Arrivano insieme le notizie sulla scuola. Da una parte i ritardi sulla spesa dei fondi del Pnrr, dall’altra le dichiarazioni del ministro Valditara sul divieto di cellulare e tablet a scuola. Comunque lo si guardi, un dibattito impostato in questo modo è un disastro.

Il Piano scuola 4.0 si avvia a essere un flop di dimensioni rilevanti. Dopo mesi di retorica sull’innovazione, lo stato dell’arte è uno stallo: un rimando dopo l’altro, un confronto nei collegi docenti praticamente inesistente, l’occasione dolorosamente mancata di investire su strutture della scuola pubblica e non su appalti alle aziende esterne pronte a rifornire gli istituti di strumenti presuntivamente all’avanguardia. In più, in assenza di una complementare formazione del personale scolastico, quella stessa tecnologia è destinata a una rapida obsolescenza.

Non bastasse questa imminente bancarotta, ecco l’ennesima intervista al ministro Valditara, che interviene, nonostante il suo ruolo, sempre da opinionista fuoriluogo, sulle politiche scolastiche. Non contento di aver dato copertura politica ai pestaggi di Pisa, sul Foglio di qualche giorno fa sparava in maniera scomposta sui device in classe. Come ormai capita sempre, a stretto giro arrivava una precisazione del ministero dell’istruzione che chiarisce la posizione ufficiale del ministro: «È opportuno evitare l’utilizzo dello smartphone (cellulare) nelle scuole d’infanzia, primarie e secondarie di primo grado. Si consiglia invece un uso solo didattico del tablet per le scuole primarie». Ossia, come spesso capita, il ribadire l’ovvio.

Quello che mostra questa ennesima polemica a esito nullo è una doppia mancanza. Di un serio dibattito scientifico sull’apprendimento attraverso i device elettronici, e di un serio monitoraggio dell’uso, uso didattico, e abuso dei device nelle scuole italiane.

Eppure se ci si volesse formare approfonditamente evitando al tempo stesso retoriche tecnofile o tecnofobe, la bibliografia a disposizione, specialistica o divulgativa, esiste, e spesso è disponibile anche in modo open source. Si può trovare facilmente, per esempio, un saggio divulgativo e pieno di bibliografia aggiornata, Il lettore distratto di Andrea Nardi. Chiunque ragioni in modo serio sulla scuola, sa che la questione cardinale riguarda non l’uso dei cellulari in generale, ma comportamenti indotti da come vengono impostate le applicazioni: è lo scrolling, o il refreshing, o la pioggia di notifiche, a toglierci una delle risorse principali che abbiamo per lo studio e l’apprendimento, la concentrazione.

Tristan Harris, interaction designer ed ex-design ethicist di Google, spiega: «Diversi miliardi di persone hanno una slot machine nelle loro tasche: quando controlliamo le notifiche sul nostro telefonino, quando “refreshiamo” per aggiornare le e-mail, quando facciamo scivolare il nostro indice lungo lo schermo per aggiornare Instagram, quando scorriamo i profili di potenziali partner su Tinder stiamo giocando con una slot machine».

Non serve nemmeno sapere come questo genere di comportamenti, indotti e ripetuti, creino dipendenza per un meccanismo neurologico, produzione e rilascio di cortisolo, adrenalina…

Ma qual è l’aspetto più paradossale di questa sciagura pedagogica? Che non sono soltanto i social come Tik Tok o Instagram a educare il nostro cervello a una dipendenza da device, ma anche altre applicazioni che oggi vengono considerate nodali per la didattica a scuola: quelle del registro elettronico. L’app che gli studenti refreshano più spesso è proprio quella di Classeviva o Axios che è sui loro device, e che fornisce la media matematica dei voti. Allora diventa davvero poco credibile immaginare di contrastare un uso tossico dei cellulari, dopo aver impostato ormai ogni relazione educativa tra studenti e docenti, tra scuole e famiglie, attraverso il registro elettronico e il suo uso tramite applicazione. Ma tutto questo il ministro distratto non lo sa.

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