Si dice spesso che la rappresentazione di sé che ciascuno di noi va facendo sul proprio account Instagram assomiglia a un romanzo autobiografico; un romanzo a puntate brevissime e ravvicinate, integrate da un coro costituito dai commenti dei follower. Vorrei prendere sul serio questo paragone, provando a leggere l’account di Matteo Salvini official come se ci presentasse un protagonista, come si dice, “seduto nel titolo” e onnipresente nel testo – prescindendo dal chiedermi se il romanzo sia il frutto di un solo autore o un prodotto collettivo. Ho scelto i due mesi estivi di luglio e agosto perché sono i mesi in cui il protagonista, meno soffocato dagli impegni pubblici, può dirci di più sulla propria vita privata, sui propri interessi e svaghi.

Una brava persona

A una prima lettura questo Matteo Salvini fictus pare proprio una gran brava persona, e una persona felice: avrà avuto anche lui i suoi alti e bassi, ma ama le cose belle della vita e non è capace di serbare rancore. Matteo ama i campioni dello sport, ama i nonni “che hanno costruito l’Italia”, ama i cani e i gatti e gli animali in genere, ama la natura, le albe e i tramonti. Ama i neri che si sono integrati e lavorano in Italia da molti anni, ama i buoni prodotti gastronomici della terra italiana, sia agricoli che di trasformazione. Prega quando nel mondo accadono disgrazie, abbraccia i diversamente abili, ringrazia le forze dell’ordine e i cani poliziotto.

Ama soprattutto la famiglia, appena nei suoi viaggi incontra una cerimonia nuziale subito si aggrega e fa gli auguri agli sposi, se vede dei gemelli in carrozzina si china a fargli le coccole; la tecnica narrativa è basata sulla preterizione, per cui per esempio della sua famiglia si parla per sineddoche, una parte per il tutto: compare spessissimo la figlia minore, meno spesso il maggiore ormai diciottenne; si vede spesso la sua attuale compagna, ma nessun accenno alle compagne precedenti, alle due madri dei suoi figli.

È cristiano, e cristianamente risponde alle offese: se qualcuno commenta «quanto sei stupido», risponde «il tuo parere è fondamentale, o forse no»; a un «faccia di culo» oppone «che personcina educata, complimenti ai genitori»; niente può togliergli il sorriso, al massimo si fa fotografare con la faccia perplessa davanti a un muro con la scritta «Salvini merda».

Matteo ha gusti semplici, sia culinari che culturali: mangia un panino col salame e patatine all’autogrill insieme alla figlia che fa ok col pollice, presenta una normale colazione d’albergo come se fosse un lusso delizioso, legge Non ti muovere della Margaret Mazzantini su consiglio della compagna, cita Einstein («la vita è come andare in bicicletta, per mantenere l’equilibrio devi muoverti»). Sollecita i suoi follower, salutandoli al mattino, con quesiti buffi mostrando gli oggetti del desiderio: meglio la granita o il gelato, meglio le fragole o il cocomero? Applaude Mancini, il ct della Nazionale, perché sta in fila al supermercato. Veste semplicissimo, non lo si vede mai in circostanze che richiedano l’abito elegante tranne che in occasioni inerenti al suo mestiere di politico, Quirinale o simili.

È uno sportivo da divano, tifoso di calcio come la maggioranza e di una squadra popolare come il Milan; tra gli account che segue, a parte quelli “di lavoro” come Trump Orbán Bolsonaro, ci sono in prevalenza artisti pop della musica o della tv; è in perenne lotta con la dieta, si fotografa i piedi sulla bilancia contento che segni 86 ma se poi torna a segnare 90 pazienza, è colpa del buon cibo calabrese, o romagnolo, la dieta si ricomincerà lunedì come fanno tutti.

È un personaggio antitragico, un eroe medio da romanzo americano anni Cinquanta ma riesce a diventare eccezionale a forza di medietà: si attribuisce capacità profetiche, se è vero che aveva scommesso sulla vittoria di Jacobs sui cento a Tokyo, quando nessuno poteva prevederlo; molti lo considerano un bomber della politica, un raddrizzatore di torti, un Capitano se non un condottiero, un modello per i giovani («voglio fare il carabiniere da grande», gli scrive un adolescente, «o magari essere come te, Matteo, sarebbe il mio sogno»).

