La mostra I Macchiaioli, a palazzo Blu di Pisa, fino al 26 febbraio 2023, prodotta e organizzata da Fondazione palazzo Blu e MondoMostre, con il contributo di Fondazione Pisa, a cura di Francesca Dini, esperta tra le più autorevoli di questo movimento, ripercorre l’entusiasmante evoluzione e insieme rivoluzione dei Macchiaioli, che hanno dato vita a una delle più originali avanguardie nell’Europa della seconda metà del XIX secolo.

Si tratta infatti di una retrospettiva di oltre 120 opere, per lo più capolavori provenienti da collezioni private, solitamente inaccessibili, e da importanti istituzioni museali: le Gallerie degli Uffizi di Firenze, la Galleria d’arte moderna – musei di Genova Nervi e la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma. Il ricco catalogo della mostra è edito da Skira editore.

Fu Giuseppe Riguttini sulla Gazzetta del Popolo a battezzarli ironicamente Macchiaioli nel 1862: essi rinnovarono con le loro tele la pittura italiana in senso anti accademico e realista. Questo importante movimento pittorico divenne popolare, arrivando a un pubblico più vasto, oltre cinquant’anni fa grazie all’ormai storica mostra di forte Belvedere a Firenze che li ripropose a un pubblico vasto e non locale.

Sull’arte dei Macchiaioli molto si è detto e molto si è scritto, senza mai però riuscire a restituire appieno quella visibilità internazionale che le spetta. È un destino che riguarda tutta l’arte dell’Ottocento italiano, emarginato in Europa dopo la grande stagione del secolo precedente con le stelle luminose di Canaletto e Guardi che fecero conoscere Venezia meglio di altri.

La competizione

Ma l’emarginazione dei Macchiaioli fu causata soprattutto dalla competizione con l’Impressionismo francese, impostata come ineludibile dalla critica sin dai tempi di Roberto Longhi, e ha fin qui impedito una lettura completa e autonoma della vicenda dei Macchiaioli.

Oggi più che mai, cadute le visioni nazionaliste a favore di uno sguardo europeista e internazionale, si è disfatta una barriera e si è più propensi a stemperare la concezione francocentrica della storia della pittura europea del XIX secolo. Questo lo si dice, senza sminuire la portata universale del messaggio impressionista, a evidenziare con maggiore oggettività i nessi vitali e fecondi del dialogo culturale tra i popoli che hanno contribuito all’evoluzione della civiltà e dell’arte europea.
In questo contesto la vicenda dei Macchiaioli assume una rilevanza ancora più interessante, così come la Toscana, terra di elezione per loro esperienza artistica con l’apice insuperato del Rinascimento. Questi pittori appaiono dunque per ciò che sono effettivamente stati, ovvero la chiave di un dialogo aperto, propositivo, onesto e audace con le più importanti comunità artistiche dell’Europa del tempo.

Il termine “Macchiaioli” fu coniato nel 1862 da Giuseppe Riguttini, come già ricordato, che così definì questi pittori: «Nelle teste delle loro figure voi cercate il naso, la bocca gli occhi e le altre parti: voi ci vedete delle macchie senza forma. Il naso, la bocca e gli occhi ci sono, basta immaginarseli!». Questi pittori intorno al 1855 – riunitisi nel Caffè Michelangelo di Firenze –  avevano dato origine a un rinnovamento in chiave anti accademica della pittura italiana in senso realista. L’accezione macchiaioli ovviamente era ironica e giocava su un particolare doppio senso: darsi alla macchia infatti, significa agire furtivamente, ma anche per la maniera di usare il colore per “macchie” disposte l’una acconto all’altra.

Prendere le distanze

L’esposizione a palazzo Blu, articolata in undici sezioni, racconta dunque l’eccitante avventura di un gruppo di giovani pittori progressisti, toscani e desiderosi di prendere le distanze dall’istituzione accademica nella quale si erano formati, sotto l’influenza di importanti maestri del Romanticismo come Giuseppe Bezzoli e Francesco Hayez.  Essi giungono in breve tempo a scrivere una delle più poetiche e audaci pagine della storia dell’arte non solo italiana.
Ed è proprio per via dei valori universali che la sottendono che l’arte dei Macchiaioli risulta così attuale, affascinando con la pienezza formale e poetica di straordinari capolavori indelebilmente impressi nella memoria collettiva. Dalle Cucitrici di camicie rosse di Odoardo Borrani, a Il canto di uno stornello di Silvestro Lega, alla Battaglia di Magenta di Giovanni Fattori che spicca nella sezione dedicata alla Seconda guerra d’indipendenza. Lo sguardo intimo sulla realtà a loro contemporanea, la visione antieroica e profondamente umana che i Macchiaioli ebbero del Risorgimento incantarono anche il mondo del cinema, a principiare da Luchino Visconti fino a Martin Scorsese.
La mostra di palazzo Blu raccoglie le opere “chiave” di questo percorso allo scopo di cadenzare i diversi momenti della ricerca dei Macchiaioli, il loro confrontarsi con altri artisti e con le diverse scuole pittoriche europee; i loro smarrimenti, la capacità di mettersi collettivamente in discussione e di sterzare, se necessario, il timone per proseguire sulla strada del progresso e della modernità, senza per questo abbandonare mai la via maestra della luce e del colore. Il pubblico dei visitatori troverà le risposte alle domande più ricorrenti: perché i Macchiaioli sono nati in Toscana, possono essi ritenersi i pittori del Risorgimento? Perché sono considerati un’avanguardia europea? 

A questi interrogativi si può rispondere in modo decisamente affermativo, perché molti di loro furono intrisecamente toscani e anche se conviene ricordare la scoperta più recente del foggiano Severio Altamura con Telemaco Signorini in costume da Borgia esposto in primis nel 1911 mai più visto, il napoletano Giuseppe Abbati, i veneti Vincenzo Cabianca e Federico Zandomenighi. I Macchiaioli. seppero attingere in modo originale a una secolare tradizioni di pittura e alcuni di loro furono assai vicini alle vicende risorgimentali che infiammarono gli animi in quegli anni in Italia.

Furono sostenuti da un poeta celebre come Giosuè Carducci e da un critico di punta quale fu Diego Martelli che offrì loro la sua villa di Castiglioncello. Ne è testimonianza la tela su olio di Giovanni Fattori, Lega che dipinge sugli scogli del 1866: chi scrive considera questa tela un timbro dell’intero movimento.

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