Questa è la storia di un regalo. Anzi di un rimborso. Anzi di un ritardo. Il mio, del paese, del governo: ma soprattutto il mio. È anche una storia horror, quel tipo di horror psicologico in cui il Mostro è dentro di noi, ce lo portiamo sempre dietro e non possiamo chiedere aiuto: nessuno può sentirci urlare nella schermata “Inserisci i tuoi dati”.

Quando questo giornale mi ha chiesto di iscrivermi alla Rivoluzione Digitale e scaricare IO, l'applicazione dei servizi pubblici che permette di partecipare al cashback, ho pensato subito tre cose: la prima è stata «ma chi accetterà mai di usarla per avere un misero rimborso del 10 per cento?». Poi mi sono ricordato delle prestigiose carriere politiche e imprenditoriali andate distrutte per un bonus da 600 euro, e che non devo mai scordare che la gente è pronta a fare qualunque cosa per una pizza gratis.

Infatti sono state registrate 6mila richieste di download al secondo: qui la seconda cosa che ho pensato è che Immuni andava aggiornata, quei dubbi sulla privacy che l'hanno fatta fallire andavano risolti subito col rimborso della quattro formaggi.

La terza cosa che ho pensato, la più spaventosa, è che la app mi avrebbe messo di fronte al Mostro: a una vita di errori, sviste, traumi e atti mancati in cui Freud incontra Kafka e insieme si rivolgono allo sportello di Borges, rigorosamente aperto dalle 8 alle 8 come quello della signorina Vaccaroni di Avanzi, quella che invitava a bararci in casa perché stava arrivando er baratro (e pure lì c'era una pizza, quella «de fango der Camerun»).

Dolorosi flashback

Non a caso l'applicazione si chiama IO come i più spietati mémoire, quelli con l'autocoscienza e l'autodafé, quelli che “non fanno sconti” ma offrono anche loro il rimborso di un ricco contratto con l'editore.

Dunque ho scaricato IO, ed è stato subito Ingmar Bergman. Per usare IO bisogna inserire il codice SPID o il numero di CIE, la carta di identità elettronica. Subito il primo doloroso flashback: molti anni fa io ho posseduto una carta di identità elettronica! Era la primissima rivoluzione digitale, era il futuro, era il comune di Avellino! Una svolta cyberpunk segretissima avvenuta solo in piccole città in cui nessuno avrebbe mai ficcato il naso, per testare quel pazzesco cambio di paradigma.

Cambio di paradigma andato così bene che l'ultima volta che sono andato a rinnovarla mi hanno consegnato la carta d'identità classica, quella a libretto, quella che si sbriciola lentamente nel portafogli e che tutti ti vogliono plastificare. «Per quella elettronica non ci stanno più soldi», ha detto la signorina Vaccaroni di turno. Dunque non mi resta che inserire il mio SPID, l'identità digitale che naturalmente non possiedo ma che si può agevolmente creare su provider tipo Aruba.

Secondo doloroso flashback: due anni fa mi sono iscritto ad Aruba per emettere la prima e unica fattura elettronica della mia vita. Ma niente ti prepara al momento in cui incontrerai la fattura elettronica, essa è il Satori, l'illuminazione buddista che finalmente ti fa capire che nessuno è mai morto per aver fatto il nero, quante storie, ma allora Beppe Grillo, ma figurati se ci arrestano per quattro spicci, ci vediamo stanotte al solito posto e me li dai (lì è caduta la linea, lo dico per gli amici della GdF, è stata la rabbia del momento). Insomma Aruba mi triggera col fiscal shaming, e comunque meglio non tornarci.

Ma infinite sono le vie della SPID, si può fare anche sul sito delle poste, è automatico se possiedi un conto lì. Terzo doloroso flashback: quando iniziai il servizio civile ci intestarono d'ufficio un conto alle poste. Indovinate poi chi, nell'entusiasmo dei festeggiamenti per la fine di quella esperienza, convinse tutti a chiudere subito il conto per protestare contro questa sozza società e i suoi retrivi retaggi ai danni di noi giovani? Esatto. Dunque posso solo prenotare l'apertura della pratica, aspettare la mail e andare di persona all'ufficio postale.

