Due recenti mostre, quella di Gian Maria Tosatti al Padiglione italiano della Biennale di Venezia e quella di Nicola Verlato alle Terme di Dioclezianodi cui ha scritto la settimana scorsa Giuseppe Frangi – testimoniano l’interesse per Pier Paolo Pasolini. Già prima di loro, il pensiero di Pasolini si è palesato in quelle di artisti come Alfredo Jaar o Elisabetta Benassi.

Dalla fine degli anni Settanta il cileno Jaar fa riferimento al pensiero di Pasolini. In uno dei suoi lavori del 2004, Infinite Cell, Jaar ricorre all’immagine di una prigione per descrivere l’atteggiamento con cui Pasolini delinea il quadro del presente e l’omologazione che si traduce in controllo sociale. Jaar dichiara la sua vicinanza al pensiero di Antonio Gramsci, che ha creduto nella capacità della cultura di trasformare la società e si propone di dare espressione alla volontà di Pasolini di abbattere le gabbie d’acciaio imposte al naturale fluire dell’esistenza.

Oltre le convenzioni

L’ibridazione dei linguaggi costituiva per Pasolini lo strumento per superare gli steccati che le convenzioni accademiche, e non solo, assegnavano al lavoro intellettuale. La tendenza a congelare la creatività è già presente nel momento in cui pretendiamo di definire i fenomeni culturali.

Termini come Romanticismo o Illuminismo, ad esempio, riescono appena a rendere la ricchezza a cui queste parole rinviano. I limiti di tale approccio emergono quando ci troviamo dinnanzi a movimenti la cui vitalità non può essere arginata dalle griglie che un sistema sociale vuole imporre e che il lavoro creativo vuole oltrepassare. Accostarsi a Pasolini significa allora per gli artisti visivi esplorare modalità espressive molteplici e complesse.

Questo sentire si avverte in Storia della notte e destino delle comete, che Tosatti ha presentato al Padiglione italiano della 59ª Biennale. Si tratta di un percorso che attraversa un paesaggio in cui appare evidente la crisi irreversibile di un modello economico alimentato dall’illusione dello sviluppo illimitato.

Il riferimento all’espressione di Pasolini che dichiarava che avrebbe dato indietro la Montedison in cambio di una lucciola non va intesa, per Tosatti, come una rivolta antimoderna contro l’industrializzazione, come un richiamo alla decrescita più o meno felice, o come l’evocazione di una Arcadia originaria. È invece il monito dell’artista di fronte a una hybris in cui lo sviluppo non è stato finalizzato alla promozione umana, ma alla accumulazione.

Martirio

Questi temi, con toni differenti, si ritrovano nella mostra di Nicola Verlato, Hostia. Pier Paolo Pasolini, alle Terme di Diocleziano, dove si coglie la volontà dell’artista di far dialogare gli aspetti talora contraddittori dell’opera di Pasolini. In Verlato la dimensione lirica emerge nel riferimento a Petrarca, che tanto ha inciso nella produzione di Pasolini.

Accanto al linguaggio della poesia riconosciamo l’elemento civile, testimoniale, che in più casi ha assunto una valenza profetica. Basti pensare a come le sue parole abbiano prefigurato la crisi migratoria, che segna oggi drammaticamente le rotte mediterranee. La scelta di uno stile che richiama la grande arte rinascimentale attribuisce un’aura sacrale e tragica a questo itinerario esistenziale.

La metafora del martirio appartiene costitutivamente alla vita e alla morte di Pasolini e Verlato indica nel corpo dilaniato del poeta i segni di una Imitatio Christi, perseguita nella forma di una profonda religiosità laicamente eretica. Ernst Bloch scriveva, in Ateismo nel Cristianesimo, che “il meglio della religione è che essa suscita eretici”. Pasolini e Verlato si sarebbero pienamente riconosciuti nelle sue parole.

A calcio con Pasolini

La figura di Pasolini è inoltre presente nella ricerca artistica di Elisabetta Benassi, che già nel Duemila ha realizzato due video a colori nei quali incontra un sosia del poeta.

Nel primo, You’ll Never Walk Alone, l’artista ha immaginato una partita di calcio, nello stadio Flaminio deserto, tra il suo alter ego, Bettagol, e un giovane straordinariamente somigliante a Pasolini. In un altro video dello stesso anno, Timecode, i due girano in moto nella la periferia di Roma.

L’immagine di Pasolini è così riportata ai nostri giorni. Nel 2020 Benassi ha realizzato The Crow, opera che dà voce al corvo-poeta di Uccellacci e uccellini. Benassi immagina un mondo in cui siano gli animali a interrogare gli uomini sul futuro che si prospetta all’orizzonte, non solo per l’umanità, ma per il pianeta. La natura, ci dice Benassi, mettendo a tacere ogni presunzione antropocentrica, può sopravvivere senza l’umanità, che in una corsa verso lo sviluppo illimitato, sembra aver dimenticato la propria costitutiva finitezza.  

Utopie possibili

Pasolini diceva di sé di essere “un uomo antico, che ha letto i classici”, che ha contemplato il sorgere e il calare del sole sui campi e che non sapeva che farsene di un mondo in cui prevaleva la volgarità e l’arrivismo.

Aggiungeva che rispetto a tutto ciò preferiva rassegnarsi a perdere piuttosto che tentare di vincere con modi sleali. Considerava questi suoi limiti come una virtù, in cui possiamo riconoscere un donchisciottismo e un messaggio inattuale, un messaggio che riesce a prendere forma nelle utopie possibili della creatività artistica.   

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