Unico film italiano in corsa per il Pardo d’oro al Festival di Locarno 78, Le Bambine di Nicole e la sorella Valentina Bertani (La timidezza delle chiome) è un racconto di formazione autobiografico, intriso di realismo magico e di nostalgia, ambientato nel Ferrarese degli anni ’90. Le due autrici dipingono con tinte psichedeliche una provincia omofoba, ubriaca di Maracaibo e Barbie da imitare. «Un film queer: includere dei personaggi non binari senza sottolinearlo deve diventare normalità»
Morire d’estate, di noia, in un comprensorio borghese popolato da madri bambine e padri assenti è un rischio che Linda, 8 anni, e le sue due nuove amiche Azzura e Marta cercano di evitare a tutti i costi con la forza della sorellanza e della fanciullezza.
Unico film italiano in corsa per il Pardo d’oro al Festival di Locarno 78, Le Bambine di Nicole e la sorella Valentina Bertani (La timidezza delle chiome) è un racconto di formazione autobiografico, intriso di realismo magico e di nostalgia, ambientato nel Ferrarese degli anni ’90. Le due autrici dipingono con tinte psichedeliche una provincia ancora omofoba, ubriaca di Maracaibo, slogan TV e Barbie da imitare, in questo primo film di finzione che non teme di raccontare la furia e il dolore del dover crescere. Il film uscirà nel 2026 distribuito dalla Adler.
Fare un film sulle bambine che siete state è stato un viaggio terapeutico?
V.B: Sì, è stata una sorta di psicoterapia di gruppo tra me, mia sorella Nicole e la nostra sceneggiatrice, Maria Sole Limodio. Anche se abbiamo avuto delle infanzie molto diverse da lei, che è cresciuta nel Sud, abbiamo un passato molto simile perché condividiamo uno stesso dolore. Tutti pensano che l'infanzia sia un periodo gioioso, una parentesi divertente e solare, ma non sempre così.
Dal film, la vostra infanzia sembra quasi una fiaba nera sotto acido dei fratelli Grimm.
N.B: Il nostro film è un po' una dark comedy, anzi una tragicommedia raccontata dal punto di vista di bambine che raccontano di altre bambine. Non volevamo nessuno sguardo adulto su di loro, neanche il nostro.
Rimanere bambine è necessario per salvaguardare la vostra linfa creativa?
V.B: È fondamentale. Quando lavoriamo insieme, ad esempio, è quasi come se giocassimo, ed è super importante avere sempre uno sguardo fresco, essere in grado di stupirsi e anche di scappare via dagli adulti che ti richiamano, in questo caso la produzione. Anche un set può diventare un gioco di ruoli: c'è il regista, ci sono gli attori che sono i nostri compagni di gioco, c’è la produzione che rappresenta i genitori che ti sgridano, e poi ci sono i giocattoli che sono la Steadycam, il Trinity, le luci e il direttore della fotografia che diventa il tuo “best Buddy”.
Avete paura di diventare adulte? Che cosa vuol dire crescere per voi?
VB: Crescere vuol dire prendersi le proprie responsabilità, e nel nostro film raccontiamo anche l’inadeguatezza degli adulti che non riescono a essere onesti con le bambine e non sono in grado di raccontar loro la verità. Nulla è indicibile. basta trovare gli strumenti per raccontare le cose in modo adeguato. Questo film ci ha reso adulte nel senso che ci ha costretto ad affrontare delle responsabilità, ma siamo sempre pronte a regredire
Il film vi ha permesso anche di perdonare vostra madre? La raccontate un po’ come una bambina cresciuta che fabbricava bambole.
NB: Sì, assolutamente, nostra mamma è una donna degli anni Novanta che, come tante madri di allora, cercava una propria identità in una società che imponeva alle donne di sposarsi il più giovane possibile e fare figli.
Valentina, il suo film precedente, La timidezza delle chiome, era un documentario, come mai questo passaggio al puro cinema di finzione?
VB: La timidezza delle chiome non è proprio un documentario classico di osservazione, è più che altro una messa in scena cinematografica della realtà. Anche in questo film seguiamo un po’ lo stesso processo, raccontiamo una storia vera, che è quella dell'estate della nostra infanzia, e ne facciamo una trasposizione realistica ma non reale.
Il film è ambientato negli anni Novanta, un decennio che forse è stato l’ultimo baluardo della sperimentazione e della creatività, siete nostalgiche di quel periodo della vostra infanzia?
