È difficile in questi giorni non imbattersi – e non rabbrividire imbattendosi – nelle foto natalizie di certe famiglie americane che, per fare gli auguri ai parenti, si immortalano intorno al focolare imbracciando grottesche armi da fuoco. Accolgono la venuta del bambinello con in grembo uzi, mitragliatrici e semiautomatiche: tutte cose (da maschi) che proprio al cenone, d’altronde, uno dovrebbe lasciare sull’uscio per evitare stragi in casa.

Dai profili twitter di Thomas Massie, Ron Filipkowski, e @Ziggy_Daddy

Di qua dall’Atlantico si pensa troppo facilmente di poter scrollare le spalle di fronte a simili allucinanti americanate, da rubricare come tali assieme agli altri cortocircuiti tanto ben illustrati dai documentari di Michael Moore (Bowling for Columbine era proprio su questo) o dalla newsletter sorella della presente, ‘Merica di Mattia Ferraresi, su Domani.

Eppure gran parte dei poliziotti d’America, quelli dal grilletto facile e facilmente razzista, hanno nella fondina pistole italiane; e l’Italia è tra i maggiori esportatori di armi leggere, indispensabili per tener vivo l’atroce fenomeno dei bambini soldato.

Dalla settimana scorsa, in Italia è possibile vendere ai civili le munizioni parabellum precedentemente accessibili solo alla polizia e all’esercito; e in Italia (almeno da Genova 2001) le destre assottigliano con inesorabile pazienza il confine tra omicidio e legittima difesa.

Non c’è dubbio che la pistola, fallico attributo dei cacciatori e dei cowboy, dei gangster e dei papponi, sia una cosa da maschi. Non c’è forse brano di cinema più marcatamente maschile di quello in cui De Niro, protagonista di Taxi Driver, monologa allo specchio come un Laudisi di Pirandello cocainomane con la pistola, lavato e stirato da Joaquin Phoenix nel Joker di Todd Philips.

La parabola verso la virilità nefasta di Walter White in Breaking Bad ha una tappa fondamentale nell’acquisto della pistola e nell’esercizio (sempre allo specchio) di estrarla e scaricarla rapidamente. Per aggrapparsi a un ultimo barlume di controllo, protrattosi per un assurdo lunghissimo inseguimento lento in tangenziale, O.J. Simpson agguantò una pistola e minacciò di uccidersi. Indiana Jones interrompe una minacciosa danza di spade con un distratto colpo di pistola.

Dal profilo Twitter di Oliver Harris

Forse perché ho subito il fascino delle pistole per la prima volta quando ho conosciuto la versione femminile di Indiana, Lara Croft, sulla mia Play Station dei primi anni Duemila, il pezzo di questa settimana sulle pistole (che trovate qui) comincia con una fotografia assurda: un contingente di soldati inglesi che, durante la seconda guerra mondiale, manovrano un grosso cannone da contraerea tutti vestiti da donna. Mi pare che la pistola sia da leggere anche come un accessorio, l’elemento di una serie di drag maschili più o meno grotteschi.

Con l’aiuto di Dungeons and Dragons e Game of Thrones, Assassin’s Creed II e gli Angeli archibugieri del barocco latino-americano, ho cercato di ragionare sull’estetica e la simbologia dello sparo proprio ora che ci avviciniamo alla notte dei tanto nefasti fuochi d’artificio, quest’anno ancora meno opportuni.

L’ho fatto da una prospettiva italiana, e infatti la conclusione è la stessa di Ariosto, che nell’Orlando furioso ha infilato un fucile anacronistico solo per poterlo maledire: quando il suo protagonista sconfigge il malefico re Cimosco, negromante armato d’archibugio, consentendo a Olimpia di sposare Bireno, si affretta a distruggere l’invenzione demoniaca e vigliacca di quell’abbietto nemico, gettandola nel fondo del mare come Frodo con l’anello nel vulcano. È proprio Ariosto forse che ha insegnato a Obi-Wan Kenobi a disprezzare le armi da fuoco, dannosissime anche in mano a un droide ottuso e incivili chiunque le impugni.

Jacob de Gheyn, Darstellung eines Arkebusenschützen, 1600 circa; immagine Wikipedia

Mi resta il dubbio che, da un punto di vista invece americano, l’ossessione virile per le pistole non si spieghi tutta solo con la paura. La paura del colonizzatore che teme la resistenza indigena, del patriarca che teme l’emancipazione di donne e giovani, del padrone che teme la ribellione di schiavi e lavoratori, del gendarme o carceriere che teme i diritti di chi dovrebbe proteggere o custodire, del vecchio che teme l’insorgere di qualsiasi paradigma che non confermi la sua autorità.

Il farmaco per questa paura è l’incivile, sproporzionato potere codardo dell’arma da fuoco, priapica illusione di estendere la violenza del proprio corpo dello spazio, nell’alterità.

Buon anno!

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