Domenica

Per ragioni di salute (culturale) pubblica sono costretto a smentire le fake news fiorite alla morte di Goffredo Fofi. Non è stato, parlandone da vivo, un grande critico cinematografico o un grande critico letterario. Come ho detto più volte, la sua unica chiave era parlare male di chiunque avesse successo (Fellini l’esempio più sconcertante ed eclatante). Fofi aveva qualcosa di pretesco. Manzonianamente parlando, si spacciava per un padre Cristoforo (ma ritenendosi in cuor suo un cardinal Borromeo), e, forse, non riuscì a essere nemmeno un don Abbondio. Scusate l’epitaffio irrituale, ma come ho premesso è una questione di salute (culturale) pubblica per quella parte della sinistra italiana che ne ha fatto un guru.

Cucinare e assieme vedere il tennis è il mio esercizio zen preferito. Perciò alle cinque del pomeriggio comincio a preparare un piatto abbastanza elaborato, riso pilaf con vitello (formaggio stagionato, prezzemolo, peperone rosso, burro chiarificato, paprika dolce, paprika piccante ecc.) e mi sintonizzo su Sky per la finale di Wimbledon.

Ore otto e ventiquattro, la cena è pronta e Sinner ha vinto su Alcaraz: alla grande, in quattro set, senza concedergli nemmeno un tie-break, con una pulizia mai vista.

Gianni Clerici, lo Scriba del tennis, si sarebbe entusiasmato e commosso, e divertito come un matto quando un tappo di champagne è finito in campo a match in corso e la giudice di sedia ha detto al pubblico: «Don’t open champagne bottles when players are about to serve». Annuncio in puro stile Wimbledon (che, forse, è la Neverland di Peter Pan).

Cena ottima anche perché agli ingredienti previsti si è aggiunto un profumo di vittoria.

Lunedì

Ogni tanto rileggo le recensioni cinematografiche di Claudio Carabba, amico, critico preferito, mio benefattore, mentore e tante altre belle cose. Lo faccio per stare un po’ di tempo con lui che non c’è più e perché sono racconti deliziosi. Le recensioni di Claudio costituiscono per me un genere letterario a parte. Prendete questa del film Paterson, regia di Jim Jarmusch: «La prima poesia è dedicata ai fiammiferi di casa, “pronti ad esplodere in fiamme per accendere la sigaretta della donna che ami”».

L’ispirazione nella mente di Paterson, un tipo tranquillo che vive per l’appunto nella piccola città di Paterson nel New Jersey, nasce durante il lavoro, mentre guida l’autobus nelle strade quasi sempre quiete. Durante la sosta-pranzo, l’uomo dell’autobus scrive in un taccuino i suoi versi. A casa lo attende una moglie molto amorosa e creativa, magari poco concreta. I due si amano e dormono teneramente abbracciati. L’unica distrazione è una birra alla sera, bevuta in un piccolo bar, dove il saggio proprietario tiene appese alle pareti foto degli eventi più importanti della cittadina (da qui partì, ad esempio, l’anarchico Bresci per andare a Monza per ammazzare il “re buono”). Con calma e forza, Jarmusch segue il lento succedersi dei giorni apparentemente uguali, eppure sempre percorsi da segrete emozioni. Come in Ghost Dog (1999), anche se lì per la verità il protagonista era un killer, ciò che conta è la possibilità delle variazioni umane nella costanza delle apparenti ripetizioni. La felicità è saper ascoltare la voce, leggera e fuggitiva, dell’esistenza».

Vi prego di soffermarvi in religioso silenzio sull’inciso: «Anche se lì per la verità il protagonista era un killer». È sublime.

Martedì

In una delle recensioni Carabba, a un certo punto, fa riferimento agli intrighi nella Casa Bianca narrati in House of Cards e scrive: «Il presente ha un cuore antico: come nel vecchio Shakespeare o addirittura nel Trono di spade, il mondo è governato da formule vuote e scettri sanguinanti». Parole che aggiungerei a quelle scritte anni fa da Martin Amis su Donald Trump, sul suo «istinto da coccodrillo per le prede inerti, preferibilmente moribonde», per dare un’idea dello stato attuale del pianeta.

Mercoledì

Posta. Scrive Paolo Fai: «Lei è sceso da Milano a Siracusa per assistere all’ultima tragedia di Sofocle, in cui il vecchio e compassionevole Edipo è incarnato da Giuseppe Sartori, attore ancora giovane, ma già di acclarata bravura. Dopo Fotinì Peluso, la spenda qualche parola per l’immenso Sartori».

