Nell’anticamera in cui mi fecero accomodare c’erano divanetti di cuoio, quadri alla rovescia e Mahler in filodiffusione: tutto molto sofisticato e culturale, per intenderci. Una settimana prima l’editore mi aveva fatto chiamare dalla sua segretaria per fissare questo appuntamento e io, con il tipico entusiasmo ingenuo da cui è afflitto ogni autore, avevo accettato. La stanza pullulava di gente, era un tripudio di pizzetti e giacche di velluto e cravatte di lana e foulard di seta e occhiali con le montature di tartaruga. Alcuni mi guardarono a lungo e quando furono sicuri che ne avessi abbastanza si girarono a parlottare fra di loro. Alcuni fecero cenni a cui risposi controvoglia. Alcuni vennero a sedersi a un centimetro dalla mia persona con l’intento neanche troppo velato di conversare con me.

«Conosce l’antologia del gruppo 2022?», mi domandò uno col pizzetto.

Accavallai le gambe, cercando di darmi un contegno. «A dire il vero no, non ne so niente».

«Sarà l’evento editoriale del prossimo autunno».

«Ah sì?».

«Può dirlo forte, caro amico».

«Scommetto che ne fa parte anche lei».

Il pizzetto gongolò. «Sono il promotore dell’iniziativa. Una pubblicazione antologica degli autori può rappresentativi di questi nostri tempi nefasti».

Me lo volevo tagliere dai piedi, sicché fui antipatico. «E quali tempi non sarebbero stati nefasti?».

Il pizzetto batté in ritirata, ma presto dovetti fronteggiare una giacca di velluto.

Scrittori eccezionali

«Ho letto qualcosa di suo», mi disse, al solo scopo di attaccare bottone. «La trovo eccezionale».

Alzai le spalle. «Immagino».

«Del resto oggi in questa anticamera c’è solo il meglio del meglio della nostra letteratura».

«La crème de la crème», dissi io per sfotterlo.

«Non è d’accordo?».

«Se siamo tutti eccezionali allora nessuno lo è. Vorrebbe dire che essere eccezionali è normale».

La giacca di velluto sghignazzò. «Sarà la nostra fascetta di copertina».

«Cosa?».

«“Un’antologia di scrittori eccezionali”».

Mi venne un’espressione preoccupata. «Fa parte anche lei del gruppo 2022?».

Ma la giacca di velluto era tornata a confondersi tra la folla che stipava l’anticamera, e ora veniva verso di me una cravatta di lana.

Un morto

«Salve a lei!», mi apostrofò, porgendomi un bicchiere di plastica con dello spumante. «Facciamo un brindisi al gruppo 2022?».

«Perché dovremmo brindare al gruppo 2022? Ne fa parte anche lei?».

«Certo che ne faccio parte, sono fiero di farne parte».

Cercai ancora una volta di diventare caustico. «Ce l’avete un autore morto? Un morto impreziosirebbe l’antologia».

La cravatta di lana non batté ciglio.

«Un morto è d’obbligo», rispose, indicandomi un uomo con la testa rovesciata su un divanetto. «Eccolo lì, lo saluti».

Salutai per scherzo, e qualcuno accanto a lui gli alzò la mano per farlo rispondere al mio saluto.

«Questo appuntamento si sta trasformando in un film di David Lynch», osservai.

«Oh, che vuole farci? Siamo per l’inclusività».

Cercai di sgranchirmi un po’ le gambe. Volevo raggiungere l’unica finestrella della stanza, ma non era semplice farsi largo tra tutta quella gente che sembrava smaniosa di scambiare quattro chiacchiere unicamente con me.

«Si rilassi, – m’intimò un foulard – In fondo la letteratura è un gioco».

«Ma serio», obiettai.

«Vedrà che con l’antologia scaleremo le classifiche».

«Alludevo a un altro tipo di serietà».

Il foulard parve cadere dalle nuvole. «Che altro può esserci di più serio che sbancare? Mi faccia qualche esempio».

«Ha mai sentito parlare di poetica?».

Il foulard scoppiò in un’enorme, irrefrenabile risata. «Intende quei propositi compositivi che si prefiggevano i vecchi letterati del secolo scorso?».

