Nato nel 1928 nel New Jersey, Nathwell Tate, detto Nat, fu un artista della New York school, il cui linguaggio pittorico era assai vicino all’espressionismo astratto. Le sue opere, soprattutto le tele della serie Bridge, ispirate all’omonima poesia di Hart Crane, ottennero un buon successo di mercato e negli anni Cinquanta l’artista espose in collettive insieme a Barnett Newman, Lee Krasner, Adolf Gottlieb, Philip Guston.

Di indole fragile e con grossi problemi di alcolismo, Tate si suicidò il 12 gennaio 1960, gettandosi in acqua dal ferry per Staten Island, dopo essere riuscito a ricomprare e distruggere la gran parte delle sue opere. Pare che l’incontro con Georges Braque, durante un viaggio in Europa, lo avesse convinto della scarsità del suo talento.

La sua vicenda artistica fu dimenticata per lungo tempo, finché nel 1998 la casa editrice fondata da David Bowie, la 21 Publishing, non pubblicò una biografia dell’artista, redatta da William Boyd. Il che accese nuovamente l’interesse della critica intorno alla sua opera, almeno fino a quando, circa una settimana dopo l’uscita del libro, si scoprì che Nat Tate non era mai esistito: si trattava di un’invenzione letteraria, frutto della fantasia di Boyd e Bowie.

Storie sull’arte

La decisione di pubblicare il libro in italiano (Nat Tate. Un artista americano), per quanto ormai da tempo fosse stata svelata la beffa dell’inesistente pittore, è stata di Giuseppe Russo, direttore editoriale di Neri Pozza, che lo ha dato alle stampe lo scorso anno.

D’altra parte, la casa editrice milanese intrattiene da sempre uno stretto legame con l’arte: il fondatore Neri Pozza (1912-1988), lui stesso artista e collezionista, fu editore di critici e storici dell’arte quali Sergio Bettini e Carlo Ludovico Ragghianti. E l’esordio di Russo alla guida della casa editrice, nel 2000, fu segnato dall’uscita de La ragazza con l’orecchino di perla di Tracy Chevalier, storia di Griet, giovane domestica a casa del pittore Jan Vermeer, e della loro relazione. «Qui la vera protagonista è l’opera d’arte» mi spiega Russo «e in questo sta il fascino della letteratura: a differenza di una biografia, che si limita a mettere in fila una serie di dati di fatto, il romanzo illumina le intenzioni, i desideri, le condotte di vita dei personaggi e mostra il lato nascosto dietro all’opera».

Che si tratti di pure invenzioni letterarie, di biografie romanzate o di saggi, i titoli che la Neri Pozza dedica all’arte sono davvero molti e hanno in comune il fatto di trasformare in personaggi, cioè di rendere immortali, non solo creature fittizie come Nat Tate, ma anche artisti che sono realmente esistiti. Così facendo, ogni libro getta luce sulle intenzioni e sulle condotte che hanno portato alla creazione di capolavori, illuminando intere epoche.

In età vittoriana, un anonimo libraio inglese acquista per poche sterline un quadro di Velázquez e ne viene pericolosamente ossessionato (Laura Cumming, Alla ricerca di Velázquez); nel 1941, a Marsiglia, Peggy Guggenheim incontra per la prima volta Max Ernst, e da quel momento inizia una relazione che sarà fondamentale nell’esistenza della collezionista americana (Leah Hayden, Miss Guggenheim); il matrimonio tra Gino Severini e Jeanne Fort, a Parigi nel 1913, è l’occasione per l’incontro tra l’avanguardia artistica italiana e quella francese, in un fervido clima culturale che di lì a poco sarà spazzato via dagli orrori della prima guerra mondiale (Lino Mannocci, Scene da un matrimonio futurista): romanzi, saggi o mix tra i due, i volumi sull’arte hanno l’intento di informare senza trascurare la piacevolezza della lettura. «Illuminano il profilo di un artista, il tempo in cui viveva, la nascita delle opere, i loro retroscena» spiega Russo.

La divinità del mondo

Qual è il motivo di tale interesse per un àmbito così specifico della cultura? «Tutta questa produzione editoriale mira a ricostruire l’artista come un pensatore, cioè un uomo riflessivo, un uomo che apre un mondo» risponde Russo, la cui idea dell’arte ha a che fare con la capacità di accostarsi alla trascendenza. In una società dominata dall’ideologia neoliberista, nella quale ha valore soltanto ciò che è misurabile ed esprimibile in termini di prezzo, l’arte è invece «il luogo in cui ne va dell’assenza o della presenza di Dio, dove per Dio s’intende l’assoluto, la divinità del mondo».

