È bello poter dire che Supersex, la miniserie Netflix in sette puntate “liberamente ispirata alla vita di Rocco Siffredi”, come da dicitura, è uno show altamente edificante. Credevo che i blowjob resocontati inquadrando solo la faccia dei beneficiari fossero sepolti insieme al cinema di papà. Invece no: i nuovi paletti dell’universo streaming segnano un maestoso ritorno all’immagine castigata.

Supersex debutta il 6 marzo. Ma andiamo per ordine. L’anteprima romana della serie-evento per stampa selezionata e Vip era un tripudio di rosa, zampilli in tinta e gigantografie al neon, con party a seguire. Chi ha nostalgia delle feste faraoniche delle major hollywoodiane, tramontate col secolo breve, può consolarsi coi nuovi paperoni del business. Solo le piattaforme hanno ancora tanti quattrini da sperperare.

Dobbiamo a loro se si perpetua il rito pagano dei gadget. Gadget simpaticamente ispirati, nel caso specifico, all’epopea del grande Siffredi: una generosa scorta di profilattici e un ammiccante flacone di kissable pleasure gel che i più purtroppo, in mancanza di occasioni propizie, finiranno per scolarsi in solitaria. Magari è buono, vai a sapere.

Un mélo

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So che l’appeal di queste faccende sta soprattutto nei convenevoli col fior di interpreti delle megaproduzioni: in Supersex rifulgono Alessandro Borghi, Jasmine Trinca e Adriano Giannini. I grandi attori sono come gli aristocratici di Downton Abbey: si muovono sempre con annesso valletto, inseparabile e altamente professionale. È un segno di casta. Premessa al microfono di Rocco Siffredi, star primaria del cerimoniale per ovvie ragioni: «Per tutte le donne presenti, sono orgoglioso di essere stato l’uomo oggetto, e lo dico col cuore».

E finalmente le luci si spengono e arriva il film, o meglio i primi due episodi, con tre registi, Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni a firmare la serie. Prima sorpresa: è un mélo. Che parte, come ogni biopic sui giganti che hanno fatto la Storia, dalla miserrima infanzia di un leader. In apertura c’è stato il breakdown epocale del 2004, quando il re del porno mondiale annuncia tra lo sgomento di tutti: «Mi ritiro».

Alla biondina che lo insegue implorandolo di ripensarci però concede una prestazione tutt’altro che riservata, a vista dei giornalisti e non nella posizione del missionario: «Ricordalo, sei solo carne, solo carne».

L’epica di Rocco

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A me Rocco Siffredi fa simpatia per colpa o merito di Elio e le Storie Tese. Rocco e le Storie Tese, il quasi-kolossal che girarono insieme nel 1997, è stato un flop leggendario e un autentico cult trasgressivo. Come tutti, ignoravo i patimenti infantili nella nativa Ortona, nella famiglia diseredata dei Tano, «stirpe di falliti e deficienti» secondo il babbo di Rocco.

Ma la narrazione è epica pura, scandita dalla voce fuori campo di Rocco-Borghi. Da evitare con ogni mezzo la visione del film con i sottotitoli per non udenti. Io l’ho visto così, ma quando leggi sotto le scene “musica malinconica”, “musica drammatica”, “musica struggente” (ma c’è anche la variante “musica ascetica” in situazioni non ascetiche) l’effetto comico è irresistibile.

Lucia Iuorio / Netflix

È un destino scritto, quello di Rocco-baby. «Ogni bambino ha il suo supereroe. Il mio si chiamava Supersex. E aveva il potere del sesso».

La scintilla fatale è un albo caduto da un camion di passaggio. Scontiamo tutti, chi più chi meno, lacune imperdonabili che urge colmare: per chi lo ignorasse, Supersex non è un fumetto ma una pubblicazione autorevole e longeva, il “Fotoromanzo delle pornostar internazionali”.

Un maschio Alfa al cubo di nome Gabriel Pontello ne è stato il dominatore incontrastato. Quel prezioso fascicolo e il fratello maggiore Tommaso sono stati i fari spirituali del Nostro, tra umiliazioni, bullismo e varie tribolazioni.

Primo dogma del Nume Tommaso (che da adulto avrà il volto di Adriano Giannini): «In mezzo alle cosce degli uomini e delle donne ci sta la dinamite». Tommaso è figo perché va a letto con la mitica Lucia, che è Jasmine Trinca versione Malena di Tornatore. Mammà però disapprova la svergognata, vorrebbe Rocco prete e Tommaso sparisce. Fine del primo episodio.

Come il toro

Non mi permetterei mai di guastare allo spettatore il piacere del coming of age successivo. A Parigi, negli anni Ottanta, Rocco risponderà finalmente al richiamo della vocazione, folgorato come Paolo sulla via di Damasco. È ancora all’ombra del fratello mariuolo, che a ogni buon conto la sua amata Lucia l’ha spedita sul marciapiede: «Le donne se si innamorano ti devono pagare loro». Non sono dialoghi buttati là, sono da meditare con cura.

È il caso di far tesoro di alcune indispensabili massime di vita. Fondamentale: «Una cosa è fottere, un’altra farsi fottere». E la filosofia fondante di Riccardo Schicchi, il grande maestro del porno, demiurgo di Moana Pozzi e di Cicciolina: Noi siamo quelli che oppongono al dolore del mondo l’unica cosa che hanno, la carne».

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Sono squarci poetici, memorabili apoteosi liriche, enunciate con un fervore da tragedia greca. Quello che vedi tutto sommato non turberebbe un chierichetto. Ripeto, è in tutto e per tutto un mélo. Dal terzo episodio in poi magari lo spleen parigino si attenua, insieme all’incongrua pruderie visiva. Ma non è detto.

Rocco Siffredi in persona si è già appalesato stile Alfred Hitchcock: un flash subliminale a un tavolo di ristorante. Alessandro Borghi è appena subentrato ai Siffredi delle più verdi età e non ha ancora dato il meglio di sé. Ma il Supersex del futuro si annuncia trionfante, pronto a spiccare il volo: «Ero come il toro, che non trova pace, che cerca la monta». Sic. Comunque vada, sarà un successo.

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