«Sarai nuda?». Questa la prima – a volte l’unica – curiosità espressa da coloro ai quali raccontavo che avrei partecipato a una performance di Vanessa Beecroft. Non sapevo rispondere. Quando l’artista mi ha chiesto di prendere parte a una sua opera, ho accettato immediatamente senza fare domande. L’appuntamento era per il giorno dell’Immacolata, palazzo Abatellis, Palermo. Non sapevo altro.

Opere a nudo

Di performance di Vanessa ne ho viste diverse. La prima fu al Castello di Rivoli, dove capitai per caso, senza avere la più pallida idea di chi fosse Vanessa Beecroft, né cosa significasse quello strano codice VB.

A Rivoli nel 2003 vidi VB52: 30 donne sedute intorno a un lungo tavolo che mangiavano cibi seguendo la scala cromatica, come se il menù fosse una mazzetta colori. In effetti erano nude, ma non fu certo la loro nudità a folgorarmi. Il nudo in arte – come in pubblicità del resto – è una forma tradizionale, un topos, quasi un cliché. Nessuno si stupisce che la Venere di Milo sia nuda. Da tempo, l’Olympia di Manet ha smesso di dare scandalo, senza per questo smettere di essere ammirata. La piazza della Vergogna di Palermo ha conservato il nome, ma le sue statue senza veli non offendono più nessuno, al contrario. Allo stesso modo, non è certo la nudità il cardine delle opere della Beecroft.

L’enigma

Tuttavia resta arduo individuare con esattezza cosa scateni la trance ipnotica, lo stato meditativo, la coscienza altra con cui le osserviamo. Sono enigmatiche le donne di Vanessa. Impossibile penetrarne il segreto, interpretarne il fascino, decifrarne il mistero. Guardarle è come contemplare il fuoco: difficile distogliere lo sguardo, ancor più capire che cosa sia a stregarlo. Forse, entrandoci dentro, sarei riuscita a craccare il codice, a sciogliere l’enigma Beecroft.

Ho accettato ben consapevole di qual era la posta in gioco: affascina ciò che non si conosce fino in fondo. Una volta conosciuto, troppo spesso svanisce la magia. Vale per i luoghi, le persone e forse anche le opere d’arte. Ho corso il rischio. E così, nel solco della leggendaria Nellie Bly, che ha inventato il giornalismo sotto copertura (si è finta pazza per raccontare l’orrore degli ospedali psichiatrici femminili), ho messo – o smesso – i panni della modella. A Palermo avrei partecipato a VB94, decriptato in VB le sigle dell’artista, 94 il numero della performance.

Lo sfondo

Palermo, palazzo Abatellis, giovedì 8 dicembre 2022 – ore 7

L’accostamento tra antico e contemporaneo, tanto in voga nelle fiere d’arte come tra i galleristi e collezionisti più à la page, si sa, è un’arma a doppio taglio. Abatellis, sede della Galleria regionale di arte medievale e moderna diretta da Evelina De Castro, ne è uno dei primi esempi e tra i più felici. Tra medioevo e rinascimento fu residenza nobiliare, poi convento di clausura. Gravemente danneggiato dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, divenne museo nei primi anni Cinquanta. Per restaurarlo e allestirlo chiamarono Carlo Scarpa, architetto di culto ormai tendente all’idolatria non solo tra gli addetti e gli adepti: via le incrostazioni posteriori, le balaustre in ferro battuto a petto d’oca, la fontana barocca al centro del cortile.

Armonia degli spazi, equilibrio delle forme, purezza di linee e superfici e una manciata di capolavori: il Trionfo della morte, l’Annunciata di Antonello da Messina, il busto di Eleonora d’Aragona scolpito da Francesco Laurana. Il risultato è un prodigio di museo, opera seminale, in cui storia, architettura, arte e umanità si fondono in un unico percorso fatto di stupori, attese, presagi, attimi sospesi e moniti. Metafisico.

La performance

Ma torniamo all’immanente: giovedì 8 dicembre, ore 7 del mattino, meteo incerto. La giornata si annuncia lunga e rigorosa: trucco e parrucco fino alle 11. Dalle 11 alle 16 riprese fotografiche e video. Alle 17, ritocco trucco e parrucco. Alle 17.30 ingresso stampa. Alle 18 e fino alle 21 apertura al pubblico.

Siamo 18 modelle dai sette mesi ai 78 anni. Estrazione, nazionalità, forme e fattezze delle più varie: storiche dell’arte, studentesse, socialite, bariste, nobildonne, immigrate, mamme, wannabe artiste, ingegnere, insegnanti di yoga, bionde, brune, nere, alte, basse, tonde, filiformi. Come spesso accade molte rientrano in più categorie, altre in quasi tutte, altre in nessuna.

