Domenica

Abbiate pazienza, sono al mare in Calabria senza archivio e senza Wi-Fi. Sarà una puntata analogica. Ho portato un taccuino con qualche appunto (per la rubrica) e pochissimi libri. Uno è il secondo Meridiano (Mondadori) di Jane Austen, la mia scrittrice preferita. Questo volume contiene anche alcune sue lettere ed è delizioso quando Jane fa i conti di quanto ha guadagnato con i romanzi e si lamenta perché vorrebbe guadagnare di più. I duri e puri della letteratura la accuseranno di essere stata un’autrice commerciale?

Ho portato anche Da dove sto chiamando di Robert Carver (Einaudi) e sono sempre più convinto che i suoi siano tra i finali di racconto più belli mai scritti. Come la chiusa di Vicini, la storia della coppia che fruga e spia nella casa dei dirimpettai, i quali sono andati in vacanza pregandoli di bagnare le piante e dare da mangiare al gatto. A un certo punto, l’infida coppia si chiude alle spalle la porta di casa dei vicini dimenticando dentro la chiave. E Carver affonda il suo colpo di maglio: «Rimasero lì. Si tenevano stretti. Si appoggiarono contro la porta come per ripararsi dal vento, e si prepararono al peggio».

Il vero, universale finale di tutte le storie del mondo non è altro che questo: prepararsi al peggio.

Ho portato anche La Sicilia non esiste di Gaetano Savatteri (Zolfo edizioni), che in una pagina scrive: «I palermitani di quella generazione siamo hibakusha, come dicevano i giapponesi dei sopravvissuti a Hiroshima. Siamo figli della bomba. Il tritolo di Capaci ci obbliga a dire le cose e a dirle in maniera diretta». E aggiunge una cosa «terribile da dire»: quell’esplosione è stata una liberazione per gli hibakusha palermitani, la rivelazione dell’angoscia che respiravano e di cui si nutrivano. In termini di intelligenza pura, Savatteri è un numero uno, e non parlo solo degli scrittori italiani contemporanei.

Lunedì

Ieri in treno (Frecciarossa 1000 Roma-Paola, sandwich di Carlo Cracco più birra al vagone bistrot: euro 16) ho finito di leggere il mio romanzo dell’estate 2025: Presunto colpevole di Scott Turow (Mondadori). Un libro serrato e malinconico che riapre, tra l’altro, una vecchia questione e, forse, la chiude definitivamente.

Titolo della questione: «Chi è stato a reinventare il legal thriller?».

Tutto cominciò verso la fine degli anni Ottanta quando uscì e fu un successo mondiale Presunto innocente di Turow, libro di cui Presunto colpevole è un “quarant’anni dopo” alla Dumas, un ultimo atto con lo stesso protagonista, il procuratore Rusty Sabich, ora 77enne e in veste di avvocato difensore.

Rusty Sabich è il mio procuratore ideale e qualsiasi riferimento all’attualità giudiziaria nazionale di rito ambrosiano non è puramente casuale. Ricordo che il mio compagno di banco alle medie, poi diventato un super penalista, diceva alle mie nipoti, studentesse di legge: «Studiate, ragazze, studiate, se non volete finire a fare le piemme».

Una battuta che starebbe bene in un romanzo di Turow o di John Grisham, l’altro maestro del legal thriller.

Cena: meraviglioso, profumatissimo, imbattibile gazpacho (piatto che prediligo e che spesso mi avventuro a fare con il Bimby) al ristorante Al Pozzo Antico nel vecchio, bellissimo (purtroppo quasi abbandonato) paese di Fiumefreddo Bruzio. Gazpacho che, tra l’altro, costa meno del sandwich di Cracco sul Frecciarossa.

Lo chef del Pozzo Antico si chiama Francesco Santelli, è un giovane cosentino (ma non mi fa velo il fatto che sia un compaesano). Tra le sue specialità c’è pure un sandwich mediterraneo (paninu chinu, una piccola ciambotta) che surclassa quello griffato del Frecciarossa bistrot.

P.S. A proposito, ho comprato Cosenza nel ’900 di Paride Leporace (Luigi Pellegrini editore). E mi ha un po’ emozionato farlo. Sono le mie radici, il mio tempo perduto.

