Negli Stati Uniti li chiamano ancora “comics”, nonostante da quasi cent’anni raccontino anche storie d’avventura e di fantascienza. Da noi – per un evidente complesso d’inferiorità – fino al Dopoguerra li chiamavamo “cineromanzi”, finché negli anni Cinquanta per sineddoche (la parte per il tutto) li abbiamo ribattezzati “fumetti” come le celebri nuvolette che ne contengono i dialoghi e sono la parte più riconoscibile, anche se non essenziale.

Per darci un tono, da vent’anni il marketing dei nostrani uffici stampa ha in più scippato all’uso americano il termine graphic novel (che andrebbe al maschile, anche se molti lo usano al femminile). La denominazione francese bande dessinée è più precisa, ma per successo di vendite e pervasività culturale sono da tempo al centro dell’attenzione i giapponesi “manga”, che ormai da un secolo non riguardano più semplici caricature satiriche ma lunghe narrazioni di ogni genere e per pubblici di ogni età e tutte le tasche, arrivando non a caso a una diffusione mondiale e una profilazione estrema di lettori da social network ante litteram (come del resto andrebbero considerate le pagine della posta di moltissime riviste, non solo di fumetti).

Il successo dei fumetti

Su questo giornale Beppe Cottafavi ha già citato i dati Aie (Associazione italiana editori), che nella prima metà del 2021 danno triplicate le vendite di fumetti in libreria (più 214 per cento) raggiungendo quasi 9 milioni di lettori oltre a quelli tradizionali da edicola e fumetteria, grazie allo sbarco massiccio nelle catene fisiche e online che li ha resi più evidenti nelle rilevazioni delle classifiche settimanali: di questi, gran parte sono proprio manga.

Francesco Guglieri ha poi ricordato come da almeno trent’anni (più altri dieci considerando le derivazioni animate) il fumetto giapponese «e la sua carica (per noi) rivoluzionaria arricchisce e allarga l’immaginario occidentale e italiano»: oggi fa semplicemente notizia il suo adeguarsi a nuovi canali di vendita per la continua crisi delle edicole (passate da 42mila nel 2006 alle 22mila attuali, 14mila contando solo i chioschi veri e propri).

Negli ultimi mesi, un libro e una mostra hanno consentito di avere un quadro più coerente per scandagliare senza annegare la profondità di autori, personaggi e contenuti di un universo affascinante e quanto mai variegato, tanto da rendere clamorosamente frammentarie (quando non superficiali) la gran parte delle analisi al di fuori delle riviste specialistiche.

Il libro è I manga. Introduzione al fumetto giapponese (168 pagine, Carocci editore) di Marco Pellitteri, che con un approccio critico-teorico ricostruisce puntigliosamente la storia e l’industria del medium nipponico, ma anche il suo ruolo sociale e mediale, con il supporto di una quarantina d’immagini (perché la saggistica su quella che nel 1964 il critico francese Claude Beylie definì nona arte ben difficilmente può vivere di sole parole...) e un’attenzione non banale alla sociologia e la semiotica visiva. Il risultato traccia così le giuste connessioni fra il contesto originario e l’enorme popolarità raggiunta in Italia e in Europa, legata anche (ma non soltanto) alla fortuna delle serie d’animazione quasi sempre ricavatene.

La mostra è Manga Heroes. Da Osamu Tezuka ai Pokémon, conclusasi sul finire dello scorso anno a Milano ma di fatto prolungata dal sontuoso catalogo fotografico bilingue in italiano e inglese (406 pagine, J-Pop Manga / Comicon Edizioni) assemblato dal curatore Jacopo Costa Buranelli con Fabrizio Modina e l’apporto di suoi altri 24 colleghi collezionisti. In questo caso la peculiarità dell’approccio è l’aver messo al centro la henshin, quella “trasformazione del corpo” che affonda le sue radici nella cultura del sol levante (dalle armature samurai ai drammi della guerra, fino alla cultura pop odierna) e vede i personaggi dei manga trasmigrare agli anime (film e serie tv animate), film live action e migliaia di oggetti per il merchandising, ma anzitutto nella narrazione delle proprie avventure.

Le vite di chi pilota robot giganti o si trasforma in supereroe, così come le vicende quotidiane di una Lady Oscar (che nel 2022 festeggia i suoi 50 anni del manga e i 40 del debutto animato in Italia) o di una principessa Zaffiro possono così assurgere a vere e proprie icone moderne, in un flusso che cambia di continuo il punto di vista di chi guarda, oltre a reinventare i generi dell’epica e il racconto dei sentimenti umani.

Ritratto della modernità

È così che giovani e meno giovani aprono gli occhi su temi particolarmente d’attualità che il manga esplora da decenni (e con dovizia di autori e personaggi: il che spiega molto del successo planetario), come le questioni di genere, la memoria storica e l’inclusività culturale, i percorsi di scienza e fantascienza, lo storytelling dall’universale al particolare, lo stile e la moda, il design urbano... Il campo è vasto, e non accenna a diminuire. Come si suol dire, c’è solo l’imbarazzo della scelta: il pericolo d’indigestione è forte, ma le storie e i protagonisti danno un grosso aiuto a chi vuole cominciare.


Loris Cantarelli è direttore editoriale della rivista Fumo di China, che ogni mese comprende l’inserto Manga Giornale.

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