Nel marzo 2021, l’Nft (non-fungible token) del primo tweet di Jack Dorsey veniva venduto per 2,9 milioni di dollari.

Oggi è tornato all’asta: il suo proprietario Sina Estavi, fondatore di una società malesiana attiva nel settore blockchain, ha dichiarato di puntare a un ricavo di 25 milioni di dollari.

Le cose non stanno però andando secondo i suoi piani: nel momento in cui scrivo – e nonostante siano trascorse quasi tre settimane dalla messa in vendita – l’offerta più alta è di poco superiore ai 30mila dollari. Circa un centesimo di quanto Estavi ha pagato questo oggetto digitale collezionabile certificato tramite Nft.

Sempre in queste settimane, l’Nft “Doggy #4292” – esemplare di una raccolta di immagini digitali da collezione curata dal rapper Snoop Dogg – è stato messo in vendita su OpenSea (il più grande marketplace del settore) dopo essere stato acquistato per 32mila dollari. Per ora, non si registra nessuna offerta attiva e quelle che si sono viste nei giorni scorsi non andavano oltre le poche centinaia di dollari.

Axie Infinity è invece uno dei giochi di maggiore successo del settore Nft: prevede l’acquisto, la personalizzazione e la vendita di mostriciattoli da combattimento. Negli ultimi mesi, il numero di utenti attivi sulla piattaforma si è dimezzato, passando da 2,7 milioni di dicembre agli 1,5 milioni di marzo.

Sono tre esempi che danno l’idea della situazione complessiva in cui versa il mercato degli Nft. Dall’euforia dell’estate scorsa – quando la compravendita quotidiana di questi “collectibles” digitali (che includono arte, collezionismo, accessori per i videogiochi, moda e altro ancora) aveva raggiunto anche i 400 milioni di dollari al giorno – si è passati ai circa 50/60 milioni di oggi. Il solo settore dell’arte digitale certificata tramite Nft è sceso, secondo quanto riporta Statista, dagli 800 milioni di dollari del settembre 2021 ai 50 circa dell’aprile scorso.

Numeri desolanti, che sui giornali di tutto il mondo – a partire dal Washington Post – hanno provocato la comparsa di titoli che celebravano il funerale degli Nft: sigla che sta per non-fungible token e che indica il certificato digitale basato su blockchain che attesta la proprietà di un oggetto virtuale.

Innovazione o truffa?

Il mondo intero si è accorto degli Nft nel marzo dell’anno scorso, in seguito alla clamorosa vendita per 69 milioni di dollari di una raccolta di opere digitali dell’artista Beeple. Nello stesso periodo raggiungevano il successo i CryptoPunks e Bored Ape Yacht Club: raccolte numerate di immagini digitali vendute singolarmente anche per centinaia di migliaia di dollari.

Da allora, gli Nft sono stati uno degli argomenti più dibattuti: considerati da alcuni una fondamentale innovazione (che permette di creare scarsità, e quindi valore, anche in un mondo infinitamente riproducibile come quello digitale) e da altri poco più di una truffa o di una catena di Sant’Antonio, il cui unico scopo è rivendere quanto acquistato a prezzo più elevato sperando di non restare con il cerino in mano.

Che cosa significa, in effetti, “possedere un tweet” che tutti possono vedere online? Che senso ha spendere migliaia di dollari per il certificato di proprietà di un’immagine jpeg che chiunque può ottenere, perfettamente identica all’originale, salvandola con il tasto destro del computer? È una trovata speculativa priva di senso o è l’equivalente per la nostra epoca digitale di possedere una pagina del diario di qualche celebre personaggio del passato o di entrare in possesso di una figurina autografata da Michael Jordan?

È ancora presto per fare un bilancio delle applicazioni e del successo degli Nft, ma una cosa è certa: l’andamento di questo mercato ricorda da vicino quanto già avvenuto in un settore collegato, quello delle criptovalute. Ricordate? Era l’inverno 2017/2018 e perfino il telegiornale della sera parlava quotidianamente della crescita inarrestabile dei bitcoin, il cui valore era decuplicato nel giro di sei mesi.

