Leggere bell hooks è un patto di fiducia che io, come lettrice, sigillo prima di tutto con me stessa. L’ho compreso sin dalla prima volta in cui mi sono imbattuta in un estratto del suo testo, nel bel mezzo di una ricerca, e da allora questa lettura non ha mai smesso di essere un’esperienza totalizzante e arricchente.

Ho sempre dichiarato fieramente che i libri – i testi tutti (saggi, albi, narrativa) – sono stati e sono la radice più profonda della mia educazione, il punto saldo della mia crescita. Leggere è sempre stato compagnia e comprensione dei mondi che mi circondavano e circondano. La possibilità di poter incontrare, ascoltare e studiare il pensiero di autrici e autori diversз da me, nell’esperienza magari, ma giuntз a me per il potente e universale tramite della parola.

Insegnare il pensiero critico ha aggiunto, al patto stretto con bell hooks, una richiesta di confronto incessante, prima di tutto con me stessa e poi, nella maniera più naturale possibile, con il mondo in cui vivo e di cui mi circondo.

Orizzonti nuovi

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Il volume è arrivato tra le mie mani in seguito all’avventura di lettura condivisa del precedente titolo della trilogia, Insegnare comunità. Quella del gruppo di lettura e di confronto, insieme ad alcunз compagnз di Non Una di Meno Torino, è stata un’esperienza che mi ha aperto finestre su orizzonti per me impossibili anche solo da pensare.

Mi sono incontrata e raffrontata con donne di differenti età, origini, lingue madri e professioni su passaggi salienti, temi vivissimi, dinamiche accese che hanno smosso inevitabilmente le nostre coscienze. Di quest’esperienza ho colto l’essenza totalizzante della condivisione aperta, scevra dal giudizio e guidata dal solo desiderio comune di aprirsi, mettersi in contatto con più mondi possibili. Così, con questa stessa identica luce, mi sono lanciata nella lettura del terzo volume della trilogia, curiosa ed elettrizzata di scoprire la portata che avrebbe avuto sul mio sguardo.

A 27 anni, nel 2018, a seguito dell’attentato di matrice suprematista di Luca Traini a Macerata, avevo capito che il mio corpo non avrebbe potuto nascondersi a lungo. 

«Pensare è un’azione», dichiara bell hooks, e il «pensiero critico implica prima di tutto scoprire chi, cosa, dove, quando e come delle cose (…) e poi utilizzare quella conoscenza in modo tale da consentirci di stabilire ciò che conta di più».

Nel primo pomeriggio, davanti a un servizio del telegiornale, avevo provato la rabbia dell’invisibilità, l’umiliazione di un corpo relegato o sessualizzato e la paura irrazionale data dal pensiero che «la prossima volta potrebbe capitare a me». 

Quel momento è rimasto impresso dentro di me, mi ha resa consapevole che avrei dovuto agire con l’unico strumento che ho sempre avuto a disposizione: le parole. 

A seguito dell’assassinio di George Floyd, per la comunità razzializzata italiana (afrodiscendente e non solo) sono iniziati anni gravidi di parole, di avvenimenti, di richieste incessanti, che hanno permesso – a volte anche al limite del possibile – di andare incontro a realtà plurali e di intavolare riflessioni, idee, proposte nuove e necessarie perché cariche di sfumature e inclusive delle moltitudini.

Non solo Traini, non solo Floyd, ma anche un presente in cui il caporalato, l’insensibilità della legge nei confronti della cittadinanza, il razzismo sistemico e le continue micro e macro aggressioni fanno parte della quotidianità delle persone razzializzate che vivono in Italia. Una sequenza smisurata di episodi che mi ha travolta e, negli anni, scagliata verso mondi carichi di richieste, a contatto con vite impegnate di cui non immaginavo nemmeno l’esistenza.

In questo presente, in questi anni lucidissimi, in qualità di autrice, di attivista culturale, di lettrice e di essere umano ho incontrato librai, associazioni, insegnanti, famiglie, bambini, ragazzi, giovani. Quello che ho imparato tra conferenze, presentazioni e incontri informali è il valore dell’ascolto, che però sono riuscita a far mio solo col tempo. Un tempo che non è solo storico, ma politico prima di tutto.

Leggendo Insegnare il pensiero critico ho ripulito la mia esperienza di vita da un presente che mi mette sui palchi chiedendomi di performare in quanto minoranza o intersezione di minoranze; così facendo ho potuto dare ascolto a un nuovo significato delle cose fatto di immaginazione, collaborazione, lacrime e anche amore, soprattutto amore.

