lunedì qualunque. È il giorno dei morti e una figlia insieme al padre si addentra in un bosco per raggiungere Sassaia, minuscola frazione semi-abbandonata, celata allo sguardo del consorzio umano. Là Emilia spera di trovare un rifugio. Non crede (non davvero) che in alcun luogo al mondo, per quanto isolato, possa esistere per lei occasione di una nuova vita. Soprattutto, non crede di meritarla.

Emilia è la protagonista di Cuore nero, il nuovo romanzo di Silvia Avallone uscito nell’anno appena iniziato per Rizzoli.

Emilia ha trascorso gli ultimi 14 anni della sua vita in un carcere femminile. Ha ucciso, con premeditazione e per futili motivi. Adesso che ha scontato la sua pena è stata restituita alla società, ha implorato il padre di permetterle di andare a vivere – da sola – in una vecchia proprietà di famiglia persa nel bosco a ridosso di una cittadina montana di nome Alma. Da lì, sperando di riuscire ad avere almeno un televisore che le faccia compagnia, si muoverà a piedi dentro e fuori la vegetazione alla ricerca di un lavoro e di un modo per continuare a esistere.

La sua vicenda si incrocerà con quella degli unici due abitanti del borgo deserto: Bruno, maestro elementare che legge le poesie di Osip Mandel’štam, e Basilio, vecchio artista di paese. Emilia ora possiede uno smartphone, uno strumento che non esisteva quando è entrata – ancora adolescente – in quello che a volte chiama ancora “Istituto”, ma lo smartphone di compagnia ne tiene poca perché quale rete sociale puoi avere quando hai passato metà della tua vita separata dal mondo?

Dentro quella scatola ci sono solo i messaggi di Marta (amica di tutti quegli anni di reclusione, l’altra veterana della condanna penale che insieme a Emilia guardava le coetanee arrivare e andarsene) e del padre Riccardo, che senza mai tentennare ha deciso di restarle accanto.

La sospensione del tempo

Il sentiero che la protagonista di Cuore nero percorre è molto più impervio di quello fisico che la porta dalla frazione al centro di Alma.

Attorno a lei e insieme a lei si sviluppano affetti, relazioni famigliari ed extra-famigliari, opportunità raccolte, disattese e poi raccolte di nuovo, sorgono dubbi, paure, pregiudizi, improbabili invidie e rigurgiti di crudeltà.
Perfino prescindendo dagli eventi che di capitolo in capitolo sconvolgono le pagine del romanzo di Avallone, il personaggio di Emilia rappresenta simbolicamente qualcosa di molto difficile da guardare in faccia senza scoprire le tenebre dei nostri pensieri più tetri e anti-democratici.

Non è raro trovarsi a discutere con famigliari, amici, persone per cui proviamo sentimenti di affetto di argomenti abbastanza spinosi da rischiare di ferirsi a vicenda. Uno di questi è il carcere, il concetto stesso di pena.

Parlandone si può scoprire che l’idea di recupero e di reinserimento è spesso distante dal sentire comune in tema di giustizia. Si può scoprire che il legittimo desiderio di autotutela troppo spesso conduce a quello di chiudere degli individui in un luogo a parte, molto distante da un fantomatico “noi”, e “buttare via la chiave”.

Anche per questo - perché parla alla nostre paure più profonde - Cuore nero si cimenta con un roveto sia letterale (molti sono i rami irti di spine disseminati nel bosco che porta Emilia a Sassaia) che metaforico.

Nonostante l’oscurità di cui Cuore nero ci parla, Avallone non rinuncia mai a una delicatezza che sembra imparentata con Cambiare l’acqua ai fiori (e/o, 2019), grande caso editoriale firmato da Valérie Perrin in cui una storia drammatica, a sfondo cimiteriale, finisce con il richiamare un Favoloso mondo di Amelie che incontra il genere noir.

Emilia Innocenti (questo il cognome della protagonista) ci si presenta con il corpo di una donna adulta che abita il nuovo millennio e le movenze, gli istinti, il guardaroba di una giovanissima ragazza degli Novanta del Novecento. L’effetto è volutamente straniante, appena lo sguardo si posa su Emilia, comprendiamo che il mondo va avanti veloce mentre le persone recluse vivono la sospensione del tempo.

Ripostiglio sociale

Emilia non viene da una condizione socio-economica svantaggiata. È stata una ragazza con le sue ferite, i suoi dolori, i suoi traumi, i suoi lutti e le sue solitudini, ma con alle spalle una buona famiglia, affetto, opportunità.
La sua estrazione sociale è assimilabile a quella che abbiamo visto in Piper, la protagonista di Orange is the new black, serie ormai considerata antologica e interamente ambientata in un carcere femminile statunitense.

Piper non ha commesso un crimine contro la persona, ma la sua pena è in ogni caso piuttosto lunga per una persona bianca, istruita e mediamente agiata, il cui percorso prevedeva tutt’altro.

Il carcere, risulta evidente nella serie Netflix così come in Cuore nero, è il ripostiglio sociale in cui finiscono le persone più povere, prive di mezzi e preparazione, spesso straniere, molto spesso non bianche, o certamente non del bianco giusto.

Due realtà indigeribili

Emilia Innocenti con la sua sola presenza fisica dimostra due realtà indigeribili: che abbiamo creato una società profondamente iniqua, e che dalla colpa e dal male nessuno può dirsi esente, immune, inattaccabile.

In questo contesto la tessitura di relazioni, il collegamento con l’esterno e l’istruzione sono l’unica forma di emancipazione immaginabile.

Questo il messaggio a cui danno voce con le loro vicende sia Emilia che Marta. Lo stesso messaggio è veicolato perfino da Bruno, distante dal carcere, avulso dal crimine, e tuttavia impegnato nella scuola, che attraverso la voce dei suoi personaggi viene esplicitamente definita da Avallone spina dorsale del reinserimento e livellatore di disparità sociali. L’istruzione è il territorio della sospensione del giudizio.

La via d’uscita

Nei giorni in cui le imperfezioni della giustizia umana mostrano un volto che spaventa (il 25 gennaio, in Alabama, Kenneth Smith è stato il primo condannato a morte giustiziato tramite maschera di azoto anziché con iniezione letale, mentre il 26 gennaio in Italia è stato dichiarato innocente con formula piena Beniamino Zuncheddu, ex pastore sardo che ha ingiustamente trascorso in un carcere 33 anni della sua vita) Cuore nero ci presenta una storia che oscilla tra violenza, ingiustizie e irragionevolezze, presa in carico di responsabilità, goffaggine, desiderio di cambiamento, oscillazione tra la possibilità di dare una seconda opportunità e quella di negarla, amicizia.

Nel bene e nel male i suoi personaggi ci dicono che anche nel più remoto isolamento (in un carcere, in un borgo deserto) non esiste via d’uscita diversa dall’incontro con l’altro e che l’incontro con l’altro per essere tale deve compiersi attraverso un movimento reciproco.


Cuore nero (Rizzoli 2024, pp. 368, euro 20) è un romanzo di Silvia Avallone

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