In Italia si legge poco, non è sia un mistero sia una novità. I lettori sembrano diminuire, la maggior parte di noi, ahimè, preferisce contenuti più rapidi, che non richiedano particolare sforzo, colpa, probabilmente, di una quotidianità sempre più frenetica, che di tempo libero ne concede poco. È così che quando in Italia nasce una nuova libreria è sempre festa, e quando invece è una casa editrice a vedere la sua prima alba la festa è anche più grande.

Accento, casa editrice che punta sugli esordi, nasce da un’idea di Alessandro Cattelan, che sui suoi profili social parla di libri da tempo. Nella sua squadra, tra gli altri, ci sarà pure Matteo B. Bianchi, scrittore e autore televisivo che di letteratura giovane ed esordi si occupa da molti anni.

Matteo, com’è nata l’idea?

Da una telefonata di Alessandro Cattelan. È passato circa un anno. Un giorno, un giorno qualunque, ha chiamato e mi ha detto che voleva fondare una casa editrice, chiedendomi cosa ne pensassi.

Cos’hai risposto?

Di non chiamare nessun altro: mi sembrava un’idea bellissima. Una settimana dopo ci siamo incontrati per parlarne concretamente, e da allora tutto è andato avanti in modo naturale.

Cattelan lo conoscevi già?

Sì, abbiamo lavorato assieme a quasi tutte le stagioni di E poi c’è Cattelan.

Come sono andate le cose dopo quella telefonata?

Deciso che l’avremmo fatto, che avremmo lavorato assieme a una nuova casa editrice, abbiamo formato la squadra. Abbiamo chiamato Gianmaria Pilo, che è organizzatore della Grande invasione, un ex libraio e direttore commerciale di un’altra casa editrice. Roberta De Marchis, oggi l’ufficio stampa della casa editrice ed Eleonora Daniel, oggi caporedattrice ed editor. Ha ventisei anni, lei, ad Alessandro dico sempre che ci soffierà il lavoro: è giovane e brillante!

A proposito di giovani. La casa editrice si propone di pubblicare autori e autrici esordienti. L’idea di base era questa fin dall’inizio?

Fin da quella prima telefonata. L’intenzione di Alessandro era di fondare una casa editrice che potesse aiutare i giovani a esordire, idea che io trovo molto nobile. Parlandone, poi, ci siamo detti che limitare la possibilità di pubblicare ai giovani, selezionare autori e autrici da un punto di vista anagrafico, non era un’idea granché funzionante. Si può esordire a qualsiasi età, pure a cinquanta o sessant’anni.

L’idea di puntare sugli esordi quindi è stata di Cattelan.

Sì, e questo ci tengo a sottolinearlo.

Be’, allora ha fatto bene a pensare a te. Tu, in effetti, ti occupi di esordi e di letteratura giovane da molti anni.

Da sempre, e a tal proposito il mio modello è Pier Vittorio Tondelli. Quando ero ragazzo, nel periodo in cui avevo appena cominciato a scrivere, io stesso non sapevo come muovermi nel mondo editoriale. Tondelli però all’epoca era attentissimo alla scrittura dei giovani, dei ragazzi e delle ragazze della mia età e alla letteratura che si stava creando. Ricordo che in quel periodo, quando mi sentivo smarrito – il mondo editoriale può fartici sentire, smarrito – lo vedevo, Tondelli, come una sorta di punto di riferimento, cosa che psicologicamente mi aiutava tantissimo. Scrivevo e mi dicevo «al limite lo mando a Tondelli». Ecco, dacché ho iniziato a muovere qualche passo nel mondo editoriale essere un riferimento per gli esordienti è qualcosa che mi sta a cuore. L’ho fatto sia con Tina, la mia rivista letteraria, sia nella collaborazione con le case editrici in cui ho lavorato negli anni.

Il tuo riferimento è Tondelli, quindi?

In tal senso, sì. Tra l’altro, uno dei prossimi progetti della casa editrice è una raccolta di racconti di under 25, un lavoro che stiamo facendo proprio in suo onore. È il nostro tributo a Tondelli.

Perché proprio un’antologia di racconti?

Perché ci sono molti giovani scrittori e scrittrici che sentono di avere qualcosa da dire e che vorrebbero affrontare la pagina bianca, ma che ancora non sono pronti a un romanzo.

A proposito di autori e autrici: come avete trovato i primi da pubblicare?

Abbiamo chiesto in giro. Ai redattori delle riviste letterarie, agli agenti di cui ci fidiamo, a scrittori amici. I primi due titoli pubblicati, in libreria dal ventisei ottobre, sono di un’autrice ventisettenne milanese, arrivata tramite un agente, e di un autore trentacinquenne romano, conosciuto tramite il lavoro che aveva già fatto su varie riviste letterarie.

Adesso i manoscritti fioccano, immagino.

Nel primo giorno di vita della casa editrice, quando è stata annunciata la sua nascita, sono arrivati 150 manoscritti. Impressionante! Solo nelle prime ventiquattr’ore.

