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Il testo si presenta come un romanzo di formazione, una quarantenne che è rimasta adolescente per vent’anni e ora raggiunge l’equilibrio grazie alla figlia che ha avuto con un intervento (capriccioso ma fatale) di procreazione assistita.
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Una figlia senza padre, perché lei di Padre ne ha avuto troppo. Il grembo paterno è un libro non esente da difetti, ma il passo è stato fatto.
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Dopo aver costeggiato una verità ovvia (i nonni danno ai nipoti ciò che non han saputo dare ai figli), il libro si chiude con un lieto fine a metà: la speranza di poter crescere senza mai diventare adulta, pregando la figlia di insegnarle come si fa a nutrire invece che ad aver fame.
Il coraggio psicologico non è mai mancato a Chiara Gamberale, fin dal suo primo precocissimo romanzo; già a ventidue anni lei si sapeva segnata da un handicap e da un dono, e provava a usare il secondo per mascherare il primo. L’handicap era una spropositata fame di eccezionalità, compenso a un’oscura originaria mancanza d’amore; di tutto volerne sempre ancora e ancora, quindi disperata coazione a ripetere e tipica bulimia, non solo alimentare ed erotica ma intellettuale ed esistenziale. Sf