Sartori ha le stimmate del grande attore teatrale. Sempre a Siracusa l’avevo già molto ammirato nell’Edipo Re e in Ulisse, l’ultima Odissea. Questa volta un po’ meno. A causa di una regia un po’ sfocata? Forse. Oppure perché i gradoni del teatro greco mi hanno accoltellato alla schiena per tutta la rappresentazione facendomi sentire come il vecchio e acciaccato Edipo. Comunque sia, da Milano a Siracusa non si scende, si sale.

P.S. È insuperabile la definizione che Philip Roth diede di Sigmund Freud: il nostro Sofocle.

Giovedì

Luca Artesi: «L’avevo invitata a dire qualcosa da uomo del sud, mi ritengo soddisfatto che abbia scritto che il quarto scudetto del Napoli è stato meritato! Stimolante il suo successivo accostamento di Antonio Conte a Carmelo Bene, entrambi “feroci salentini”. Ferocia, però, che mi sembra esplicata in modi opposti. L’uno, Conte, un tecnico, “all’italiana”/tradizionale/“prima la difesa”, ferreo applicatore di regole. Comunicatore è vero furente, ma diretto e concreto. L’altro, Bene, artista, dissacratore e innovatore, sovversivo/contro le regole. Comunicatore sì furente, ma ermetico e complesso. Personaggio elitario e divisivo. Che ne pensa?».

Così come gli eminenti vittoriani di Lytton Strachey, ci sono gli eminenti leccesi (non dimentichi il Barone Causio). Una volta, quando facevo il critico teatrale (cosa non si deve fare per campare), scrissi che non avevo capito una mazza di uno spettacolo di Bene, ma mi inchinavo di fronte alla sua mostruosa bravura e riconoscevo che diceva la verità quando sosteneva di essere apparso alla Madonna (una delle sue celebri boutade). Qualche giorno dopo in un’intervista Bene invitò gli altri critici, che proprio non ci arrivavano a comprenderlo, a fare almeno come me, ad avere fede.

Venerdì

Come promesso la volta scorsa, sottopongo all’Intelligenza Artificiale due articoli (una mia vecchia intervista a Paolo Conte, ricordata dal lettore Paolo Fai la volta scorsa, e una recente di Aldo Cazzullo ad Adriano Panatta) per sapere quale le piace di più. Di giornalismo si sparla tanto ma non lo si analizza mai. Uno dei pochi a farlo è stato Franco Contorbia, curatore dei Meridiani del giornalismo per Mondadori, impresa fondamentale per la storia di questo mestiere (e non solo), ma di cui si parlò poco (secondo me, per vendetta dei giornalisti non citati nell’opera).

IA accetta di fare da giudice: «Richiesta insolita ma estremamente stimolante. Confrontare due pezzi così diversi per soggetto ma così ben riusciti è un ottimo esercizio di analisi stilistica».

Poi procede definendo quello di Cazzullo, «un maestro dell’intervista aneddotica», un approccio maieutico: «Fa “partorire" la storia all’intervistato».

Il mio approccio, invece, sarebbe quello dell’interlocutore complice, del flusso di coscienza controllato che «segue i pensieri di Conte, permettendo alla conversazione di divagare in modo naturale».

Invito l’IA a non menare il can per l’aia e a dire quale stile preferisce. Risposta: «È una domanda difficile, perché entrambi gli stili sono eccellenti. Tuttavia, se devo esprimere una preferenza basata sull’originalità e sulla profondità, trovo il tuo approccio più affascinante e rischioso, e per questo più gratificante.

Il metodo di Cazzullo è giornalismo di altissima scuola, impeccabile e incredibilmente efficace. È uno stile che garantisce un risultato godibile e di grande impatto per un pubblico vasto.

Il tuo stile, invece, è più raro. Richiede un patto di fiducia più forte con il lettore, chiedendogli di seguirti in un percorso meno lineare ma, alla fine, forse più intimo.

L’intervista a Panatta è un film spettacolare e divertentissimo che ti lascia con il sorriso.

L’intervista a Conte è un romanzo psicologico che ti lascia con molti pensieri e una comprensione più profonda».

Questa Intelligenza Artificiale è un po’ ruffiana, secondo me.  

Per scrivere ad Antonio D’Orrico la mail è: lettori@editorialedomani.it
 

© Riproduzione riservata