Sette favole inedite, sette racconti per bambine e bambini per parlare di coraggio, passione e disprezzo per ogni ingiustizia. Nella postfazione del libro "Racconti giusti”, scritto dall’inviato di Domani e di cui pubblichiamo un estratto, il resoconto delle esperienze, degli errori e anche della meraviglia della genitorialità
A Roma c’è un parco che, come spesso capita, ha un’area giochi curata dal gestore del bar che se ne occupa in cambio della concessione. Anna gioca con gli scivoli, e il gioco si prolunga, perché come ogni momento ludico che si rispetti deve durare in eterno. Ho capito presto che quando Anna si diverte vuole che tutto si ripeta e perduri. Il trucco è comunicare con il suo linguaggio e la sua età, coinvolgerla attraverso il gioco.
Cantare una canzone è una modalità. La rima catalizza l’attenzione e porta alla massima manifestazione di apprezzamento: «Ancora pa’!» Talvolta, però, quando non posso soddisfare una sua richiesta, per varie ragioni, non c’è canzone che tenga e così resto senza possibilità di fronte a un pianto che assume sfumature di infinito. Mentre Anna gioca con gli scivoli, si accorge di alcuni bambini che escono da quella che sembra una festa di compleanno, ognuno munito di palloncino.
Quando li vede, mia figlia ne chiede uno. Io solitamente sono prudente, ma non di fronte a richieste facilmente esaudibili. «Certo che te lo prendo», dico. La mia missione non è impegnativa, devo solo trovare un palloncino, un’inezia per un adulto abituato a occuparsi di truffardi, loschi figuri, camorristi e affaristi. «Scusi, signora, potrei avere un palloncino per mia figlia? Anche da gonfiare», chiedo.
La signora mi guarda con occhi presi da due tavoli da sparecchiare. «Erano contati», risponde. Non ci credo, è impossibile. Insisto, ma niente. Esco e inseguo qualche altra mamma. Niente. Torno e dico ad Anna che il palloncino non c’è. Viene giù il Tevere. Come si fa? Ci avviamo all’uscita, io e mia moglie non la teniamo, piange a dirotto, inconsolabile. Allora mi sono ricordato che ogni atto è prima potenza, o qualcosa di simile. Mi fermo, mimo l’atto di raccogliere qualcosa da terra e comincio a soffiare. L’oggetto fantasioso cade. Mi abbasso, allargo le braccia come a contenere una palla di grandi dimensioni. Comincio a descrivere il palloncino inventato a mia figlia, le dico di darmi una mano perché non riesco a trasportarlo, è bianco con macchie nere.
Una signora passa e mi guarda a lungo, ma io sono in trance agonistica, in viaggio verso la Luna e la mia bambina passa dal pianto all’entusiasmo. Abbiamo un’impresa titanica di fronte, condurre il palloncino gigante in auto. Apriamo gli sportelli, anche quello davanti, liberiamo il sedile dove riponiamo il palloncino. Che faticata. Mia figlia ride. Un vero miracolo. Gioco, buon esempio, coerenza e parole giuste, adatte ai bambini. Per rendere più chiaro il significato di un no, di un’azione da compiere, o di un valore. A questo servono, quindi, le parole di un padre.
L’articolo 3
Fare il padre è un’esperienza che cambia a seconda della città dove si vive e del salario che si ha a disposizione. Non dovrebbe essere così, ma così è. L’Articolo 3 della Costituzione è un sogno irrealizzato. Lì si dice che bisogna “rimuovere” gli ostacoli in nome dell’uguaglianza. Prenderli e rimuoverli e, invece, siamo una società fondata sulle disuguaglianze. «Ricordati che quando una democrazia non rispetta la sua tavola delle leggi si delegittima agli occhi dei cittadini», mi ha detto una volta un ergastolano che si era laureato in carcere e aveva ricominciato a vivere.
Aveva ragione, troppa ragione. Inizialmente pensavo di fare una raccolta di fiabe a tema “legalità”; l’ho predicata spesso, ma poi mi sono accorto che oggi ciò che ci manca di più è la giustizia sociale, quel rispetto dell’uguaglianza previsto dalla nostra Costituzione. Abbiamo bisogno di sentire addosso il peso dei diritti mancanti, di quelli sottratti, di quelli negati. E se esistono individui a cui più di altri viene negata la giustizia sociale, quelli sono proprio le bambine e i bambini. Perché dei più piccoli, in questo Paese, nessuno si cura, se ne parla poco e male.
Quanti sono i dibattiti sul tempo pieno a scuola, sulla povertà educativa, sull’analfabetismo, sulle ragazze madri, sull’abbandono scolastico? Pochi. Abbiamo inseguito il poliziotto di quartiere, abbiamo bisogno della scuola di prossimità.
Queste favole sono dedicate a chi ha interpretato, seguito e onorato la Costituzione, persone che compongono, insieme ad altre, il mio Olimpo di riferimento. Individui che reputo di gran lunga migliori di me, a cui guardo per fuggire dalla mediocrità, scacciare la neutralità, il grigio come colore prevalente. C’è Gino Strada, che ci ha insegnato a sostituire il volto di un migrante con quello di un nostro famigliare per sentire addosso ogni viaggio.
C’è Anna Maria Ciccone, che ci ha insegnato che vale la pena intraprendere ogni battaglia per la giustizia e che lo studio salva. C’è don Pino Puglisi, che ci ha insegnato l’ascolto e l’altruismo. C’è Emanuela Loi, che ci ha insegnato la responsabilità a caro prezzo. C’è Letizia Battaglia, che ci ha insegnato che la luce illumina ogni buio. C’è Alda Merini, che ci ha insegnato a nutrirci e nutrire d’amore il prossimo. C’è Felicia Bartolotta Impastato, che ci ha insegnato il coraggio. Me la ricordo, seduta all’ingresso di casa Impastato, a raccontare la sua battaglia e quella di suo figlio, Peppino.
Le parole che formano
«Fatti i fatti tuoi», «Non fare la spia», sono due frasi che risuonavano e ancora risuonano nella mia infanzia e in adolescenza. Sono due frasi oscene che sottraggono valore al rispetto per l’autorità, che riducono gli spazi di condivisione e ci allontanano dalla cura e dal mutuo supporto nell’affrontare ingiustizie e problemi.
Rispettare l’autorità non significa assecondarla, ma riconoscerla: solo questo consentirà alle bimbe e ai bimbi, giovani di domani, anche di contestarla, quando strumenti e conoscenze saranno acquisiti. In questo libro trovate favole che hanno addormentato mia figlia per tante notti.
Da oggi continuerò ad accompagnarla nei sogni con questo volume tra le mani. Ne sono fiero, emozionato, orgoglioso. In ogni storia è racchiuso l’insegnamento per me più importante, quello che ripeto sempre a mia figlia: «Ti diranno che tanto non cambia niente, ma tu non li ascoltare. È il canto dei perdenti. Perché si perde quando ci si gira dall’altra parte».
© Riproduzione riservata