Trucco e parrucco, grazie a Dio, si rivelano minimali, «nientefondotintapercaritànonsiamoallatelevisione!». Come i costumi del resto: lunghe tuniche bianche, monacali. Organza o lino. Uno o due veli. Queste le opzioni. Ai piedi décolleté oro o argento, con tacco bon ton. Mutandone candide della nonna. Collant color carne: 20, 40, 70 denari. In fin dei conti, tutto si riduce a una questione di trasparenza, vedo e non vedo, sono o non sono, che nell’universo delle calze  – ma non solo – si esprime in denari.

Le indicazioni di Vanessa, se possibile, sono ancora più minimali. Al truccatore cita Pasolini. Alla parrucchiera Raffaello. A noi dice poco o niente: siate naturali, siate altrove, muovetevi lentamente ma non troppo, sedetevi, alzatevi, non parlate, non ridete. Ai fotografi, cameramen e assistenti ancora meno. Eppure comincia una danza in cui ognuno d’istinto sembra conoscere la sua parte. La sala delle sculture del XV e XVI secolo inizia a vibrare come un alveare che si muove intorno alla sua ape regina, senza bisogno di parole, al diapason con lei.

E il miele scorre a fiotti: migliaia di fotografie, digitali, polaroid, medio-formato, da cellulare; una pioggia di flash che neanche sul red carpet la notte degli Oscar; ore di girato; vedute d’insieme, in verticale, in orizzontale, dettagli, primi piani, figure intere, mezzi busti…

Lo staff del resto è imponente: due truccatori, una parrucchiera, due costumisti, due fotografi, tre cameramen, direttore della fotografia, compositore, responsabile casting, addette stampa, uno stuolo di assistenti, assistenti, assistenti…

La performance è prodotta da Vanessa Beecroft Studio LA, con la Partecipazione della Galleria Lia Rumma. Solleciti ed efficientissimi la produzione esecutiva di Vito Planeta Junior e il coordinamento di Valentina Bruschi. Deus ex-machina dell’intera operazione Vito Planeta Senior. Insostituibile il sostegno affettuoso della famiglia Planeta in toto..

Opere sibilline

L’occasione è quella di presentare per la prima volta al pubblico le ultime opere della Beecroft: 17 teste modellate in creta e riprodotte in ceramica, bronzo e cera. Sibilline. Musa ispiratrice e nume tutelare è Eleonora d’Aragona che veglia su di noi dalla stanza accanto. Passato, presente e futuro. Pietra, terra, metallo e carne. Eppure… eppure manca qualcosa: vuoto l’occhio bovino della telecamera; grifagno il becco delle giurassiche polaroid.

Poi, finalmente, arriva il pubblico. Ed è dal suo riflesso che scaturisce il senso. Le donne di Vanessa stregano, interpellano, attirano, repellono, allattano, interrogano, implorano, sfidano, piangono, pregano, ma soprattutto aspettano. Una spossante, sbigottita, dolorosa attesa, fino al punto di rottura. Chi attende con dignità, chi con rassegnazione, chi ancora sta dietro alle proprie fole. Particolarmente amaro guardare le più giovani tra noi buttate lì, smarrite, malinconiche, annoiate. Aspettano la meraviglia, l’ebbrezza, l’avventura… e non succede.

Non si può smentire il tempo, hanno ancora tanto da aspettare. Tra noi chi è passato al di là, chi non aspetta più nulla ha la stessa consapevolezza assorta dell’Annunciata al piano di sopra. Ed è più bella di una statua. Anche tra il pubblico c’è chi non si lascia distrarre dalle teste, le cosce, le tette, il marmo e con orrore intuisce. Sono più di duemila gli spettatori e hanno atteso in fila due ore il loro turno di entrare. Ora ci guardano, ci scrutano e aspettano. Aspettano e non succede niente: chi scosta un velo, chi trema dal freddo, chi si aggiusta i capelli, frivolezze, quisquilie, bazzecole, niente… la vita che scorre. Meravigliosa e terribile.

Accade che quando svanisce la magia, si manifesti l’essenziale, nei luoghi, nelle persone e anche nelle opere d’arte. L’ho scoperto sulla mia pelle.

Quindi la risposta ai curiosi è sì, ero nuda.

L’uscita è per di là, verso il Trionfo della morte, dell’omonimo anonimo maestro.

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