Martedì

Torniamo alla vecchia questione che dicevo. Ho sempre ritenuto Turow l’inventore del legal thriller contemporaneo. Seppur di poco, il suo Presunto innocente anticipò il romanzo con cui Grisham debuttò, però quasi tutti (a partire dalla Mondadori, casa editrice dei due avvocati scrittori) dicevano che era Grisham il reinventore del genere. Ho cercato a lungo di difendere il primato di Turow, ma alla fine ho dovuto arrendermi. Lo stesso Turow ha in qualche modo favorito i grishamiani perché a un certo momento cominciò a complicare i suoi romanzi.

Così anche io cedetti e stroncai, una decina di anni orsono, Identici, un libro di Turow molto ambizioso che voleva essere una tragedia greca ambientata in America e con qualche strizzata d’occhio a Shakespeare (quello delle commedie). La caduta del romanzo fu rovinosa e Turow, credo, si fece molto male nell’occasione.

Essendo senza archivio, ho soltanto un vago ricordo dello stesso Turow che (forse piccato dal suo insuccesso, forse piccato dal perdurante successo del collega, forse da entrambe le cose) stroncò L’avvocato di strada di Grisham accusandolo di avere la profondità e la povertà lessicale di un articolo di giornale. E mi pare ancora che sia sempre di Turow la frase: «I barboni sono noiosi mentre Grisham pensa che siano poetici» (concetto sul quale concordo pienamente). Però, Vostro Onore, non mi chieda di giurare su queste affermazioni perché la memoria e il mio tifo per Turow potrebbero giocarmi brutti scherzi.

La conclusione fu che Grisham venne considerato monarca assoluto e fondatore del legal thriller, un regno sul quale non sembrava dovesse tramontare mai il sole. Ma ora Presunto colpevole, libro di straordinaria intensità e ritmo, mi ha fatto tornare al mio pensiero originale. È Turow l’inventore e maestro del legal thriller, e non il pur bravissimo Grisham. Turow è più scrittore di Grisham ed è anche più avvocato: conosce meglio la legge e le dinamiche processuali. Non ho mai dimenticato lo sfolgorante incipit di Presunto innocente: «Comincio sempre così: “Io sono la pubblica accusa”».

Mercoledì

Sulla spiaggia sbrigo la posta arretrata. Scrive Teresa Marchesi: «Quando mi chiedono come vorrei scrivere rispondo: come quell’ex Governatore del Club di Topolino. Gesù se mi piacerebbe stringerle la mano di persona! Magari nel tempo di un caffè mi trasmette un frammento della sua grazia. Io governo solo immeritatamente le pagine di cinema di Domani. Con devozione (autentica, non è una lisciata)».

Gentilissima Teresa, l’ex Governatore del Club di Topolino (l’unico titolo al quale tengo) la ringrazia molto. Un giorno di questi passerò in redazione, dove, per mia enorme, imperdonabile scortesia, non ho ancora messo piede, per farlo di persona. Lei dice di me cose molto lusinghiere. Qualche settimana fa ero un po’ giù e ho chiesto all’Intelligenza artificiale un parere su alcuni miei pezzi. Risposta freddina: «L’autore ha una visione critica, ironica e distaccata del mondo delle recensioni letterarie e delle dinamiche che lo circondano». Poteva sforzarsi un po’. Perciò, cara Teresa, la ringrazio ancora di cuore. Avevo bisogno di calore e di sostegno.

P.S. È morto Ozzy Osbourne. Che tristezza. E sono senza archivio. La prossima settimana lo onorerò come merita.

Giovedì

Volevo cominciare una recensione così: «Cosa c’è peggio di un libro di Chiara Valerio? Una recensione a un libro di Chiara Valerio fatta da Ermanno Paccagnini». Ho lasciato stare e mi sono tuffato in mare cantando Il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano.

Venerdì

Posta arretrata. Scrive Renzo Rando: «Oggi per la prima volta ho comprato Domani. Sono contento di averla nuovamente tra le mie letture preferite. Ci sono novità sulla pubblicazione in Italia dell’ultimo romanzo del nostro John Irving a tre anni quasi dall’uscita in America? Tanti cari saluti da un Lautariano della prima ora».

Caro Renzo, The Last Chairlift di Irving risulta disperso sui radar degli editori nazionali. Intanto, il grande scrittore annuncia un nuovo romanzo per novembre, Queen Esther, continuazione, pare, del bellissimo Le regole della casa del sidro, diventato poi il film per cui Irving vinse l’Oscar per la migliore sceneggiatura.

Caro Renzo, mi dispiace ma ho paura che Lautaro mi sia caduto dal cuore. La prossima settimana, se ne ha voglia, le dirò perché.


Per scrivere ad Antonio D’Orrico la mail è lettori@editorialedomani.it

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