Come fate a selezionare quelli da pubblicare in un insieme tanto grande?

Sarò sincero: è piuttosto facile. Forse perché ho molti anni di esperienza alle spalle o forse perché l’istinto mente raramente, ma non è difficile individuare i manoscritti più interessanti. Spesso è già sufficiente leggere l’email con cui viene presentato il testo, spesso le prime pagine. L’80 per cento è fuffa, e dispiace dirlo ma è così. È un problema italiano, lo sappiamo: tutti vogliono scrivere. In questo mucchio però qualcosa di interessante c’è sempre, bisogna solo tenere lo sguardo vigile.

In ambito editoriale hai già lavorato in più case editrici, tra cui Baldini e Castoldi, ma questa, correggimi se sbaglio, è la prima volta che segui un progetto fin dalla sua nascita. Ti chiedo, può suonare stupido però è una domanda che mi sono posto io stesso: non ti spaventa? Non solo fondare una casa editrice, ma una casa editrice che punta sugli esordi.

No, direi di no. Ci stiamo muovendo con i piedi di piombo, stiamo esercitando cautela: tirature limitate per pochi titoli l’anno sui cui lavoreremo con estrema cura. I libri che faremo li faremo perché crederemo nei loro progetti, perché, per una ragione o per un’altra, ci piacciono.

Che aria tira in redazione?

Bellissima! Ci sono discussioni eccezionali sulle copertine, sui modi in cui si potrebbe pubblicare e proporre un libro, sugli autori e sulle autrici. In generale c’è un gran fermento.

Seguirai una linea editoriale specifica o andrai solo a caccia dell’esordio?

In questa fase, l’esordio è ciò che conta.

Cercherete di tenere con voi gli autori e le autrici che esordiranno con la casa editrice?

Certo, vorremmo che proseguissero con noi.

Sul nome della casa editrice, invece, che mi dici?

Accento. È un bel nome, no?

È un gran bel nome, secondo me.

Nasce proprio dall’idea di porre l’accento su qualcosa, nel nostro caso sugli esordi. Volevamo un nome riconoscibile e, al tempo stesso, con un significato specifico. Le collane si chiamano Acuto e Grave.

Tornando agli esordi. Cosa cerchi? Una voce, come si dice spesso?

Una voce è sicuramente la risposta più giusta. Uno stile che colpisca, un tono che abbia una sua riconoscibilità.

Come si fa a sentirla, questa voce di cui parla gran parte degli editor?

Banalmente, con l’istinto. La senti, la verità è che la senti - naturalmente e in modo istintivo, appunto. Prendi la terza esordiente che pubblicheremo. Mi è arrivato il manoscritto durante un weekend che stavo trascorrendo con amici in montagna. L’ho cominciato a leggere una sera, trovandolo ben scritto, con qualcosa di diverso, e il giorno dopo, quando ero in giro con questi amici, mi sono reso conto che volevo tornare a casa e continuare a leggerlo. Ecco, cose del genere, quando capitano, sono già una risposta a questa tua domanda. Ad ogni modo, cerchiamo qualcosa che abbia spirito inatteso e originale.

Sulla straniera che mi dici?

Al momento non c’è nulla in programma. Abbiamo però una collana dedicata ai recuperi, libri che per una ragione o per un’altra non sono più in commercio e che crediamo siano piccole perle della letteratura, in cui ci saranno pure dei romanzi stranieri.

Avete una sede?

No, siamo molto moderni sotto questo punto di vista. La nostra editor e caporedattrice vive a Roma, io e Alessandro siamo a Milano, Gianmaria è a Ivrea. La sede, quando ne abbiamo bisogno, è l’ufficio di Alessandro, in effetti.

Tornando al tuo lavoro con i giovani. C’è un esordiente a cui sei rimasto particolarmente legato?

Ce ne sono diversi, e per varie ragioni. Francesca Ramo, conosciuta quando lavoravo in Baldini e Castoldi, morta poco prima di pubblicare la sua seconda prova, in quei giorni abbiamo scoperto che era una delle scrittrici preferite di Roberto Saviano, pensa. Jonathan Bazzi, quando ho letto certe sue cose sono rimasto folgorato e ho detto a quelli di Fandango che sarebbero stati dei pazzi a non prenderlo. O Ilaria Bernardini, che negli ultimi anni ha scritto romanzi molto belli.

Matteo, l’ultima domanda: come immagini la casa editrice tra dieci anni?

Innanzitutto, mi piacerebbe pensare ci sia ancora! Ad ogni modo, mi auguro che Accento faccia un bel percorso. Mi viene in mente Minimum Fax, e una cosa che mi disse Paolo Cognetti quando pubblicò la sua prima raccolta. Mi disse che l’aveva mandata solo a Minimum Fax perché voleva pubblicare solo con loro. Ecco cosa vorrei per Accento: che fosse la casa editrice riconosciuta per il suo lavoro con i giovani.

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