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L’innesto è la pratica che spiega perfettamente che cos’è l’agricoltura. La natura ci offre straordinari regali sotto forma di alberi, piante, frutti, etc. Ma l’ingegno umano può intervenire su questi regali elaborando sulla natura una forma di cultura, che in questo caso e quella che appunto chiamiamo agricoltura. A un livello superficiale, questo intervento consiste nella razionalizzazione di quello che la natura ci offre. Per esempio superando il "disordine" con cui questi regali sono disposti, e raggruppandoli invece per categoria: tutti i meli in un’area, i pomodori in un'altra etc., rendendo così il lavoro e il raccolto più comodi e veloci. E quando le monocolture impoveriscono il terreno, allora si cambia, ma sempre con un ordine razionale e "culturale".

Esiste pero anche un livello più profondo di intervento umano, che consiste nel mutare questi regali, per esempio incrociandoli tra loro. Lo si fa anche con gli esseri viventi, basti pensare al mulo, un incrocio tra l'asino e la giumenta che è attestato già circa 5.000 anni fa nella cultura egizia ma che gli esperti sostengono sia stato creato molto prima.

In agricoltura questo incrocio di elementi diversi si chiama innesto. Concretamente, l’innesto consiste nell’introdurre in una pianta che in gergo si chiama soggetto o portinnesto, un’altra pianta, che si chiama nesto o marza. Lo scopo è quello di migliorare le caratteristiche di una specialità, eliminare i problemi di un frutto e affinarne l’aspetto o il sapore. Le regole fondamentali sono due: le piante devono essere affini e l’innesto deve farle combaciare perfettamente.

Greci e romani

L’innesto è una pratica antichissima, risalente a più di duemila anni fa. Incredibilmente, gli innesti che si fanno oggi sono praticamente identici a quelli che si facevano nell’antica Grecia o all’epoca dei Romani. Si tratta quindi di una delle pochissime tecnologie che è rimasta invariata per tutti questi anni. Sia Varrone nel De re rustica che Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia descrivevano l’innesto tecnicamente, ma anche soffermandosi sulle credenze popolari e religiose che volevano gli alberi innestati colpiti da fulmini per punizione divina, in quanto portatori di mescolanza e disobbedienza alla natura. Lorenzo de' Medici scrisse invece nel Quattrocento, tra i Canti Camascialeschi, La canzona degli innestatori che celebrava questa pratica: «Chi vuol buon olio ancor gli ulivi innesti Ie mele e fichi fansi grossi e presti».

Ma fu nell’Ottocento che l’innesto salvò la produzione di vino in gran parte dell’Europa. Le viti erano state infatti colpite dalla fillossera, arrivata con l'importazione della vite americana in molti paesi europei. Il parassita non aveva grandi effetti sulla vite americana, ma attaccava le radici di quella europea: all’inizio la pianta non mostrava sintomi, ma dopo circa cinque anni moriva senza poter essere curata. Non si conosceva un rimedio e sembrò che la vite fosse davvero sull'orlo dell’estinzione. Ma poi l’Italiano Giulio Magnani e un gruppo di agronomi francesi intuirono che un rimedio c’era: l’innesto della vite americana su quella europea, per in qualche modo “ingannare” il parassita e fargli credere che stava attaccando una vite americana e non europea. Il trucco funzionò e la produzione di vino europeo fu salva.

Questione di colore

Altri esempi di innesto sono quotidianamente tra di noi: il carciofo che conosciamo oggi è il risultato di una lunga serie di innesti partiti dal cardo selvatico, in Medio Oriente nel Medioevo e poi in Italia nel Rinascimento. La carota in natura era bianca o viola (se ne trovano ancora in negozi e supermercati). Divenne arancione grazie agli innesti creati nell’Olanda del 1600, quando si volle omaggiare la dinastia degli Orange. Il radicchio rosso era in partenza verde (e cibo dei poveri).

Cambia colore (e classe sociale) subito dopo l’Unità d’Italia, ma non dite ai nazionalisti che il tricolore non c’entra niente e che il tutto fu creato dall’agronomo belga Francesco Van Den Borre, che applicò a questa pianta quello che era stato fatto in Belgio con l’indivia. E ancora molti sottogeneri di frutta come mele, pere, susine, etc. sono frutto di innesti.

Oggi si innesta per motivi di qualità del gusto o aspetto esteriore, o per rientrare nei dettami di qualche disciplinare. Ma le creazioni più interessanti sono quelle di Francesco Mangano, Salvatore Cavarra e altri, soprattutto in Calabria e Sicilia. Questi agricoltori hanno innestato il Solanum, albero delle solanacee che non da frutti commestibili, con le piante di pomodori e melanzane, che appartengono alla stessa famiglia. I risultati, che possono essere visti su YouTube, sono alberi di pomodori e melanzane alti fino a 5 metri, che rispetto alle piante tradizionali non devono essere ripiantati ogni anno, risparmiano suolo e sono più facili da gestire.

E infine c’è l’arte. Sam Van Aken, professore di scultura alla Syracuse University, artista e grande innestino, ha creato una serie di alberi, Trees of 40 fruit, che producono ognuno circa 40 varietà di un frutto, dall’albicocca alla ciliegia alla mandorla. Sono sculture viventi che vogliono ricordarci l’importanza dell’agricoltura, dell'intervento umano su quello che la natura ci ha regalato. E di una pratica antica, semplice e necessaria come quella dell’innesto.


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