Le criptovalute

E poi, all’improvviso, il crollo: dai 20mila dollari raggiunti a dicembre si è scesi fino ai settemila di febbraio e poi ancora più giù. Anche in quell’occasione si decretò ovunque la “morte dei bitcoin”. Peccato che oggi, nonostante la fase tutt’altro che euforica attraversata dal mercato delle criptovalute, i bitcoin valgano oltre il doppio rispetto ai valori raggiunti in quei mesi. Non solo: le criptovalute nel loro complesso – a partire da quelle basate sulla blockchain di Ethereum – stanno trovando funzioni sempre più concrete e sono oggi al centro di quel “web3” che molti considerano il futuro della rete.

In poche parole, non erano i bitcoin o le criptovalute a essere morti: era semplicemente scoppiata la (prima) bolla legata a questo mercato. Allo stesso modo, oggi non stiamo probabilmente assistendo alla fine degli Nft, ma solo alla conclusione di un ciclo speculativo irrazionale, che ha cavalcato l’euforia seguita alla già citata vendita dell’opera di Beeple.

Come tutte le bolle, insomma, anche questa era destinata a scoppiare, seguendo la regola individuata già nel 1841 dallo scrittore Charles Mackay parlando della celebre «bolla dei tulipani» seicentesca: «Il più prudente inizia a capire che questa follia non può durare per sempre quando i ricchi non comprano più i fiori per tenerli nel loro giardini, ma per rivenderli maturando il 100 per cento di profitti. Si comprende così che qualcuno, alla fine, dovrà perderci paurosamente».

È la stessa situazione che devono affrontare i tanti che hanno acquistato Nft a carissimo prezzo all’apice della frenesia speculativa e adesso si ritrovano con oggetti digitali di dubbio gusto e valore, tra cui sconclusionate trovate pubblicitarie come l’Nft creato da McDonald’s per celebrare un suo nuovo panino o quello della carta igienica del brand Charmin.

La fine della bolla è però una cosa molto diversa dalla fine degli Nft. Al contrario, poiché permette di trasportare il concetto di proprietà e valore anche nel mondo virtuale, quest’innovazione sarà probabilmente necessaria in un futuro che promette di essere sempre più digitalizzato.

Il progetto Otherside

A dimostrazione di tutto ciò c’è anche il fatto che, negli stessi giorni in cui il Washington Post e altri suonavano le campane a morto, il lancio del colossale progetto Otherside (un gioco basato su Nft creato dagli stessi inventori di Bored Ape Yacht Club) faceva registrare scambi di Nft per oltre 800 milioni di dollari in soli due giorni e permetteva a OpenSea di distruggere il suo record storico di compravendite.

Dopo questa improvvisa fiammata, il mercato è di nuovo tornato sui livelli molto bassi che hanno caratterizzato gli ultimi mesi, dimostrando come in questa fase l’attenzione sia legata a progetti specifici che potrebbero avere grandi potenzialità (o dimostrarsi dei flop clamorosi) e come si stia cercando di ampliare l’ambito di utilizzo degli Nft rispetto al semplice scambio di immagini bizzarre da utilizzare sul nostro profilo social.

Goldman Sachs, per esempio, ne sta studiando le applicazioni a livello finanziario e ha già dichiarato di considerarlo «uno strumento dalle importanti potenzialità». Square Enix, lo studio di videogiochi responsabile di successi come Final Fantasy o Tomb Raider, ha raccolto 300 milioni di dollari per finanziare nuovi progetti nel mondo del gaming basato su Nft.

Il settore della moda ha invece già da tempo puntato moltissimo sui non-fungible token: realtà come Nike o Burberry hanno creato edizioni limitate di capi d'abbigliamento da utilizzare nei vari mondi digitali che stanno sorgendo (e che vanno a finire sotto l’etichetta del metaverso), permettendo di personalizzare i nostri avatar con accessori unici di cui possiamo in qualunque momento dimostrare la proprietà e con i quali distinguerci dalla massa.

In un’economia che – tra metaverso, web3 e realtà aumentata – diventa sempre più digitale e immateriale, gli Nft non sembrano affatto destinati a scomparire. Anzi, è molto più probabile che le loro potenzialità abbiano appena iniziato a mostrarsi.

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