Centinaia di figurazioni si diffondono in giro per Venezia, a partire dall’incriticabile Biennale dedicata all’universo sconosciuto e soppresso delle artiste donne (con qualche concessione alla fluidità tra generi): una sacrosanta vendetta molto apprezzata e molto abile verso una storia dell’arte scritta unicamente dagli uomini, disegnata con precisione balistica da Cecilia Alemani, con tanta leggerezza e colori e neofolklore politico e tante rappresentazioni di sogni e rivelazioni e divinazioni. Una pozione di sicuro successo, molto family friendly, consapevolmente confezionata anche come antidoto a questi due anni bui del Covid.

La neuroscienza

Fondazione Prada ha preso la strada opposta, svegliandoci dal sonno, mannaggia. Nella sede veneziana di Ca’ Corner una rigorosa ricerca hardcore cerca di “mostrare” gli ultimi anni di studio sul centro di controllo che tutti abbiamo sotto il cranio. Esattamente il luogo da cui proviene tutto “Il latte dei sogni” (questo il titolo della Biennale Arte), piaccia o no. Incubi compresi.

Sviluppata in collaborazione con tredici istituzioni internazionali di neuroscienze, questa è la terza parte (intitolata Si comincia con un’idea, a cura di Ugo Kittelmann, aperta fino al 27 novembre 2022) di un lungo percorso in quattro fasi: “Cultura e Coscienza”, corposo simposio dedicato allo studio delle più alte funzioni cerebrali (novembre 2020) e “Conversazioni”, una fitta serie di talk e seminari tra scienziati e pensatori di ogni genere (settembre 2021-aprile 2022) hanno rappresentato le precedenti due tappe dell’operazione.

Il quarto e ultimo capitolo sarà il forum scientifico e il progetto espositivo Preserving the Brain, in programma a Milano nei mesi di settembre e ottobre 2022, e porterà questo lungo percorso verso il suo obiettivo finale, e verso il suo reale scopo: le malattie neurodegenerative, dai loro meccanismi fisiopatologici alla loro cura. Il secondo piano di Ca’ Corner presenta inizialmente un abbacinante panottico – disegnato dall’artista Taryn Simon – dove alcuni dei rapidi risultati/dubbi/prospettive della ricerca ci vengono raccontati in faccia da alcuni dei protagonisti coinvolti nelle tappe del percorso, aprendoci gli occhi sulla realtà di ciò che sta accadendo nel mondo in questo momento: almeno un quarto del numero dei decessi nel mondo è dovuto a degenerazioni delle cellule cerebrali, l’estensione della nostra vita ci espone all’orrendo rischio di vivere vecchi/stupidi/poveri nello stesso tempo per decine d’anni, la ricerca su questa tragedia è così costosa che Big Pharma ha detto addio anni fa.

Il labirinto delle origini

Il medesimo piano è costituito principalmente da uno scuro labirinto progettato in modo magistrale (troppo intricato per essere raccontato) pieno di tesori, la maggior parte di questi essendo manoscritti e preziosi reperti cartacei antichi e moderni (inteso come appartenenti all”era moderna” cinquecentesca) e addirittura copie 3-D di cilindri sumeri con studi medici e formule intorno all'argomento centrale, ipotesi sulle origini delle attività oniriche comprese.

Il viaggio è così vertiginoso che richiede ore e alza ancora una volta l’asticella delle capacità di questa fondazione come centro di studi e di meraviglie. Non a caso, nella sede milanese, un’intera mostra è parallelamente dedicata a uno studio perfettamente speculare dello stato del corpo nella società contemporanea, realizzato con l’“aiuto” di una grande personale di Elmgreen & Dragset, con opere prodotte in situ e una mostra all’interno della mostra che miscela corpi (statue) provenienti dai migliori musei archeologici del mondo con alcuni pezzi classici del duo.

Il cuore dell’esplorazione - che inizia con una domanda-titolo cruciale, “Useless Bodies?” - è un catalogo di oltre cinquecento pagine che ospita la maggior parte dei più importanti studiosi della materia (in senso più allargato) cercando di dare una risposta all’inconosciuto e all’inedito che ovviamente sorgeranno dalla trasformazione sulla nostra biologia anche sociale operata dalle tecnologie degli ultimi e dei prossimi 30 anni, esaminate dagli angoli più importanti e con una prospettiva a 360 gradi: da Beatrix Colomina e Geert Lovink a Paola Antonelli, da Rem Koolhaas (la mostra del duo artistico è in costante dialogo con il suo edificio) a Rosi Braidotti, da Christian Marazzi a Salvatore Settis.

Quindi da una parte – alla Biennale – c’è fondamentalmente la storia, là dove abitava di solito la contemporaneità (una storia riscritta, ed è iper importante, anche se non è esattamente la prima volta... ma di sicuro a Venezia sì); in altre due sedi, ci sono pensieri, immagini e cose sulla vita vera, sulla sua trasformazione, e sulla sua possibile fine: ora, adesso.

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