Ah, ma questa volta sarà diverso, questa volta sono un adulto, questa volta mi sveglio prestissimo e uccido il Mostro, se mi impegno posso essere lì già alle dieci dieci e mezzo. Guarda, non c'è nemmeno la solita fila sul marciapiede. Perché è l'Immacolata. Perché il mio inconscio lo sapeva benissimo e si è messo comunque in questo casino per ferirmi. Perché in Italia non possiamo fare la rivoluzione perché ci conosciamo tutti, e non possiamo fare quella digitale perché c'è sempre un ponte lungo in mezzo.

Scopro che si può attivare la SPID dalla app della mia banca. La mia banca mi dice che è questione di un secondo, è veloce e indolore, sarà sempre al mio fianco, crede in me, mi terrà la mano. E mi reindirizza al sito delle poste, dove la mia pratica è già in giacenza e una signorina Vaccaroni virtuale mi gela con la versione burocratichese di «Eh, ma io no!».

Quarto doloroso flashback: non è la prima volta che la banca oltraggia la mia dignità di uomo e di artista. Appena arrivato a Milano corsi ad aprire un conto, assistito da una simpaticissima e gentilissima signorina Vaccaroni brianzola. Una di quelle che quasi ti fa credere agli spot delle banche, che è lì per te, per cui non sei solo un numero. Infatti che charme, che small talk! E da dove viene di bello, e ha preso casa nel quartiere, e le piace Milano, sono certa che si troverà bene, e ha visto che non è vero che qui siamo tutti freddi e scostanti?

Pensai effettivamente che Milano fosse il futuro, che finalmente la maledizione del Mostro fosse stata sconfitta. Fino a quando, esaurite tutte le pratiche, la funzionaria mi strinse la mano e mi chiese: «E cosa è venuto a fare di bello?». Risposi prontissimo, anche perché non me lo aveva chiesto ancora nessuno e non vedevo l'ora di dirlo, sai adesso questa come impazzisce, sai i complimenti, le domande, le curiosità... «Sono venuto a lavorare per la tv, scriverò una sit-com», risposi.

Il sorriso morì su quel bel volto, che si irrigidì come la sua mano mentre gli occhi iniziarono a scrutarmi improvvisamente severi per lunghi, silenziosi, secondi. Poi la voce, adesso spietata come la diagnosi: «Lei non ha la faccia da commedia». Da allora sono tornato in banca molto raramente.

Non è l’app in sé

Non sono ancora riuscito a usare IO, e da quel che leggo non sono l'unico: naturalmente il sito è andato in crash, naturalmente nessuno riesce a farsi riconoscere le carte di credito, naturalmente nessuno riesce a inserire l'IBAN. Che invidia, poter dare la colpa ai soliti disguidi. Deve essere bellissimo poter incolpare Conte, la Rete, il ministro. Deve essere bellissimo non sapere che quando digiti “rimborso” il tuo correttore lo cambia in “rimorso” perché ti conosce, perché devi pagare una vita di errori, perché la Burocrazia e la Tecnologia sanno benissimo che soffri della sindrome dell'impostore e sono pronte a sputtanarti.

Non avrai mai più un rimborso in questa città. Non hai neanche l'identità digitale, mia nonna l'ha fatta nel 2016 mentre ritirava la pensione. Non hai mai plastificato la carta d'identità, non ti vergogni a mostrarla in questo stato alla signorina Vaccaroni?

Non sai neanche fare una fattura elettronica, vuoi mandarci tutti in galera? Mi hai fatto chiudere la PostePay e ora i miei figli muoiono di fame. E tu dovresti far ridere, con'sta faccia?

Tutto questo mi diceva il Mostro mentre fissavo lo specchio scuro con l'icona di IO. Chissà se lo psichiatra partecipa al cashback. Vorrei solo spiegargli che non è l'app in sé. È l'app in me.

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