L’importanza delle storie

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Sono nata in Ruanda, una nazione del continente africano conosciuta dal mondo occidentale per il genocidio che l’ha travolta nel XX secolo. Sono cresciuta in una delle province padane per eccellenza e, per metà della mia vita, non ho saputo maneggiare o comprendere né la mia Nerezza né le conseguenze che questa portava con sé in un’Italia dei primi anni del 2000. Il mio corpo, la mia esperienza di persona adottata, l’urlo interiore che desiderava fuoriuscire per dire a chiunque come stessi, di cosa avessi bisogno, che cosa desiderassi profondamente sono stati etichettati, silenziati o narrati da altri per più di quattordici anni.

«Le storie ci aiutano anche a guarire», dice bell hooks nel capitolo Testimonianza. E, aggiunge poi, aiutano anche gli studenti a «pensare in modo critico». Mai come scrivendo e parlando di me – di un sé e di una realtà di vita che si sono fatti collettivi man mano che gli anni avanzavano – ho avuto la percezione che nella profondità di un’azione umana, come quella del narrare, ci fosse tutta l’importanza della riparazione emotiva del proprio vissuto. 

All’inizio della mia esperienza di attivista culturale credevo profondamente che raccontare la mia storia avrebbe potuto aiutare chi l’ascoltava nella comprensione delle mie difficoltà e dei passaggi che mi avevano portata alla sua elaborazione. Mettermi a nudo, srotolare i miei piccoli grandi traumi, rendere disponibili le mie incertezze mi permetteva – e mi permette ancora – di risanare il dolore di un’esperienza insondata fino al 2015-2016.

Esprimermi, dirmi, trovare le parole adatte per farlo, esponendo, frase dopo frase, chi sono stata e come sono diventata la persona che sono, è un processo partito dalla lettura, dall’amore per le trame e dalla gratificazione incalcolabile di averne sempre di nuove e di diverse a disposizione.

Quando in La gioia di leggere racconta dell’amore per i libri e del proprio rapporto con la lettura, bell hooks mi ha permesso di rituffarmi con incanto nel mio primo e unico amore indissolubile.

«La lettura ha reso l’impossibile possibile», scrive, e ho ricordato la me bambina con la faccia nascosta da una copertina sdrucita, il cervello che viaggiava a mille e tutto il mondo negli occhi che si muovevano veloci.

La quantità di storie che ho letto e fatto mie è altissima. Sono grata a quelle storie, anche se in passato peccavano di assenze linguistiche, visive e narrative che solo le generazioni successive hanno iniziato a colmare. Sono devota a quei racconti, alle personagge che mi hanno fatto compagnia e alle trame misteriose che mi hanno fatto palpitare il cuore. È tramite esse che, ogni volta, sono riuscita a inventare percorsi e narrazioni adatti ai vari pubblici con cui mi sono interfacciata.

Narrazione nuova

Quando la situazione è cambiata, quando i libri con protagonistз più simili a me – alla vita delle persone razzializzate – hanno iniziato a riempire anche gli scaffali delle librerie e delle biblioteche italiane, ho sentito l’esigenza di tornare a proteggere la mia storia per raccontarne altre. Così, il tappeto di parole che avevo messo a disposizione degli altri per capirmi e farmi vedere, per conoscermi a fondo, ora poteva essere ritirato. Le storie costruite per raccontarmi potevano riprendere spazio tra i miei scaffali, organi interni indispensabili, e tornare a essere vitali per me, solo per me.

Ammetto che non è stato semplice. Non lo è tuttora, in un paese che ha appena scoperto che nell’esperienza diretta dell’altro può trovare una storia, la radice di sentimenti e condizioni sconosciuti. Non è stato facile preservarmi e impedire al mondo esterno di pretendere e avere indietro ciò che volevo proteggere. Spesso i miei rifiuti, il mio tentativo di dimostrare fatti concreti senza farmi scalfire hanno portato a reazioni destabilizzanti, che ho ritrovato nel capitolo Tempo per piangere, sorprendendomi e sentendomi meno sola.

Ed è proprio quando bell hooks parla della commozione di alcune sue alunne bianche nei confronti di fatti storici e drammatici legati alle persone razzializzate – quando parla del desiderio di non voler ignorare quelle lacrime, ma di usare «quell’intensità emotiva per alimentare la consapevolezza» rispetto all’argomento trattato – che ho compreso il valore comunitario nella mia esperienza di donna Nera: non più un racconto di sofferenza, di discriminazione, ma una narrazione nuova, gioiosa e dignitosa.

