Perché mai le prestigiose edizioni del Seuil, che pubblicavano Roland Barthes e Pierre Bourdieu, hanno pubblicato un Manifesto cospirazionista? Il libro, copertina nera e autore anonimo, da fine gennaio fa bella mostra di sé sui tavoli delle librerie e in qualche vetrina.

La stampa francese denuncia una spregiudicata speculazione commerciale, ma questo in fondo sarebbe coerente con la storia dell’editore: nel 1968 Seuil mandava in stampa in fretta e furia un pamphlet di Daniel Cohn-Bendit, considerato il leader della rivolta studentesca, e lui stesso tra le pagine del libro ironizzava sull’operazione alla quale si era prestato.

Mezzo secolo dopo si è persa ogni ironia; e dire che se ne potrebbe fare molta su questo libro “antisistema”, secondo cui «non si può più dire niente», messo in vendita dalla filiale di un conglomerato editoriale che fattura seicento milioni all’anno. A due settimane dall’uscita, il Manifesto non è ancora un best seller ma se la cava non male: lo vediamo spuntare nella classifica dei cento titoli più venduti in libreria (Datalib). Il cospirazionismo tira sempre, e in tempi di pandemia ancora di più. 

Un autore invisibile

Non è soltanto questo ad avere attirato l’attenzione del pubblico: l’editore ha lasciato intendere che tra gli autori ci fosse Julien Coupat, che l’opinione pubblica francese associa al misterioso “Comitato invisibile” e a una scandalosa persecuzione giudiziaria

Un anno dopo la pubblicazione del libro L’insurrezione che viene, nel 2008, Coupat e altre nove persone venivano accusate di terrorismo: un’odissea giudiziaria durata un decennio, al termine del quale si appurava che l’accusa non aveva in mano nessuna prova.

La vita di dieci persone era stata sminuzzata da una macchina giudiziaria paranoica che vedeva nelle idee del gruppo una minaccia per l’ordine democratico. Diventare cospirazionisti, dopo una simile esperienza, appare tutto sommato ragionevole. Come non riconoscere che il sistema era marcio?

Però, ecco il problema: ci sono molti modi di descrivere la decomposizione di un sistema, e non è facile sfuggire alla tentazione pareidolica di trovare un senso anche dove non ce n’è nessuno.

Scritto in uno stile profetico molto simile ai precedenti libri attribuiti al Comitato invisibile, il manifesto complottista ne ha per tutti: politici, stampa, scienziati, e poi «tutta quella gente di sinistra – colti, progressisti, cool, simpatici, critici – che per due anni non ha aspirato ad altro che a una crescente restrizione delle libertà». Vicino a Giorgio Agamben, Coupat avrebbe consegnato a questo libro una summa del pensiero “Covid-scettico” di ultrasinistra.

Rivelazioni per modo di dire

Se si va a leggere quali sarebbero le rivelazioni scottanti contenute in questo libro, c’è da rimanere piuttosto delusi. Nell’introduzione gli anonimi autori se la prendono con le «ridicole autocertificazioni», e davvero non c’è bisogno di essere cospirazionisti per condividere come minimo qualche perplessità su quella misura.

Idem sul pass vaccinale, ferita indubbiamente dolorosa inferta ai principî della civiltà liberale, tema di infiniti dibattiti che si svolgono alla luce del sole. Poi gli anonimi criticano l’idea secondo cui la pandemia sarebbe «peggiore dell’influenza spagnola del 1918» e denunciano la circolazione di «terrificanti modellizzazioni» che si sono rivelate erronee.

Si tratta in effetti di due manifestazioni della psicosi di massa che nel 2020 aveva contagiato i media e una parte della comunità scientifica, armata di curve esponenziali a sviluppo infinito, influenzando pesantemente le decisioni politiche: ma non certo di una “verità di regime”.

Infine si dà per certa la fuga del virus Sars-CoV-2 da un laboratorio: ipotesi ardita, non dimostrata, preferibilmente da evitare sulla base di un principio di economia delle congetture, ma che nessuno ha mai ritenuto impossibile. 

