Va bene la parità salariale, va bene detassare gli assorbenti, ma possiamo parlare un attimo di quanto costa la manutenzione alle donne? La situazione è ormai sfuggita di mano. «C’è un complotto mondiale», mi sento dire a un’amica che mi ha appena rivelato di spendere settanta euro ogni due mesi per fare la laminazione alle sopracciglia.

Laminazione. Alle. Sopracciglia. Stiamo parlando della parte del corpo più piccola e insignificante che ci sia, la cui cura un tempo richiedeva al massimo tre euro di pinzetta e un po’ di buona volontà, e invece no, siamo riuscite a farci infinocchiare anche sui due peli che ci crescono in faccia, che non possono più semplicemente esistere in santa pace, devono essere laminati. Il complotto mondiale contro le donne ci porta a fare cose folli: laminazioni, ossigenazioni, depigmentazioni.

Gwyneth Paltrow si fa sparare l’ozono nel culo, decantandone gli effetti benefici sulla pelle (anche se per onestà intellettuale ci tengo a dire che l’unica persona che conosco nella vita reale che si sottopone regolarmente a tale pratica è un uomo etero).

Ogni mattina una donna si sveglia e sa che dovrà correre da Sephora a comprare qualcosa che le serve urgentemente. E sa che quel qualcosa che le serve urgentemente non costerà meno di ventotto euro, non importa cosa sia. Ventotto euro è il prezzo base della cosmesi, l’ha deciso il complotto mondiale. Molti anni fa, non mi ricordo esattamente quando, ho deciso che la mia personalità sarebbe stata composta in larga percentuale dai capelli lunghi. Questo succedeva in tempi in cui ero molto giovane e avevo capelli molto belli, potevo lavarli con il Pril Lavastoviglie e non avrebbero comunque perso il loro splendore. Negli ultimi quindici anni ho assistito al costante declino della mia chioma e contestualmente ho iniziato a spendere molti più soldi per mantenerla, con risultati via via sempre più deludenti.

Se non fossi una donna vittima del complotto mondiale, forse a questo punto avrei saputo accettare l’evidenza e mi sarei arresa: è andata così, volevo essere Jane Birkin e invece sono Joey Ramone. Eppure mi ostino a cercare soluzioni, sperando di trovarle nel prossimo shampoo da ventotto euro o in un video di TikTok sul potere magico e riparatore dell’acqua di rosmarino.

Questa settimana però, tra una pulizia del viso durante la quale mi sono trovata un pollice in bocca e una ceretta all’inguine da ventotto euro (scherzo, erano trentatré), ho deciso di ribellarmi a questo sopruso e mi sono unita alla resistenza: sono andata dalle parrucchiere cinesi. Vivo in un quartiere di signore ricche, quindi immagino che il salone cinese sotto casa mia sia più esoso di altri. Ben sedici euro per shampoo, taglio e piega.

Crepi l’avarizia

Devo dire che nel mio bilancio il parrucchiere non è una voce di spesa importante. Ci vado una o due volte all’anno, spendo sessanta euro e esco uguale a prima, solo un po’ più povera. Ma a questo punto è diventata una questione di principio, quindi alle 18:30 di un mercoledì, passando davanti alla vetrina di HuangYu (nome di fantasia), da poco orfana dell’immagine di Leighton Meester che per anni ha fatto abusivamente parte della sua insegna, decido che per tagliare tre centimetri di doppie punte, un’operazione che potrebbe fare anche una scimmia ma che non mi sento di affidare al mio fidanzato, posso andare al risparmio. Getto il cuore oltre l’ostacolo ed entro.

La prima impressione tricologica non è delle migliori: ci sono due ragazze al lavoro, una con una frangia tagliata molto male che sta per fortuna alla postazione unghie, l’altra sta facendo una piega a una signora con dei capelli davvero malridotti, come di una Barbie sopravvissuta a un incendio, che spero con tutta me stessa fossero già così prima di quella phonata. Finisce poco dopo, paga e ringrazia, quindi mi convinco che sia soddisfatta del servizio e mi affido alla ragazza che con un gesto perentorio mi conduce alle poltrone per il lavaggio.