Una mano tesa

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Insegnare il pensiero critico è un varco, una mano tesa sulla possibilità di avere un impatto tangibile sul presente che si vive e sul futuro che si costruisce insieme, in costante dialogo. Un dialogo che ci richiede di essere apertз, democraticз e disponibilз a cambiare sguardo e convinzioni. Sono una scrittrice, una donna che presenzia a panel dai titoli altisonanti e contenuti specifici, una millennial che usa i social per comunicare. Ognuna di queste situazioni mi obbliga a scegliere con cura le parole da mettere in circolo perché sono consapevole di quanto e come potrebbero essere travisate, storpiate, fraintese o citate erroneamente.

«L’integrità si manifesta quando siamo coerenti in ciò che pensiamo, diciamo e facciamo», dice bell hooks nel capitolo intitolato Integrità. Questo mi fa pensare a quella volta in cui una signora, alla fine di una conferenza, mi si è avvicinata e mi ha ringraziato per la cura usata nelle mie scelte lessicali; riflettendoci, non sono riuscita a risponderle. 

Una cosa che mi ritrovo a dire spesso è che la mia parola è figlia del mio pensiero e ho troppo rispetto di entrambi per non averne cura, nei limiti del possibile. La mia sfida quotidiana è far sì che i loro confini combacino e i loro contenuti sappiano mettersi in discussione rispetto a ciò che accade nel presente che vivo ancor prima di commentarlo, giudicarlo, esporlo ai festival o sul mio profilo social.

Il confronto

Nel novembre del 2022, insieme a un team di professionistз, tenni una lezione inerente alle tematiche dell’inclusività e del linguaggio ampio. Un’esperienza che, come altre, è risultata emotivamente faticosa perché ci si espone, ci si apre e si mettono a disposizione le nozioni apprese negli anni (di esperienza e di studio). Nonostante la presenza di altrз attivistз al mio fianco, è ancora lucido e doloroso il momento in cui la mia autorevolezza (e quella di un’altra docente Nera) fu spazzata via e invalidata da commenti sessisti, razzisti e fuori luogo.

«Le docenti nere devono, quando necessario, entrare in classe preparate a sfidare stereotipi negativi», dice hooks parlando del proprio confronto come pensatrice dissidente e femminista militante, della difficoltà di essere messa alla prova da studenti poco inclini ad accogliere pensieri diversi da quelli coloniali e sessisti a cui sono sempre stati abituati. È stato automatico in questo percorso di riscoperta e ascolto, per me, pensare ai diversi pubblici che ho incontrato in questi ultimi anni nei contesti più disparati. Sono milioni i frammenti di ricordi in cui la mia sola apparenza di donna razzializzata è bastata a suscitare perplessità, a far dubitare delle mie capacità come professionista.

Essere una donna Nera, essere autrice e attivista, nel senso più ampio che questo termine può portare con sé, mi pone spesso in una condizione di confronto più o meno aperto, più o meno arricchente. hooks spiega con delicatezza e impegno come sia possibile affrontare i conflitti in sicurezza, rispettando le differenze di pensiero e di opinione degli interlocutori, e come questi conflitti possano portare a una crescita delle parti coinvolte. 

Alle presentazioni dei miei libri, durante tutti i tour promozionali, la sensazione sotterranea che mi ha sempre accompagnata è stata quella di rischiare l’accusa, la domanda posta solo per inficiare la mia esperienza personale, prima, e il contenuto tematico dei miei testi di fiction, poi. 

Starsene seduti su una sedia, essere protagonista di un evento, di una conferenza (spesso insieme ad altrз relatorз, panelistз, attivistз non razzializzatз) o di una presentazione mi ha messo in condizioni fastidiose, mi ha obbligato a dover fronteggiare domande e questioni invadenti, invalidanti, offensive nei miei confronti, ma ancora di più verso studi, testi e dati di professionistз, accademicз Nerз che hanno messo a disposizione la loro conoscenza e le loro capacità per permettere, a me e ad altrз, di avere basi solide per parlare e rispondere alle critiche.

