In un'atmosfera da festeggiamenti sotto le bombe, con lo schermo a nero e le voci di Amadeus e Fiorello che facevano gli scongiuri, col teatro vuoto e gli orchestrali distanziatissimi, si è dunque aperto il 71mo Festival di Sanremo (anzi il Festival 70 +1, per dirla come Amadeus alla conferenza di presentazione: sarà la kermesse della scaramanzia, e come dargli torto).

#Sanremononsiferma, certo, e persino Franceschini ha mandato il suo in bocca al lupo, che però suonava più come “io ve l'avevo detto” che come messaggio di incoraggiamento: ma tant'è, il ministro passerà comunque le sue serate ad ascoltare il Tannhäuser, e il resto del paese potrà comunque godersi «il codice di imprevedibilità tra i due mattatori regalato al bisogno profondo e primario delle persone», come ha detto in conferenza stampa il direttore di Raiuno Stefano Coletta, anche lui col tono di chi chiaramente preferirebbe ascoltare Wagner ma gli è toccato occuparsi di Arisa e Fedez e allora parla come un zelante laureato del Dams.

Il Festival a ogni costo

Il Festival del Whatever It Takes è però un animale strano, si è avvertita subito un'aria diversa, più dovere civico che festa della musica, più servizio civile che sagra melodica: un cantare per farsi coraggio, sempre col terrore che da un momento all'altro spunti un funzionario dalle quinte ad annunciare che Renga o la Berti sono purtroppo positivi, o che il parrucchiere di Loredana Bertè rifiuta la mascherina in quanto complottista, o che c'è un assembramento nei camerini. Non è facile, e forse non ha aiutato neppure la scenografia che assomiglia a una astronave magiara e dunque evoca anch'essa certi festival di regime d'oltrecortina organizzati per distrarre dalla carestia di patate o dal razionamento di gasolio. Scenografia che come da alcuni anni a questa parte rifiuta anche la tradizione dei fiori sul palco, e stavolta però è un peccato perché c'era gran materiale satirico con le primule: forse fanno ancora in tempo a costruire un simil-padiglione Boeri e a fingere di vaccinare i cantanti prima dell'esibizione, con Crozza che fa Arcuri e i virologi super-ospiti. Ma forse non è cosa, è troppo presto o troppo tardi, dobbiamo distrarci sì, ma non troppo: per non parlare del terribile timing del Governo Draghi, con l'annuncio del nuovo Dpcm un'ora prima del debutto, giusto per scaldare il pubblico come i migliori gruppi-spalla. Chissà se Draghi guarda Sanremo, chissà se ne apprezza l'afflato europeista o lo considera ultimo bastione di sovranismo, chissà se si è offeso o deliziato per la definizione “Merkel con la cravatta” di Fiorello a inizio serata. In effetti a presentare il Dpcm Mario non c'era, forse stava preparando i popcorn su Zoom col suo gruppo d'ascolto della BCE, forse stava correggendo i testi delle canzoni, forse stava ri-arrangiando le melodie per avvicinarle all'Europa.

Lo show

Fiorello che arriva vestito glam bruciando di fatto la modernità auto-percepita di Achille Lauro, Fiorello che fa la classica gag delle telefonate sul palco ai suoi amici famosi, Fiorello che cerca di coinvolgere le poltrone vuote in sala (le poltrone vuote che applaudono si sono viste già in svariati film d'autore europei, qualcuno lo dica a Franceschini). Fiorello che vorremmo tutti abbracciare - se non fosse impossibile – per quella disperata vitalità che dopo quest'anno assurdo nessuno ha più voglia di fingere, nemmeno per contratto. Fiorello è Fiorello, è la Protezione Civile dello spettacolo italiano, è il Generale Figliuolo a cui affidare imprese disperate, e Amadeus lo sa benissimo.

Amadeus che inizia la serata leggendo una sua lettera coi motivi che lo hanno spinto a non mollare e a voler rifare Sanremo, Amadeus che ci chiede in pratica la fiducia: lo avevamo detto che era un festival diverso e profondamente istituzionale. Infatti il primo Big a esibirsi è stato il vincitore dell'anno scorso, in una serata che a ricordarla oggi sembra l'ultimo giorno di Pompei. Diodato si avvicenda a sé stesso riproponendo Fai rumore, e un po' dispiace che ormai la canzone sia l'inno della pandemia, cantata sempre in spazi vuoti e seguita sempre da «eh ma l'anno prossimo...». Diodato come Conte, un onesto professionista per sempre identificato coi peggiori anni della nostra vita e fortemente bisognoso di un nuovo movimento. Vasto programma, considerato che il festival 70+1 è stato l'unico evento musicale europeo a ricordarci ogni mezz'ora che siamo nei guai, che c'è la pandemia, che gli infermieri sono angeli: forse si spiegano così gli ascolti più bassi rispetto all'anno scorso, forse davvero molti lo guardavano per spiare Alba Parietti e la moglie dell'assessore in prima fila. Misteri della riviera.

LaPresse
LaPresse

Una vale una

Quelli che lo hanno visto si sono però tutti innamorati di Matilda De Angelis, e per una volta si può dire l'indicibile: la De Angelis non è brava in-quanto-donna, non è la consueta bonazza della quale dobbiamo però notare l'intensa interiorità nel solito monologo-sul-sessismo scritto da autori maschi dolenti per l'Occasione. No, la De Angelis è brava e basta, presenta canta recita come se fosse al decimo Sanremo, come se fosse – addirittura! – una perfetta entertainer. Infatti non la vedremo mai più, sostituita da altre presentatrici per il resto della settimana. Si vede che a Sanremo stanno ancora a Una vale Una, mentre pare inaudito sbarazzarsi di Ibrahimovic o Achille Lauro che hanno ammorbato la serata come ministri sopravvissuti al governo precedente, quelli che ti fanno chiedere cosa ci sia sotto o dietro.

LaPresse

Ah, mi dicono che ci sono state anche delle canzoni. Non saprei, perché l'acustica - persino in un teatro vuoto - è stata quella dei Sanremo di sempre: pessima. Forse oltre ai bonus e ai ristori dovremmo dare agli artisti fermi da un anno un'altra garanzia: fonici senza acufene.

© Riproduzione riservata