Quando mi sono trovato a dover scrivere la riduzione teatrale del mio libro del 2016 L'ultimo rigore di Faruk (Sellerio) mi sono chiesto anzitutto come mai alcune compagnie che ne avrebbero voluto comprare i diritti avessero desistito. Forse perché la storia aveva una complessità irriducibile sulla scena? Forse perché una storia balcanica non sembrava poi alfine così interessante per la platea italiana?

Nessuna delle due spiegazioni era convincente. Non c'è nulla che non possa essere riportato alla semplicità (attenzione, alla semplicità non alla semplificazione). Il libro inoltre nei nove anni del suo cammino ha sempre avuto una calda accoglienza presso il pubblico.

La guerra sulle spalle

La storia per chi non la conoscesse. Faruk Hadzibegic, bosniaco di Sarajevo, l'ultimo capitano della Nazionale jugoslava di calcio, sbagliò il rigore decisivo contro l'Argentina di Diego Armando Maradona nel quarto di finale del Mondiale italiano, il 30 maggio del 1990 a Firenze. Si convinse che a causa del suo errore era scoppiata la guerra, perché se quella squadra avesse vinto il torneo, un rigurgito di jugoslavismo avrebbe calmierato le tentazioni secessioniste delle Repubbliche che formavano la Federazione. Si sentiva sulle spalle la guerra e i suoi 150mila morti.

Lo conobbi a Strasburgo quattro anni dopo, alla presentazione di un altro mio lavoro (J'accuse l'Onu, Calmann-Lévy, poi uscito in Italia con il titolo L'Onu è morta a Sarajevo, il Saggiatore). Si avvicinò alla fine del dibattito per farsene firmare una copia. Chiesi come si chiamasse. E lui: «Faruk, non mi conosce?”» Io: «No mi scusi». Lui: «Io sono l'uomo che con un calcio di rigore ha distrutto la Jugoslavia». Era un'affermazione talmente enorme da farmi pensare che o avevo davanti un pazzo o un personaggio assai interessante.

Davanti a una birra mi confessò il suo cruccio. Faruk Hadzibegic non era affatto un pazzo, ma un uomo che aveva un concetto estremo di cosa debba essere la responsabilità individuale, tanto più perché era evidente che non era stato il suo rigore a fare implodere il paese, quanto cause più profonde: economiche, politiche, di potere.

La genesi del libro

Pensai a questa storia per tanti anni con l'idea di farne un romanzo del vero senza averne mai il tempo. Fu una circostanza particolare a darmi la spinta decisiva. L'occasione si presentò nel 2014 a Roma quando incontrai lo scrittore Olivier Rolin, compagno di Jane Birkin. Gli narrai la storia di Faruk e lui fece subito da tramite con l'editore Seuil perché finalmente lo scrivessi.

Rintracciai il calciatore a vent'anni di distanza dal primo incontro. Viveva in Francia, dove aveva finito la carriera sul campo per diventare allenatore. «Faruk ti ricordi cosa mi dicesti a Strasburgo nel 1994?». «Certo che mi ricordo caro Gigi, ti dissi che con un calcio di rigore avevo distrutto il paese. Ma ora che sono cresciuto non la penso più così... però c'è di peggio». «E cosa c'è di peggio?». «C'è di peggio che tutti gli altri slavi del sud, i miei concittadini ed ex concittadini, pensano che è stato a causa del mio rigore».

Faruk era diventato il perfetto capro espiatorio letterario. È incredibile come noi umani abbiamo bisogno di storie semplici per spiegarci gli eventi più atroci. Paride rubò la bella Elena a Menelao e fu la guerra di Troia durata dieci anni. Gavrilo Princip sparò all'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria a Sarajevo nel 1914 e fu la causa dello scoppio della prima guerra mondiale. Faruk Hadzebegic sbagliò il rigore e fu il mattatoio balcanico negli Anni Novanta del secolo scorso.

Faruk accettò di essere il mio Virgilio in questa vicenda che lega il calcio alla guerra, a patto che io ascoltassi anche la versione degli altri calciatori di quel team sfortunato, l'allenatore, gli accompagnatori. Fu un viaggio affascinante, un'immersione nell'invasione di campo della politica nello sport, come spesso succede vista l'enorme popolarità di cui quello sport gode.

Ma a teatro ho creduto che fosse più giusto che fosse Faruk l'unico protagonista. E che il tutto fosse racchiuso in un monologo (della durata di una settantina di minuti), una sorta di flusso di coscienza per ripercorrere quella storia individuale e pure collettiva, prima felice e poi dolente. Faruk come lo specchio di una generazione che ha visto sparire il mondo in cui credeva.

Il Teatro Caverna di Bergamo ha creduto nel progetto. Il suo direttore artistico Damiano Grasselli, oltre a essere l'attore che impersona Faruk, è stato l'autore della revisione drammaturgica assieme a Franco Zadra, il suo assistente alla regia.

La storia di Faruk, consumata su un campo, diventata un libro, ora continua sui palcoscenici italiani.


Dopo la prima durante la rassegna “Cantiere poetico” di Santarcangelo di Romagna e la tappa all'Odeo del teatro Olimpico di Vicenza, la tournée de “L'ultimo rigore di Faruk” continua sabato 15 novembre alle ore 21 al cine-teatro “Modernissimo” di Nembro (Bg) e venerdì 21 novembre alle ore 20,30 allo spazio “gres art 671” di Bergamo.

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