Senza respiro di Raffaella Mottana, uscito qualche mese fa per Accento edizioni, è un romanzo breve e cristallino che parla di cancro e di sadomasochismo. Se questo suona irragionevolmente cupo si potrebbe dire: parla di morte e di amore. Se questo suona irragionevolmente ottocentesco si potrebbe dire: parla di due tipi di dolore, quello che strazia e quello che piace.

Il romanzo è diviso in due parti, connesse e rovesciate come immagini allo specchio. Nella prima la protagonista Cecilia, poco più che ventenne, accompagna le ultime settimane di vita della madre malata di leucemia; la sezione si apre quando lei, in vacanza, viene a sapere dell’ultimo ricovero, e si chiude con la sepoltura. Nella seconda, pochi mesi dopo, Cecilia scopre per caso il piacere intensissimo che prova sentendosi strangolata durante il sesso.

Inseguendo l’ombra di questo piacere come una lanterna nella notte del lutto, Cecilia si trova a esplorare il proprio desiderio avvicinandosi alla comunità Bdsm della propria città, stringendo legami e cominciando una relazione con un uomo più maturo che la spingerà, con rispetto e dolcezza, con violenza e piacere, sempre più in là. Questo più in là è raffigurato con un nitore e un coraggio che colpiscono come un pugno in pancia.

Un racconto dilatato

Lo stile di Mottana, al suo primo romanzo, è controllatissimo e lucido, descrittivo, preciso, fatto di dettagli e frasi e piccoli gesti. È un modo di raccontare che dilata ogni istante, che è lo stesso effetto che provoca il dolore. Nella prima parte questo genera un senso di inesorabilità, un’oppressione che risulta vertiginosamente congruente con lo stato d’animo della protagonista: non vuoi perderne neanche un attimo, eppure una parte di te vuole che lo strazio finisca. Applicato alla scoperta sessuale, lo stesso stile rovescia il proprio risultato: come i secondi infiniti fra una frustata e l’altra, il rallentamento non opprime ma amplifica il piacere.

Questo fa sì che le due parti si leggano in modi estremamente diversi. La prima è la cronaca dell’avvicinamento a qualcosa di certo: non ci sono domande, se non quanto durerà. La seconda, al contrario, è la storia di un primo passo che potrebbe condurre ovunque, senza che nessuno, prima, possa sapere dove. E Mottana lo conduce molto, molto avanti: alle mani sul collo iniziali si sostituiscono le cinghie strette; le frustate; i pugni e gli schiaffi; i tagli col bisturi.

Un ritratto perturbante

In Senza respiro, la cui seconda parte parla principalmente di sesso, c’è poco sesso (sesso vanilla, cioè penetrativo, genitale), solo ombre o tracce. Ciò che mostra è qualcosa di più e qualcosa di meno. Fra Cecilia e il suo amante si percepisce una tenerezza crescente ma anche qualcosa che non è una relazione romantica.

La gravità specifica del Bdsm è più alta di quella del sesso vanilla: ciò che vi gravita intorno ne finisce più spesso inglobato. Questo non significa che nel libro non ci sia amore, solo che è un amore diverso. Cecilia, che non piange per i pugni e le frustate, piange per la risposta sbagliata a una dichiarazione.

Chi legge si aspetta che a un certo punto succeda qualcosa che inneschi la trama – la famiglia che scopre i lividi, una sessione che finisce male, un incontro con la persona sbagliata – ma in Senza respiro il Bdsm è la trama. Mottana ne offre un ritratto esperto e realistico, erotico e perturbante al contempo, potente nella commistione di quotidiano ed estremo (un aperitivo conviviale che in tutta naturalezza conduce alla fustigazione pubblica di due partecipanti), priva di proiezioni politiche o valutazioni morali. Lo raffigura come una parte del mondo, una cosa che accade. Questo lo rende un romanzo molto, molto raro.

Tra lutto e piacere

Naturalmente Senza respiro nel profondo parla di lutto e di perdita, che risuonano in modo più vivido e straziante proprio nelle pagine in cui restano in secondo piano, trapelando da qualche brano di dialogo, da piccoli episodi familiari, dalla perenne sensazione che qualcosa sia lì lì per esplodere.

Non sappiamo cosa. Mottana si concede pochi squarci di introspezione nell’interiorità della sua protagonista. Assistiamo alla vita di Cecilia come osserveremmo un animale selvatico, costretti ad affidarci alle sue azioni per provare a ricostruire i motivi di ciò che fa.

Da una parte, questo è l’unico modo che permette a Mottana di spingere il Bdsm ben al di là delle sculacciate e dei morsi a cui così spesso è ridotto. Il crescendo che Cecilia sperimenta col suo amante risulta deliberatamente disturbante per il lettore, ed è difficile, per chi non ne ha il gusto e l’esperienza, immaginare il piacere dietro certe pratiche.

È difficile ma non impossibile, e ciò che lascia aperto questo spazio di immaginabilità è proprio il fatto che Mottana, con un’intelligenza narrativa profondissima, a riguardo tace. Non esiste modo migliore di rovinare il piacere che spiegarlo.

Ciò permette anche di evitare le psicologizzazioni banali che del Bdsm sono state fatte in molti romanzi recenti: è evidente che il percorso di scoperta di Cecilia è legato alla sua perdita, ma la natura di questo legame (Slatentizzazione? Metafora? Espiazione? Abbandono di sé?) rimane abbastanza ambigua da rendere giustizia a un orizzonte di pratiche profondo e variegato come il Bdsm, senza ridurlo a simbolo di qualcosa.

D’altra parte, chi legge Senza respiro non può non essere colto dal sospetto che questa inaccessibilità dell’interno sia mimetica: non conosciamo le ragioni profonde di Cecilia perché, accecata dal lutto, non le conosce neppure lei. Questa immagine – l’immagine di una donna che agisce sospinta da un inconscio che non ha l’energia o il desiderio di esplicitare – è ciò che Mottana raffigura con una lucidità e una delicatezza sorprendenti, con una specie di grazia. È un’immagine della perdita.


Senza respiro (Accento 2022, pp. 201, euro 16) è il romanzo d’esordio di Raffaella Mottana

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