Da settimane un certo romanzo di ispirazione omerica, La canzone di Achille, figura nelle classifiche dei libri più venduti, non solo in Italia (dove lo pubblica Marsilio, nella traduzione di Matteo Curtoni e Maura Parolini). Ne è autrice la bostoniana Madeline Miller, che in questi stessi giorni ha scalato le classifiche anche con Circe (ancora per Marsilio, tradotto da Marinella Magrì).

Il libro uscì nel 2012, incontrando un discreto successo (allora da noi aveva avuto la prontezza di pubblicarlo Sonzogno). Poi, come vuole anche il mercato più accogliente, svanì all’orizzonte. Mesi fa TikTok, il tam tam digitale degli adolescenti, l’ha riacciuffato, facendone un gigantesco bestseller. Miracolo del social, non c’è dubbio, mezzo eccellente per la propagazione di atti mimetici, spasmodica condivisione di riflessi condizionati, calderone stregonesco da cui le mode escono già quasi superate. Però non solo questo, poiché non tutto quello che il social bacia vive o addirittura, come in questo caso, risorge. Che cosa è tanto piaciuto a coloro che hanno scoperto La canzone di Achille (meglio – lasciatemi notare en passant – sarebbe stato tradurre il titolo originale The Song of Achilles con Il canto di Achille)?

Aggiungere e sottrarre

Ritorniamo un momento all’Iliade, che è la fonte principale di Madeline Miller. Achille è a Troia con l’amico Patroclo. A un certo punto, dopo aver litigato con Agamennone, che gli ha tolto la schiava Briseide, lascia il combattimento. Quando le cose volgono al peggio per i greci, Patroclo chiede ad Achille di prestargli le armi, le ottiene e scende in campo con il suo sembiante. Per la prima volta lo vediamo nei panni dell’eroe: è maestoso, fa strage, non conosce timore. All’improvviso, però, finisce nel mirino di Ettore, il troiano più valoroso, figlio del re Priamo, e per sua mano cade.

Intorno al corpo di Patroclo si scatena una mischia: i greci tentano di sottrarlo, i troiani fanno di tutto per riprenderselo. Il corpo finalmente torna alla tenda di Achille e, dopo esser stato pianto da tutti, perfino dalle ninfe del mare, perfino da Teti, la divina madre di Achille, riceve i dovuti onori funebri. Niente, a questo punto, trattiene più Achille: la morte di Patroclo vuole vendetta. Ottenute da Efesto, per intermediazione di Teti, nuove armi, torna in battaglia e, dopo un teatrale inseguimento, uccide Ettore. Così finisce l’Iliade.

Partendo da questa base, la Miller procede per integrazione e per soppressione (quando comincia a scrivere la Canzone di Achille ha poco più di vent’anni, e conclude il lavoro dopo ben dieci anni). Aggiunge, inventando o prendendo da altre fonti, quel che l’Iliade non racconta (il passato di Patroclo, la formazione dei due giovinetti presso il centauro Chirone, il periodo in cui Achille, travestito da fanciulla, se ne sta riparato a Sciro, la morte di Achille), e toglie – e possiamo capire perché – quel che l’Iliade racconta anche troppo bene (la creazione delle armi, i combattimenti etc.).

Amore tra uomini

Fondamentalmente alla Miller sta a cuore una cosa: rendere esplicita la natura sessuale dell’amicizia tra Achille e Patroclo, che in Omero – e non solo Omero – resta implicita. La canzone di Achille, dunque, è il racconto di un amore tra uomini, che comincia fin dalla prima adolescenza con un bacio e diventa poi, negli anni, rapporto totale, fisico e psichico. L’ambientazione antica serve a isolare il tema gay – chiamiamolo così –, ad assolutizzarlo, a mitizzarlo, e al tempo stesso a renderlo indiscutibilmente attuale, proprio perché antico come la più antica delle storie.

La Miller si impegna a creare una narrazione in cui le varie fasi del desiderio e della soddisfazione si succedano in un crescendo di audacia e di dolcezza. Per rendere il gioco più interessante per noi (di certo per le signorine del TikTok) fa di Patroclo un bruttino timido e imbelle (quale non è nell’Iliade) e di Achille esagera l’atletismo e il sex appeal, puntando fin troppo spesso la lente sul muscolo teso e sui madori.

Le serve contrasto, e si inventa perfino una mamma disapprovante, Teti, che del libro è destinata a restare l’invenzione più debole. Genitrice apprensiva e sollecita nell’Iliade, qui è ridotta a stangona antipatica e minacciosa. Odia Patroclo (e non si capisce se le faccia più schifo l’omosessualità del figlio o l’indegnità del compagno), entra in scena quando meno te l’aspetti, e mai per una vera ragione drammatica; sembra che voglia spaccare il mondo, e non combina mai niente.