Insomma le grandi rivelazioni cospirazioniste non sono altro che i temi sui quali l’opinione pubblica discute da mesi, dividendosi com’è giusto che sia. Per quanto si sforzi di apparire scandaloso, il Manifesto si spinge poco più lontano di qualche vecchio libro di Noam Chomsky o di Naomi Klein, che negli anni Novanta avevano offerto una nuova chiave di lettura del mondo a una generazione orfana del marxismo: a reggere il mondo non sono più le strutture, le tendenze, le leggi impersonali del capitale, bensì le élite coi loro giochi di potere.

Quanto alla tesi più generale espressa alla seconda pagina del Manifesto cospirazionista, secondo cui gli anni della pandemia ci avrebbero imposto una «accelerazione tecnologica» in preparazione da anni, ci pare di poterla condividere.

Bisognerà dunque ammettere che in questo libro c’è del buono? Significherebbe non capire la natura stessa del discorso cospirazionista, che consiste precisamente in questo duplice procedimento: presentare il già noto come ignoto, anzi segreto; e mescolare il vero con l’ingannevole. Ma basta una piccola goccia di arsenico per avvelenare un intero banchetto. 

Troppo veleno

E questo Manifesto cospirazionista è pieno di veleno, col risultato di sabotare il dibattito necessario sia sulle misure più adeguate per contrastare la pandemia senza creare miseria sociale, che sul tema più ampio dell’accelerazione tecnologica che incombe sulle nostre vite. Per non parlare delle contraddizioni del capitalismo, ridotte a una grottesca galleria di volti ghignanti, lontano da ogni lettura strutturale.

È veleno suggerire che poiché la pandemia era inserita da vent’anni nell’elenco dei rischi globali, assieme al terrorismo e agli eventi climatici estremi, e che da vent’anni si preparassero dei piani per affrontarla, allora se ne debba dedurre che essa è stata pianificata.

Considerare la scienza colpevole degli scenari che prevede è il gradino più basso dell’antiscientismo primario. È veleno descrivere un’azione coordinata per imporre delle misure di massima precauzione quando invece abbiano visto negli ultimi anni una negoziazione serrata tra aperturisti e chiusuristi.

È veleno lo spiritualismo che emerge sul finale del libro; un articolo di qualche anno fa sulla rivista Jef Klak analizzava le analogie tra la prosa del Comitato invisibile e la retorica del self-help.

È veleno l’opposizione manichea tra un “noi” e un “loro”, che suggerisce che ogni critica a “noi” implica l’affiliazione con “loro”. E chi sono loro? Scienziati sociali e potenti della terra, ma anche nostalgici del bolscevismo, ammiratori del modello cinese, teorici della identity politics che seminano zizzania.

È veleno infine rinunciare, in nome della rivolta contro il sistema, a una selezione più accurata dei propri alleati, aprendosi come già ai tempi dei gilets jaunes alla collaborazione con le frange più estreme del cospirazionismo: paranoici, antisemiti, neofascisti. «Il progressismo è per essenza reazionario»: bel paradosso, piacerà a Eric Zemmour.

Solo catarsi

Collegare tra loro cose molto lontane (dagli esperimenti Cia della Guerra fredda ai piani pandemici) non è necessariamente un cattivo metodo, ma nemmeno la garanzia di produrre un discorso sensato. Soprattutto non lo è quando si perde di vista l’essenziale: cioè che gli incessanti sforzi per estendere il dominio tecnocratico si scontrano con i continui glitch e inciampi della tecnologia.

Fedeli a un’ossessione per la cibernetica vecchia di mezzo secolo, gli autori del Manifesto sono succubi del discorso che il potere fa su sé stesso: della sua fiera propaganda sulla preparedness, della sua gongolante pubblicità sul mind control, insomma della fitta rete di autonarrazioni che mascherano la terribile fragilità della distopia in costruzione.
Gli unici che il potere è riuscito a controllare, in fondo, sono proprio quelli che ne veicolano il messaggio e così forniscono al sistema la quota omeopatica di “negatività” necessaria per realizzare la sua eterogenesi dei fini. O per usare il linguaggio della cibernetica a loro caro, il feedback che stabilizza la macchina.

Non possiamo concludere altrimenti che ripetendo quello che a suo tempo dicemmo a Coupat e che ci valse il suo disprezzo, ovvero che questo salmodiare apocalittico è teatro, la catarsi indispensabile per sopportare la decomposizione di una civiltà.

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