Trangugiai lo spumante che mi era rimasto nel bicchiere. «Anche lei fa parte del gruppo 2022, vero?».

S’intromise un occhiale di tartaruga, che mi abbracciò da dietro.

«Ho sentito che qui si parla di poetica, nientepopodimeno!», sghignazzò, palesemente su di giri. «Quindi, vediamo, lei perché scrive?».

Cominciai a pensarci ma intanto quella domanda aveva allettato tutti gli altri.

«Io scrivo per illuminare l’oscurità», disse orfico il pizzetto.

«Io per essere il testimone del mio tempo», disse greve la giacca di velluto.

«Io per smuovere le coscienze alla rivolta», disse incendiario la cravatta di lana.

«Io per indicare il bello in un mondo dominato dal brutto», concluse estatico l’occhiale di tartaruga.

Poi tornarono su di me, mi circondarono. «E lei, caro amico? Su, non faccia il timido. Lei per quale motivo scrive?».

Un volto amico

Deglutii, presi tempo. Cercavo di capire come avrei potuto aggirarli e raggiungere la finestrella che vedevo aprirsi nel muro qualche metro più in là, una specie di oasi nel deserto, un piccolo spiraglio dentro quella prigione senz’aria.

«Io scrivo per non fare male a nessuno», azzardai infine, con un filo di voce.

Uno scoppio di ilarità riempì l’anticamera.

«Avete sentito cosa ha detto?».

«Che motivo puerile sarebbe mai questo?».

«Non mi aspettavo proprio da lei una posizione così buonista e politicamente corretta!».

«Quanta ipocrisia!».

Mi si strinsero addosso, il cerchio che formavano divenne opprimente come un cappio al collo.

«Gruppo 2022?», chiedevo un po’ a tutti.

Loro annuivano.

«Ci tolga una curiosità. Lei conosce il motivo della sua convocazione?».

«Veramente no».

«Vuole dirci che non sa perché è qui?».

«In effetti non lo so. Non so perché l’editore mi abbia chiamato».

Ripresero oscenamente a ridere, finché dal gruppo sbucò un sigaro toscano che non avevo ancora notato. Era un mio vecchio amico dei tempi dell’università, con cui passavamo le giornate a passeggiare lungo il fiume, e a discettare degli scrittori che amavamo e delle loro poetiche.

«Finalmente un volto amico!» esclamai, quasi saltandogli al collo.

Lui però mi abbracciò con freddezza, per lo più sembrava molto preoccupato.

«Smettila subito con questa strafottenza», mi suggerì. «Ci stai mettendo in imbarazzo».

Io non credevo alle mie orecchie. «Non dirmi che anche tu sei passato dalla loro parte. Non dirmi che anche tu…».

«Gruppo 2022, sono del gruppo 2022».

L’editore

Gli diedi uno spintone e lo ricacciai indietro, insieme agli altri. Corsi verso la parete con la finestrella, ormai mancava soltanto un passo. Pensai: «Adesso apro le ante, prendo un bel respiro e faccio entrare un po’ d’aria dentro a questo stanzino imputridito, questa palude bugigattolo». Cercai la maniglia senza poterla afferrare. Allora mi resi conto che la finestrella era dipinta, non aveva consistenza, la parete era cieca, nessun varco si sarebbe mai aperto di fronte a me.

«È un trompe-l'œil!», sbraitò il sigaro toscano. «È una trovata della casa editrice! Ti piace?».

Stavo per perdere i sensi, quando una voce da un altoparlante chiamò il mio nome. Si aprì una porta, venni introdotto nell’ufficio dell’editore.

«Come mai è così pallido?», mi chiese. «Le faccio portare un bicchiere d’acqua?».

«No, non importa. È stato soltanto un piccolo spavento».

L’editore mi guardò da sotto i suoi occhialetti con la montatura a tartaruga. Notai con orrore che si era fatto crescere il pizzetto, e aveva anche una giacca di velluto. E fumava un sigaro toscano. E indossava contemporaneamente un foulard di seta e una cravatta di lana.

«L’ho fatta chiamare per l’antologia del gruppo 2022», disse. «Tutto sistemato, è stato incluso».

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