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La “canzone d’autore” vivrà in Italia una straordinaria fioritura artistica durante gli anni Settanta e fino all’inizio degli anni Ottanta, proprio mentre il Club Tenco muoveva i primi passi e il Festival di Sanremo sembrava in declino.
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Fu anche, quella, l’epoca dell’affermazione in Italia dei diritti sociali, prima, e poi dei diritti civili di seconda generazione. Mancava poco. Ma Luigi Tenco avrebbe vinto.
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Se però la canzone d’autore diventa (anche) commerciale, ha ancora senso questa distinzione? La canzone è questo, in fondo: una manifestazione di libertà, un frammento della liberazione umana. Se bella, può dare conforto alla nostra vita, alle nostre scelte.
«Guarda che belli i fiori in quella città, che mai mi ha visto e mai nemmeno mi vedrà. Guarda che mare, guarda che barche piccole che vanno a navigare». Francesco De Gregori dedicava questi versi, nel 1985, al Festival di Sanremo («la città dei fiori»), cui in effetti non è mai andato. Anche De André, Paolo Conte, Guccini, per citare solo alcuni fra i più grandi artisti della canzone italiana, non sono mai stati al Festival di Sanremo, né come concorrenti né come ospiti. Tutti si sono recati



