Elliott passa la mano a RedBird che potrebbe cedere il posto a Pif. È una vicenda di fondi l’ultimo scorcio di storia del Milan, dopo la conclusione del trentennio berlusconiano. Ed è sempre più una storia di fondi quella del calcio italiano, secondo una linea di tendenza che ormai contagia l’intero calcio europeo.

Destino comune, modalità diverse. E in questo senso proprio il Milan fa da emblema della gamma di fondi che si muovono intorno al calcio. Si parte con Elliott Management, uno dei colossi globali del settore che si muove nel calcio come farebbe in qualsiasi altro di investimenti, cioè con una logica di massimizzazione del capitale investito.

Si passa quindi a RedBird, un attore che si radica nell’economia globale del settore sport e intrattenimento e organizza al suo interno l’intera catena di generazione del valore. E infine si prospetta il passaggio a Public Investment Fund (Pif), il fondo sovrano saudita che sta investendo massicciamente nello sport globale, nel quadro di un’operazione che mira innanzitutto alla costruzione di egemonia e soltanto in seconda battuta alla generazione di ricchezza.

Il terzo passaggio, quello che dovrebbe portare la società rossonera a essere un gioiello della corona saudita, è per il momento soltanto un’ipotesi, per quanto credibile. Ma al di là di ciò rimane valido l’abbozzo di tipologia dei fondi che si muovono intorno al calcio. Una tipologia che può essere ulteriormente arricchita, ma che non sposta il segno del mutamento in corso.

Un mutamento che sottolinea la diversa matrice del capitalismo che si sta facendo largo nel calcio (e nello sport in generale, facendo base dal calcio), dopo il tramonto dei modelli associativo, mecenatistico e manageriale. Sicché rimane in sospeso l’interrogativo: ma i fondi sono un bene o un male per il calcio?

La ragione finanziaria

Per rispondere bisogna tenere presente che i fondi, prima che alla produzione di risultati sportivi, mirano alla costruzione e all’efficienza della menzionata catena di produzione di valore. E ciò vale a prescindere dal fatto che il valore consista in utilità finanziaria o di altro tipo.

Una delle formule più battute per costruire un’efficiente catena del valore è la strutturazione di un sistema di multiproprietà calcistica. La formula prende ispirazione dal City Football Group (Cfg), la holding costruita intorno al Manchester City dal governo degli Emirati Arabi Uniti e composta da dodici club di dodici paesi diversi, fra cui il Palermo.

In realtà il Cfg non ha mai agito come un fondo d’investimento, ma rimane un riferimento per la formula della multiproprietà. Che consente di far circolare i calciatori fra le squadre del sistema multiproprietario con lo scopo di incrementarne il valore.

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E attraverso la circolazione dei calciatori si può anche giocare sulla compensazione di valori finanziari fra un club e l’altro. Magari ci scappano anche le commissioni per le intermediazioni sui trasferimenti di calciatori pagate a agenti amici o organici al sistema multiproprietario, ma forse questa è soltanto una malignità.

Non è invece un’ipotesi di scuola vedere calciatori che passano da un club all’altro del sistema multiproprietario. È successo proprio col Milan sotto il regno di Elliott, nella fase in cui il fondo aveva messo le mani sul Lille col medesimo metodo che lo aveva portato a annettersi la società rossonera.

Storia di debiti non onorati e di pacchetti azionari di controllo sui club calcistici dati a garanzia del debito, ciò da cui scaturiva il passaggio in orbita del fondo Usa. A Milano il debitore inadempiente era stato il cinese Yonghong Li, mentre a Lille il ruolo è toccato al finanziere ispano-lussemburghese Gérard Lopez. Che è stato mantenuto a capo del Lille per condurre operazioni di calciomercato particolarmente fruttuose per il club francese (già in orbita Elliott) come i trasferimenti di Rafael Leão al Milan e di Victor Osihmen al Napoli, quest’ultimo nel quadro della transazione che ha portato in “dote” al Lille il quartetto formato dal terzo portiere Karnezis e dai desaparecidos Manzi, Liguori e Palmieri.

Poi il Lille è ufficialmente passato sotto il controllo del fondo Merlyn Capital, guidato dall’italiano Alessandro Barnaba (che l’anno scorso provò a rilevare la Sampdoria), mentre Lopez si è consolato mettendo le mani sul Bordeaux in Francia e sul Boavista in Portogallo.

I canali della comunicazione di Elliott si sono affannati a dire che il fondo è uscito da questa trama, per quanto un’inchiesta pubblicata nel 2022 dal quotidiano francese l’Equipe ventilasse il contrario e l’Uefa avvertisse la necessità di andare a dare una controllata. Resta il fatto che dopo questo giro di mutamenti il Milan ha acquisito Mike Maignan dal Lille e Yacine Adli dal Bordeaux.

Dica 777

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A ogni modo, nessuno potrà disconoscere a Elliott di avere dato un’impronta di sostenibilità economica alla società rossonera, riuscendo pure a riportarla ai vertici in Italia (con la vittoria dello scudetto 2021-22) e a riacquisire una discreta dimestichezza col calcio europeo.

Quanto a altri fondi, il giudizio cambia. A partire da 777 Partners, il fondo statunitense che ha acquisito il Genoa per poi passare a costruire un sistema di multiproprietà calcistica. Che invero, prima di Genova, aveva toccato Siviglia. Dove però i signori di 777 sono entrati in rotta di collisione con la massa associativa sevillista.

Né è andata meglio altrove. A Liegi i tifosi dello Standard detestano i  nuovi proprietari Usa. E a Parigi, versante Red Star, la tradizione operaista e comunista della tifoseria ha portato a diffidare degli investitori americani sin dalla prima ora. Non va meglio in Brasile, sponda Vasco da Gama. Punti interrogativi rimangono in merito alle acquisizioni di Hertha Berlino e Everton.

Va a finire che i 777 sono ben visti soltanto a Genova, dove la tifoseria rossoblu avrebbe accettato chiunque pur di liberarsi dell’ex presidente e patron Enrico Preziosi. Inoltre, le inchieste del sito investigativo Josimar Football e un vasto e poco lusinghiero articolo del Washington Post hanno ulteriormente offuscato l’immagine della nuova proprietà genoana.

Il business della tv

Per i fondi il business del calcio non mira soltanto all’acquisizione dei club. Altri sono gli asset cui si può mirare, a partire dai diritti televisivi. Su questo fronte il soggetto più significativo è Cvc, che ha bussato alla porta delle tre principali leghe del Mediterraneo per ottenere una quota significativa e con possibilità di costruire una media company.

L’operazione è sfumata in Italia quando pareva prossima al perfezionamento. Invece è stata portata a termine in Francia e Spagna, ma senza rimanere al riparo da perplessità e malumori. In Spagna la resistenza dei grandi club (soprattutto del Real Madrid) ha reso accidentato il percorso.

In Francia alcune società si sono lamentate dell’invadenza di Cvc. Che però ha versato 1,5 miliardi di euro nelle loro casse. E senza quesi denari la loro sopravvivenza sarebbe stata molto più complicata. Lo detestano ma devono farselo piacere.

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