Dieta, ideologia e un po’ di superstizione: sotto la carne cruda si nasconde un culto nostalgico che rimpiange un passato che non c’è mai stato, perché non si mangiava meglio quando si stava peggio
- Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola da sabato 26 luglio
Va bene rifarsi al passato, ma addirittura al paleolitico! E invece molte scelte iperproteiche in voga oggi discendono dalla paleodieta, una prescrizione alimentare che si ispirava direttamente a come si mangiava 10.000 anni fa. Ma perché guardare così indietro? Come tutte le forme di cultura, si pensi alla moda che riscopre gli anni Cinquanta o Settanta, anche il cibo ci porta spesso in epoche passate. A volte per esplorare mondi lontani, come nel caso dei ristoranti medievali con i camerieri vestiti da cavalieri, l'assenza di elettricità (ma non in cucina) e i piatti più o meno dell'epoca; altre volte per rendere omaggio a culture atipiche (il cibo dei futuristi). Ancora, per veicolare ideologie e dire attraverso il cibo qualcosa di più grande. È il caso della paleodieta.
L'idea di tornare a mangiare il cibo del Paleolitico venne negli anni Trenta del Novecento al dentista Weston Price, grande viaggiatore che amava mettere in relazione alimentazione e salute. Price era convinto che alcune malattie del mondo moderno, dalle carie alla tubercolosi, fossero dovute al cibo trattato da tecnologie anche antiche. Ragion per cui, bastava tornare al cibo “naturale” della dieta dei nostri antenati: carne in quantità enormi, pesce, frutta secca, latte, semi, e frutta e verdura selvatiche.
Consigli bizzarri
Il libro di Price fu considerato una trovata ma non certo una ragionevole indicazione nutrizionale. Per la comunità scientifica, Price aveva un tono non da studioso ma da predicatore. In effetti, i suoi consigli erano bizzarri: mangiare gli animali per intero, possibilmente crudi, e compresi di tutto il grasso che contengono; cibarsi anche delle ossa e della cotenna suina; consumare il burro senza alcuna limitazione, anche per insaporire la frutta, e così via.
Negli anni Settanta, le teorie di Price furono riscoperte dall'attivista del cibo Sally Fallon, che le adottò come base teorica del suo bestseller Nourishing Diets, in cui raccomandava ai lettori di mangiare come i nostri paleo-antenati. Ed è qui che arriva l'approccio ideologico. La rivisitazione di Price da parte di Fallon fu infatti un successo soprattutto grazie al contesto. Gli hippy stavano rinnovando la cultura progressista del cibo, e le tesi di Price vennero viste come un contraltare conservatore a quella rivoluzione. Il libro affascinò in definitiva un pubblico nostalgico e felice di poter tornare a un passato puro e immacolato quanto quello hippy, ma più “maschio” e lontano da vegetarianismo e salutismo.
Il versante del business
Fallon, intanto, trasformò tutto questo in stile di vita e soprattutto business: insieme al marito aprì una fattoria sperimentale in cui si produceva e commercializzava cibo paleolitico. L'attivista e la sua fattoria sono ancora in piena attività e hanno anzi aggiornato la loro battaglia passatista: oltre alla paleodieta, oggi esaltano il rifiuto dei vaccini e di alcune terapie mediche; inoltre, attraverso una fondazione intitolata a Price, si combattono le altre diete paleolitiche nate in tutto il mondo (compreso quella che ha soffiato a Fallon lo sfruttamento del marchio commerciale “Paleodieta”).
Le diete paleolitiche di oggi sono versioni più soft dell'originale, diffusissime tramite libri, siti internet, account social e documentari, e adottate da un pubblico che ama le proteine e rimpiange il passato. Le indicazioni si sono fatte meno estreme ma a volte contraddittorie. Sui cereali, ad esempio, regna grande incertezza: se qualcuno li accetta, qualcun altro li rifiuta perché sono frutto dell'agricoltura, nata dopo il Paleolitico. Tra le verdure, invece, i broccoli sono di gran lunga preferiti alle patate, piene di amido.
La valenza dietetica di queste teorie è inconsistente. Considerare paleolitico qualsiasi cibo odierno non ha senso. Oggi un broccolo contiene millenni di tecnologia: è stato incrociato, mutato, adattato come tutti gli altri prodotti che mangiamo. I quadri medievali o del Cinquecento mostrano verdure e frutta totalmente diverse da quelle che troviamo oggi. Non vedere, o far finta di non vedere, che ogni cibo cambia continuamente, anche se si chiama sempre nello stesso modo, dimostra l'ignoranza o la malafede dei fautori della paleodieta.
Ma è chiaro che non è l’aspetto nutrizionale del paleocibo a contare, quanto il suo valore simbolico. La paleodieta è infatti la trincea gastronomica di una corrente ultraconservatrice che demonizza tutto ciò che è innovazione, dalla dieta alla fisica, dalla medicina alle nuove culture relazionali. È il primitivismo, l'idealizzazione di un passato, in realtà mai esistito, in cui tutto andava bene e l'essere umano viveva felice, prima dell'arrivo del diabolico progresso, il “cattivo” che ha corrotto l'innocenza del mondo portando sul pianeta novità considerate dannose e bugiarde come l'industria, le medicine e persino la meteorologia. Il paleocibo entra a pieno titolo in questa prospettiva.
I paleontologi, tra l'altro, sostengono che nel paleolitico gli esseri umani non mangiavano quella che oggi si chiama dieta paleolitica. Nutrirsi era molto più difficile di quanto possiamo immaginare e di fatto ogni gruppo di Sapiens aveva una propria dieta specifica a secondo della situazione geografica, territoriale e climatica. Insomma, forse non mangiavano neanche i broccoli, ma non ditelo ai paleodietisti.
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