I malvagi e gli aiutanti

I suoi antagonisti sono i Malvagi, i suoi “aiutanti” (nel senso narratologico di Vladimir Propp) sono il Giornale e Libero, da cui trae quasi tutte le notizie di cronaca. Dal Giornale trae per esempio l’espressione «baby gang africana di delinquenti» per raccontare di un tafferuglio accaduto in occasione di un raduno non autorizzato per un video rap di Zaccaria Mohuib, 19enne rapper di origine marocchina noto col nome di Baby Gang.

I Malvagi sono quelli che devastano, che stuprano, che trattano male gli animali, gli stranieri che ballano nudi nelle fontane di fronte ai carabinieri, i migranti clandestini, insomma tutti quelli che si oppongono alla normalità e alla serenità del buon vivere italiano. Il dialogo di Matteo col “coro” dei follower è continuo, certi suoi post arrivano ad avere otto o diecimila commenti; una costante narrativa, di matrice teatrale, è la caratteristica di dividere il coro in due semicori nettamente distinti: quello degli adoratori che lo inondano di approvazioni o cuoricini, e quello minoritario dei criticoni di sinistra. Volgarità offensive da entrambe le parti: tra gli adoratori le punte di maggior violenza contro i Malvagi si raggiungono a proposito di chi maltratta gli animali («morissero in un sacco pieno di vermi e zecche»), ma le zecche hanno anche una accezione politica: «Così imparano queste zecche rosse» commenta un seguace alla domanda di Matteo se rispondere a un avversario con una querela o con un «bacione» – «sei anche troppo tranquillo», lo rimproverano bonariamente.

Personaggi stilizzati

L’odio, in questo romanzo, è una conseguenza naturale dei buoni sentimenti. Lui, il protagonista, dirige il concerto con fare felpato, moderando e sapendo come far vibrare i violini dell’indignazione con qualche “vergogna!” o “ripugnante!” sapientemente distribuito. Il lettore sospetta che, notando come il semicoro dei dissidenti sia mediamente più spiritoso e colto (sotto la foto di Matteo che esalta un grappolo d’uva «vabbè abbiamo capito, vuole le casse di vino a casa»), e invece quello dei seguaci incespichi in commoventi strafalcioni («devi prendere le retini in mano per sistemare l’Italia»; «non dargli peso, sono degli analfabeti finzionali»), Matteo se lo tenga a onore. Sa di poter condividere, con le persone non raffinate, qualche mossa oratoria di antilogica; come quando fa un uso proditorio dell’avverbio “mentre” – «mentre a Kabul i talebani riportano in vigore la sharia, in Italia stanno per sbarcare 488 clandestini da due navi Ong», scrive il Capitano, e un follower prontamente usa lo stesso meccanismo irrazionale: «Mangiano bistecche a nostre spese mentre le forze dell’ordine panini sui marciapiedi».

L’ultima battuta allude al fatto che i carabinieri senza green pass non possono mangiare in mensa: ultimamente il semicoro favorevole ha cominciato a mostrare segni di delusione, soprattutto sul fatto di restare al governo e di non sapersi opporre con decisione al “pasticcio” delle vaccinazioni. Matteo non risponde, continua a sorridere e a postare ottimistici «Buongiorno!» a torso nudo con bacon e uova strapazzate; un’ombra di noia narrativa si stende sul plot, manca l’azione perché l’azione c’è stata due estati fa ed è stata un disastro.

Se dovessimo giudicare coi criteri che usava E. M. Forster per giudicare lo spessore dei personaggi letterari, diremmo che Matteo è un personaggio “disegnato” e non “modellato”, cioè non tridimensionale. Mancano i dubbi, mancano le ombre e i semitoni; Matteo è sicuro delle proprie idee semplici e non mette mai seriamente in crisi sé stesso, è troppo impegnato a ottenere il consenso del lettore. Ma allora, personaggio stilizzato per personaggio stilizzato, rischia di essere oscurato da un altro personaggio di un romanzo della stessa collana – un personaggio femminile, e si sa quanto oggi i personaggi femminili siano di moda: una certa Giorgia

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