Alice Valeria Oliveri sin dagli esordi racconta e rivendica nelle sue storie una generazione cresciuta tra la televisione generalista degli anni Novanta e l’esplosione dei nuovi media digitali. È proprio su questo crinale che forma la sua voce: un’osservatrice capace di raccontare come le immagini, i linguaggi e le narrazioni postmoderne (tv, radio, web) abbiano plasmato identità e cultura collettiva.

Fin da giovanissima ha scritto per diverse testate coltivando una scrittura agile e riflessiva, in grado di intrecciare giornalismo culturale e sguardo critico sui media. Da suo lettore mi è sempre piaciuto l’approccio della scrittura e lo stare a metà tra due mondi, uno più letterario quasi nell’accademico e dall’altro lato uno sguardo nobile e non aristocratico sul racconto popolare (non solo televisivo).

Alice Valeria Oliveri è cresciuta con la televisione degli anni Novanta, quella che accendeva le serate familiari e costruiva immaginari comuni prima che l’era digitale frammentasse tutto. Forse è da lì che viene la sua ossessione: capire cosa resta di quei racconti condivisi e come abbiano plasmato chi li ha guardati.

Nel 2023 pubblica Sabato champagne (Solferino), romanzo d’esordio che racconta la formazione di una generazione segnata dall’eco dei programmi televisivi e dalle nuove promesse del digitale. Il libro affronta la televisione commerciale ma anche le implicazioni con i social attraverso un romanzo che sfugge alla definizioni letterarie poiché unisce vari stili, saggio, reportage, romanzo di formazione.

La domanda sui media

La tv oggi non è solo un palinsesto di trasmissioni e film, ha alimentato l’illusione di essere reale e forse più reale ancora di quello che lo spettatore vive, e infatti Alice Valeria Oliveri ci fa conoscere la giovane Anita, che guardando Uomini e donne di Maria De Filippi, trova e forma la sua educazione sentimentale. “Era la mia scuola di sentimenti. Lo spettacolo che prendeva vita era ipnotico perché istintivo e animale: niente a vedere con il controllo e il rigore che sentivo dominare la mia esistenza…”

L’anno successivo al suo esordio è uscito Mondovisione. Atlante della tv contemporanea (Einaudi), un saggio che non si limita a spiegare i meccanismi della televisione globale, ma li intreccia con le domande fondamentali di oggi: che ruolo hanno i media nel costruire identità, memorie, desideri collettivi?

Ciò che distingue Alice Valeria Oliveri è la capacità di muoversi in bilico tra i registri: l’analista che scompone i linguaggi della tv con rigore e la narratrice che li restituisce come materia viva, capace di emozionare. Nei suoi articoli, nelle sue apparizioni televisive, nei suoi libri, la tv non è mai solo un oggetto di studio: è il caleidoscopio con cui leggere l’Italia, le generazioni, il tempo presente. E in questa ottica la protagonista di Una costa stupida (Mondadori) percorre la strada tracciata dalla Anita di Sabato champagne.

Come cambiamo

Il libro è diviso in due parti, la prima parte racchiude un piccolo romanzo di formazione, Adriana cresce in una Catania molto originale, una città che a tratti assomiglia a una sorta di Milano del sud, specchio di un mondo fatto di presunte opportunità e consumismo metropolitano. Adriana ha un talento per il violino, ma è uno di quei talenti che necessitano di premura, disciplina, studio, ma soprattutto la vocazione.

Il padre musicista la instrada nel proprio mondo, sogna diventi come lui o comunque percepisca quel sacro fuoco che lo ha reso un padre fuori dagli schemi, diverso dai padri di tutte le altre amiche della protagonista. Ma Adriana non ha quella vocazione, pur essendo dotata, non percepisce la fiamma per realizzare il sogno paterno. E proprio sotto una cenere di ragazza prodigio, arde il fuoco di chi ha ben altro: uno sguardo profondo, ma critico sulle cose. Quello che la porterà a scrivere e a lavorare a Milano per una rivista musicale.

Adriana in un drammatico dialogo col padre a un certo punto dice «Certo che lo so, ma io sono una cretina che si arrende e che al primo ostacolo cambia lato del marciapiede. Tu non sei così, tu sei quello che non smette mai di suonare durante un pezzo sennò il battito si spegne e il corpo collassa, tu sei il tempo, come puoi pensare di rinunciare?». 

Forse il segreto della scrittura di Oliveri sta proprio in questo: nel riconoscere che ciò che guardiamo, che ascoltiamo, ci cambia, che i programmi e la musica di ieri resta nel corpo e nella memoria, e raccontarli significa in fondo raccontare noi stessi. Ciò che colpisce, in tutto il suo lavoro, è l’acribia descrittiva del critico, capace di smontare format e linguaggi; dall’altra la scrittura viva, narrativa, che non rinuncia alla suggestione.

Una volta emigrata a Milano (quasi una Catania del nord per la protagonista), Adriana trasformerà quella vertigine dello sguardo in una forma d’ansia che ha bisogno di esprimere la sua rabbia. In una cosa stupida, appunto, perché in un mondo di cinismi, personalizzazioni, polarizzazioni, dove non c’è spazio per sogni più complessi, l’energia va liberata a ogni costo. Non è la cosa giusta, è una cosa stupida è vero, ma a una giovane donna come Adriana costruisce in tutte queste pagine di storia, le ragioni per farlo.


Una cosa stupida (Mondadori 2025, pp. 288, euro 19,50) è il secondo romanzo di Alice Valeria Oliveri

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