N.B: Gli anni Novanta sono stati sicuramente un periodo di rottura dei canoni e di grandissimi cambiamenti con la caduta del muro di Berlino e l’inizio della digitalizzazione. Sono degli anni molto interessanti dal punto di vista creativo e visivo, anche la fotografia ha iniziato a raccontare gli adolescenti o la sessualità in piena crisi dell’AIDS in un modo più documentaristico. La moda stessa ridisegnava i corpi e si apriva al mondo, creando una rottura con il passato. Il decennio inizia con top model perfette come Cindy Crawford, che era l’emblema del benessere fisico, e va in direzione di Kate Moss che diventa la vera musa di quel periodo.
V.B: Ma poi il decennio finisce con Megan Gale e ci spostiamo su un'altra estetica ancora, quello di una donna più formosa, più florida, che cancella i festini anni Novanta.
Ma voi da bambine eravate già degli UFO come lo siete adesso?
N.B: Sì. Noi siamo delle aliene da sempre, assolutamente.
V.B: Azzurra è la trasposizione cinematografica di me stessa da bambina, una creatura di un altro tipo che è convinta che il suo body per la ginnastica sia magico. È una bambina che crede nel panpsichismo, cioè nel fatto che un oggetto inanimato abbia un'anima, una coscienza, dei poteri. Non riesce a definire la propria identità, a etichettare le proprie pulsioni e a capire che cosa prova verso una donna più grande. Per cui è come tutti gli oggetti non identificati, un UFO.
A proposito di etichette, che ne pensate del termine registe donne, non vi sembra ghettizzante?
V.B: Non mi sento ghettizzata, trovo che sia una definizione più che altro banale. Spero che un giorno ci saranno così tante registe donne che non ci sarà più bisogno più specificarlo.
N.B: Purtroppo le donne in questo settore sono come mosche bianche, una rarità simile al gatto albino. Forse in questo momento storico è importante sottolinearlo così come è fondamentale ispirare una futura generazione di registe donne.
Quali sono i film o i registi che vi hanno dato voglia di fare cinema?
N.B: Sicuramente Todd Solondz che purtroppo viene troppo poco ricordato, Happiness (1998) e soprattutto Fuga dalla seconda media (1996) sono stati di grande ispirazione per questo film. Anche Gregg Araki e il suo Mysterious Skin ci ha influenzato molto, pure lui racconta di bambini in un film per adulti, un pochino come il nostro.
V.B: Poi sicuramente Kubrick, Elio Petri, Larry Clark e Harmony Korine, siamo anche cresciute con tanto Dario Argento. Nostra madre aveva paura e quindi ci chiedeva di guardare i suoi film insieme lei, solo che noi eravamo piccole, avevamo 10-11 anni…
Negli anni ‘90 Todd Solondz o Larry Clark erano molto controversi, ma riuscivano comunque a fare i loro film malgrado i temi tabù, oggi non sarebbero mai prodotti. Pensate che il moralismo sia ormai dilagante? Ha senso cancellare un artista?
V.B: Fortunatamente viviamo in un ambiente in cui non c’è moralismo ma ne sentiamo gli echi. Condannare autori come Roman Polanski o Woody Allen trascina tutti su un terreno scivoloso. Bisogna separare gli uomini dagli artisti, le persone dalle loro opere, sono i film che bisogna giudicare non i loro autori.
Nel vostro film non siete mai giudicanti con i vostri personaggi anche nelle situazioni più borderline.
V.B: Nostro padre ci ha insegnato una cosa fondamentale: si può prendere del buono da ogni persona, sempre. Noi tendiamo a non giudicare né a stigmatizzare nessuno, ma spesso siamo noi a essere giudicate.
N.B: I nostri genitori ci hanno insegnato fin da bambine a essere persone libere, e speriamo che questa libertà si rifletta nel film che abbiamo fatto.
Fare un film è anche un atto politico per voi?
V.B: Sicuramente il nostro non è un film femminile, come qualcuno l'ha definito, ma è un film femminista.
N.B: E poi ci piace l’idea di fare un film non binario con un sistema di ripresa che passa da uomo-donna, donna-uomo a bambino-adulto senza soluzione di continuità.
V.B: Volevamo veicolare il tema della riappropriazione del corpo femminile anche da parte di una ragazzina. Azzurra scopre il piacere attraverso il suo “body orgasmico”, e raccontare l'autoerotismo femminile a quell’età rimane ancora un grande tabù al cinema, mentre nei racconti di formazione al maschile è una cosa ormai sdoganata.
N.B: Anche il termine femminile è un aggettivo che si riferisce sempre ad aspettative sul genere, no? per questo preferiamo l'aggettivo femminista.
V.B: E poi il nostro è un film sicuramente queer perché include senza forzature personaggi che lo sono naturalmente, come Azzurra e Carletto, il suo babysitter. Purtroppo è una cosa ancora rara nel cinema italiano, ma includere dei personaggi non binari senza sottolinearlo deve diventare normalità.
© Riproduzione riservata