Così non convincono le ragioni di dissidio con cui l’autrice mette in contrapposizione, verso il finale, Achille e Patroclo: Patroclo, in pratica, accusa Achille di egoismo e di essere la rovina di Briseide (la schiava che Agamennone gli ha sottratto). Inutile pure l’imprevista passioncella di Patroclo per Briseide, con tanto di desiderio inappagato e inappagabile di far figli. Inutile, perché non giustificata dalle circostanze, e anche perché Patroclo amerà Achille fino alla fine, e anche oltre la fine.

Voce narrante

In pratica, ogni volta che cerca di creare movimento, vediamo la narrazione girare a vuoto su mezzi che non arrivano da nessuna parte. Non serve notare che non mancano neppure gravi travisamenti culturali o errori banali (Patroclo qui è un po’ più giovane di Achille, mentre nell’Iliade è più vecchio; e il poco greco che vi si cita non è grammaticalmente esatto etc.), poiché l’autrice non tiene in minima considerazione il contesto storico dei personaggi omerici. Per intenderci, siamo lontani anni luci dallo scrupolo archeologico di una Yourcenar re-inventrice di Adriano.

L’ho appena lasciato intendere: Patroclo muore anche nel romanzo della Miller. Chi non conosca la narrazione di Omero, probabile che non se l’aspetti dalla storia, perché è Patroclo stesso il narratore. Leggendo La canzone di Achille, dunque, noi leggiamo il discorso di un morto. Bello. Credo che tra le novità che il romanzo sperimenta, questa sia la più riuscita. Certo, la finzione non sta in piedi: come fa un morto a scrivere? Non è dato sapere. Eppure, proprio la finzione scoperta ci dà un’apertura nuova.

Suppongo che la Miller, all’inizio di quei dieci anni di lavoro, debba essersi posta la domanda: e adesso chi ci metto a raccontare la storia? E forse si sarà detta: non certo Patroclo, che nell’Iliade muore prima della caduta di Troia. Ma poi si sarà detta (o un editor le avrà detto): e invece sì, proprio Patroclo. E così ha fatto di un impedimento una risorsa. Via via che procedevo nella lettura, ero proprio curioso di vedere se e in che modo avrebbe aggirato l’ostacolo. Forse sto dando troppo merito a una manovra di comodo. Però, l’amato-amante che parla dall’aldilà mi pare davvero l’aspetto più valido del libro. Ci vedo perfino un messaggio: un riconoscere alla parola una realtà più libera di quella in cui viviamo; un indicare proprio nella parola la libertà che nella vita ci manca; una libertà che è più vita della vita stessa. Il Patroclo della Miller, insomma, mi piace più perché parla nonostante la morte che non perché continui ad amare Achille nell’aldilà.

Corpo erotico

Comunque, è sicuramente il tema amoroso quel che più ha convinto le riscopritrici di TikTok. Anzi, il sesso, per essere precisi, che ho la presunzione di considerare la cosa che più interessa lettori e lettrici, specialmente giovani o giovanissimi. La Miller sa trattarlo con una certa liricheggiante disinvoltura, pur senza cadere mai nel dettaglio. Il sesso, comunque, c’è, ed è evidente che ai due, Achille e Patroclo, piaccia un mondo. Sono innamorati l’uno del corpo dell’altro. Patroclo possiamo anche capirlo: aveva tra le mani un bellissimo. Achille, però, è anche più scopertamente attratto dal corpo maschile. In una certa pagina si lascia addirittura andare a un elenco delle parti di Patroclo che più lo attirano. E ancora Achille, per scherzo, domanda a Patroclo quale dei pretendenti di Elena avrebbe scelto per sé.

Allarghiamo la prospettiva, superiamo TikTok, e proviamo a questo punto a pensare se non ci sia qualcosa nell’antica letteratura greca che giustifichi di per sé il grande successo della Canzone di Achille e che magari ci riveli un aspetto profondamente vitale di quella letteratura. Se c’è, è appunto il corpo erotico, il corpo che ama ed è riamato. Il pensiero della corrispondenza – l’ho detto in vari modi anche nel mio recente libro sul greco – struttura il pensiero e la lingua dei greci. La coppia sessuale ne è un emblema: corrispondenza come reciprocità dell’affetto e dell’appagamento. Da un simile pensiero escono Achille e Patroclo, e grazie a loro quel pensiero, per quanto facilonescamente ripreso e divulgato a distanza di millenni da un’americana di non eccelso talento, continua a parlare e a convincerci.

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