L’apertura radicale di cui hooks parla è una pratica che ho scoperto di aver sviluppato inconsapevolmente negli anni – dai banchi di scuola in cui esercitavo un silenzio attivo (con i romanzi aperti sotto al banco durante le ore di economia aziendale) alle aule istituzionali in cui interlocutorз sicurз di sé mi hanno silenziato o aggredito –, ma anche una pratica che, con stupore, ho potuto riconoscere nelle sue parole: una visione della relazione col prossimo che reputo necessaria e inestimabile in un contesto come quello dell’Italia odierna.

Così, ho compreso che in una fase ibrida, nuova, che necessita più voci ed esperimenti culturali possibili, anche a costo della fatica, della dispersione emotiva, mentale (e troppo spesso anche fisica), ben vengano le domande spinose, i quesiti che malcelano istigazioni e insinuazioni infondate. Non tanto per un mio desiderio di immolarmi, di farmi martire di una lotta – di cui ho compreso presto che probabilmente non vedrò la fine –, ma perché in unpaese così giovane e pieno di contraddizioni storiche e non solo potersi preparare al meglio all’apprendimento deve necessariamente passare per «circostanze in cui ci si può sentire a disagio, privi di controllo, e si possono provare emozioni spiacevoli».

La diversità

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Insegnare il pensiero critico ha fatto nascere in me un desiderio spontaneo, ha acceso la miccia della speranza nei confronti delle nuove generazioni, di chi, dopo di me, dopo di noi, arriverà e sarà carico di gioia, di rabbia, di voglia di leggere, di vergogna accumulata negli anni dalle generazioni precedenti, di desiderio di rivalsa e normalità, di leggerezza e immaginazione. La stessa immaginazione che “collega ciò che prima era scollegato”. Si tratta di un’azione necessaria che permetterà alla comunità tutta, desiderosa nel viverlo, di combattere un presente stantio, ancora arroccato in una visione del diverso limitante e in una scuola che umilia e discrimina, e di sovvertire una discussione femminista che spesso dimentica le sfumature che avvolgono il cuore del dibattito sull’intersezionalità.

Il terzo volume della trilogia pensata per le scuole, non fatte solo di aule, e per il mondo dell’insegnamento, fatto sia di materie classiche sia di emotività, è un augurio a mani aperte per chi si renderà disponibile a cambiare idea, ad ascoltare esperienze di vita diverse dalla propria e a concepire, nei propri ragionamenti e nelle proprie azioni, un’integrità d’animo. Il tutto grazie al potere dell’immaginazione, uno strumento che bell hooks ci mette a disposizione sin da subito e che non dobbiamo lasciarci scappare.

Dunque prendiamola a piene mani quest’immaginazione bambina, quest’immaginazione ripulita, salvata dalla coltre bianca, eurocentrica che ha soffocato gli anni e la cultura passati. Facciamola nostra e inventiamo nuovi mondi, diamoci a nuovi sogni, nuove parole per raccontarci, definirci ed essere comunità in un futuro che ci chiede sempre più di partecipare, di pensare a nuove forme di legami, discussioni e insegnamenti.

Perché il diverso non è solo il prossimo che ha un’origine, una preferenza sessuale, un’identità di genere, una storia altra. Il diverso oggi è colui che pensa, rivendica e lotta per istanze lontane da quelle a cui si è sempre stati abituati. E per non perderlo, per non lasciarlo indietro e non disperderci non può bastare essere desiderosi di imparare, di sapere, di essere al passo con il presente. Bisogna agire nell’atto pratico dell’ascolto, che è interazione, confronto e cambiamento. 

Il valore più profondo di questo spendersi, di questo restare vigile sui dubbi propri e del prossimo mette a disposizione interrogativi e punti di vista inaspettati che sedimentano in noi e, una volta pronti, ci permettono di avanzare in un interminabile percorso di consapevolezza.

Quando mi ricordano che tutto ciò comporta fatica e scomodità io rispondo che è vero. bell hooks, le intellettuali, le accademiche della sua epoca, tutte quelle che sono arrivate dopo e che continuano a fiorire mi hanno richiesto responsabilità, mi hanno fatto vacillare, ma mi hanno anche chiesto di fidarmi del percorso, delle sue pretese e dei miei sbagli. 

Una fiducia che richiede impegno, sì, ma quanta meraviglia in questa possibilità! Quanta forza! 

È pensiero vivo che cambia, si deforma e mi trasforma. Ed è tutta libertà.


Questo testo è la prefazione da Insegnare il pensiero critico di bell hooks, terzo e ultimo volume della cosiddetta “trilogia sull’educazione” (Meltemi 2023, pp. 222, euro 20). 

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