La prima sembra che sia appena stata utilizzata per toelettare un golden retriever coperto di fango, per non dire che qualcuno con problemi intestinali l’ha usata come gabinetto, quindi è con grande sollievo che scopro che a me spetta la postazione accanto, che è solo moderatamente sporca. Mi siedo, ed è così che scatta la scintilla e mi innamoro. Sulla mensola accanto a me sono disposti vari prodotti privi di coerenza: una damigiana di shampoo (e fin qui ci siamo), uno sgrassatore Chantecler, un pacchetto di Chipster, una bottiglia di Mr. Muscolo.

Trovo curioso che in una postazione per lavare i capelli solo un prodotto ogni quattro faccia all’uopo, ma non faccio domande, tanto ormai è troppo tardi per andarmene, ho i capelli bagnati e la parrucchiera mi sta chiedendo se voglio lo shampoo più buono o quello normale. Siccome ho paura che quello normale sia il Mr. Muscolo dico che voglio quello buono, e la tabella appesa di fronte a me mi informa che il sovrapprezzo per l’Oreal è di due euro, un buon prezzo per non farmi fare lo scalpo con l’acido muriatico. Crepi l’avarizia.

Inizia così un’esperienza un po’ estrema di lavaggio testa, che consiglio a chi apprezza il sadomaso. Io che sono sempre stata un po’ noiosa non posso dire di gradire più di tanto la violenza fisica, ma per sedici euro non mi sento di lamentarmi. Alla fine la parrucchiera mi raccoglie i capelli in una crocchia alta per strizzarmeli: la buona notizia è che ho ancora dei capelli, ma ho il forte sospetto che mi stia tenendo a quel modo per immobilizzarmi e tagliarmi la gola con una sciabolata a tradimento.

Intanto continua a parlare con la sua collega, spero non di come smaltiranno il mio cadavere, ma tolta la paura di morire sono molto favorevole a questa esperienza fino a ora. Non sono una brava conversatrice, dover chiacchierare del più e del meno mi strazia l’anima, al punto che sarei sempre stata disposta a pagare un extra per un parrucchiere sordomuto. Questa invece costa poco e non mi rivolge la parola, un vero affare.

Tre dita

Contenta di non essere stata assassinata al lavandino e di trovarmi finalmente di fronte a uno specchio in cui controllare cosa succede alle mie spalle, mi rilasso. La professionista cinese dimostra ancora una volta la sua superiorità tecnica e morale facendomi vedere più volte che sta tagliando solo tre dita di punte, proprio come le ho chiesto io.

Non quanto cazzo vuole lei, come tutti i suoi colleghi occidentali. Tre dita. Intanto è entrata una sciura dell’area C che chiede all’altra di farle le unghie perché l’indomani deve andare alla laurea del nipote. «Aaaah» le risponde quella, senza neanche fingere che gliene freghi qualcosa. «Siedi» dice alla signora che si ostina a darle del lei. Vuole lo smalto trasparente, l’altra risponde «no, rosa» e alla fine la signora uscirà con lo smalto rosa.

Io sono fortunata, mi sono beccata quella ragionevole, che continua a non rivolgermi la parola se non per chiedermi «liscia o mossa?». Liscia, dico io con l’afflato di chi ha appena preso la decisione più importante della sua vita, determinata ormai a diventare una di loro. E infatti esco di lì con i capelli di Lucy Liu, soddisfatta del servizio forse per la prima volta in vita mia e convinta di essermi opposta al sistema, di aver compiuto un importante atto politico, o almeno di aver risparmiato una quarantina di euro. Si scrive “HuangYu”, si legge “Libertà”.

 

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