Una casa editrice come progetto letterario, che ubbidisca cioè a un’idea opposta a quella del mondo come mero mercato, non può prescindere dall’arte, non può non trattare d’arte. L’arte, secondo Russo, al pari di ogni altra attività umana non può essere indagata attraverso un approccio scientifico oggettivante, che pretenda di poter stabilire regole di funzionamento, criteri evolutivi e chiavi di traduzione esprimibili in termini quantitativi: «Se si potesse descrivere l’arte da un punto di vista rigorosamente scientifico, che per esempio ne interpreti lo sviluppo sulla base di codici visivi e di innovazioni di volta in volta approvati dall’ambiente, faremmo della critica qualcosa di incontrovertibilmente logico, e ogni idea che fosse al di fuori del rigore del ragionamento non sarebbe altro che un pregiudizio arbitrario».

Per fare un esempio concreto, ricordando anche una recente uscita della casa editrice, Solitudine Caravaggio di Yannick Haenel, Michelangelo Merisi non aveva certo la preoccupazione di «dover organizzare una tecnica comunicativa che fosse apprezzata dal mercato dell’arte del tempo». Il suo problema non era inventare un codice inedito semplicemente per rompere con il passato e guadagnarsi nuovi estimatori più o meno competenti. Caravaggio, secondo Russo il più grande pittore di tutti i tempi, si confrontava con la divinità del mondo e con il suo essere costantemente minacciata. “Dio è assente, per questo c’è la pittura”, scrive a questo proposito Haenel.

Alla base della pittura di Caravaggio c’è un «pensiero dell’esistenza». Ed è questo a rendere la sua opera rivoluzionaria rispetto al passato: è solo sulla base di quel pensiero che le precedenti forme classiche del Rinascimento entrano in crisi nella sua opera, non certo sulla base di un’innovazione tecnica. «Nella pittura il pensiero si fa rappresentazione visiva compiuta» e infatti, stando a Giuseppe Russo, la pittura è capace più di altre forme espressive di confrontarsi con l’eternità, attraverso i volumi, il gioco dei chiaroscuri, il silenzio della figura. Delineata sulla tela, «la singola vita diviene esposta, chiamata, come se fosse di fronte al giudizio dell’eternità».

Tra gli altri pittori apprezzati da Russo, oltre a Piero della Francesca, ci sono alcuni novecentisti italiani: Antonio Donghi, Cagnaccio di San Pietro, Ubaldo Oppi, che «si misurano sul misticismo dell’individuo, su quell’unica esistenza che porta con sé riflessioni, condotte, idee del mondo». E poi Francis Bacon e Lucian Freud.

Quando si arriva all’arte contemporanea, però, la visione di Russo è piuttosto critica. «Viviamo in un’epoca che è una sorta di bolla semiotica, manca di senso, e per questo cerchiamo ovunque un codice che abbia un valore» mi spiega. «Questa situazione provoca, nell’arte di oggi, l’innovazione costante e continua di forme che sono puramente codici: basta produrre un segno nuovo, di qualsiasi natura esso sia, in un costante inseguimento delle novità. E se una determinata opera costituisce un codice che nella sua produzione scarseggia, ottiene un prezzo maggiore».

Ovviamente non tutta l’arte contemporanea è così sterile, però è indicativo che al momento attuale siano considerati opere, e pagati milioni di dollari dai collezionisti, oggetti virtuali come i CryptoPunks, faccine di pixel realizzate con una tecnologia che rende unico ogni esemplare. Messi in asta e pagati con la criptovaluta Ethereum, devono il loro valore al fatto che è il mercato, inteso secondo le teorie neoliberiste come una sorta di “mente invisibile” il cui ordine si determina in base ai prezzi, a decidere che cosa debba essere comprato. In tutto ciò, è evidente che non sono in gioco “il problema della presenza o dell’assenza di Dio” né un “pensiero dell’esistenza”, per riprendere le espressioni di Russo che alludono alla trascendenza.

Dunque, dell’arte contemporanea non si salva niente? «No, ci sono artisti interessanti, per esempio il belga Michaël Borremans. La sua pittura ha al suo centro l’oscurità del mondo, l’ingiustizia, la solitudine contemporanea. Sono gli stessi elementi che hanno guidato Caravaggio nel suo alternare luce e buio sulla tela, e sono temi centrali nella grande arte di tutti i tempi». Forse sono anche gli stessi fattori che nel romanzo di Boyd hanno portato Nat Tate al suicidio.

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