Chi frequenta la metropolitana milanese avrà visto, da un po’ di tempo, grandi cartelli che dicono “Siamo tutti unici”; iniziativa di pubblicità progresso dell’Azienda dei Trasporti. La frase è insieme lapalissiana (anche i gemelli omozigoti si differenziano tra loro), falsa (unici lo siamo sempre meno, con le omologazioni in corso) e apotropaica (speriamo di non essere sostituiti da cloni robotici).

Ma soprattutto, da chi ci passa davanti, è percepita come pacificamente doverosa: non ci si fa più caso, è quello che dicono più o meno tutte le amministrazioni, di destra o di sinistra, che altro dovrebbero dire? Sotto, in piccolo, c’è scritto “nella diversità”: siamo tutti unici perché siamo tutti diversi; e se siamo tutti diversi, nessuno lo è.

L’altra sera, a Zona bianca, il generale Vannacci assicurava di sentirsi “anormale”. Ma una frase del suo libro («cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione») ha scatenato un putiferio, tutti a gridare che gli omosessuali sono normalissimi non meno degli etero.

Il fenomeno è psicologicamente ben noto: io posso darmi dell’anormale da solo (magari accompagnandolo con un sorriso ironico), ma se me lo dicono gli altri mi offendo. A me per esempio capita con l’aggettivo “obeso”; a molti, o a molte, con “vecchio/a”. Una domanda nasce spontanea: si può essere unici (cioè diversi) e normali contemporaneamente?

Fluidità

Certo che si può, se aboliamo il concetto di normalità e con esso qualunque idea di trasgressione della norma; a quali norme disobbedire, se la normalità è evaporata?

Avevo meno di trent’anni quando vidi a teatro uno spettacolo di Mario Mieli che si intitolava La Traviata Norma: prendersi gioco della sedicente normalità eterosessuale era il divertimento, per non dire l’orgoglio (sì, il pride) di chi all’epoca si sentiva attratto dalle persone del proprio sesso e non aveva più voglia di nasconderlo.

I tempi sono molto cambiati, se per gli omosessuali essere detti normali è un obiettivo e se l’ambito della “fluidità sessuale” si è così ampliato da rendere perfino ragionevole che la maggioranza dei viventi possa essere considerata, in qualche misura e maniera, “fluida”. In una prospettiva radicale, il mutamento è così rivoluzionario che (come la parallela abolizione del patriarcato e la trasformazione dell’idea di famiglia) fa impallidire Lenin, Mao e Robespierre, e per affermarsi dovrà affrontare contro-rivoluzioni feroci.

Persone comuni

C’è un modo più soft di risolvere la contraddizione tra diverso e normale: consiste nel separare il comportamento sessuale dal resto, accettando il proprio personale “tasso di normalità” indipendente da chi ci portiamo a letto.

Sandro Penna ci aveva pur avvertito, che si può essere diversi essendo squallidamente “comuni” – unici proprio nel rapporto sempre individualmente variato di mediocrità ed eccezionalità; tranquillamente anomali nelle scelte erotiche (ossessive o fluide che siano) e consapevolmente normali in quanto, per esempio, piccolo-borghesi, o soddisfatti fruitori di privilegi, o pavidi pantofolai, o alla ricerca nevrotica di approvazione e via dicendo.

Il prezzo da pagare è la rinuncia a quel tanto di eroico, di agonisticamente entusiasmante, che c’è nel sapersi non-conformi, fuori norma e quasi fuorilegge, corsari del sesso e propagatori di scandalo. Quanti di noi hanno pensato che essere omosessuali fosse di per sé uno stigma di maledizione e quindi di benedizione rovesciata!

I tradizionalisti

Questa soluzione “privatistica”, anche se non scatena le irrisioni e i dileggi che toccano alla prospettiva più radicale e rivoluzionaria, ha comunque almeno due nemici da non sottovalutare. Il primo nemico è il tradizionalismo conservatore (a cui certamente il generale Vannacci appartiene).

I tradizionalisti presentano “normale” come un termine statistico: sono “normali” i comportamenti della maggioranza – ma, per uno slittamento quasi inavvertito, a “maggioranza” aggiungono “silenziosa”. Sembra un niente ma è tutto. La maggioranza è silenziosa perché non sufficientemente istruita e dunque succube di una manipolazione culturale che consisterebbe nell’imporre (da parte di una élite eticamente perversa) valori contrari al più elementare buonsenso.

Il buonsenso non sarebbe nient’altro che il senso comune (ah, caro Sandro Manzoni, tornaci a insegnare la differenza!) e dunque “normale” significa quel che si fa per sensata consuetudine, quel che è logico fare, quel che si è sempre fatto dalle parti nostre. Approfittando di alcune maldestre comunicazioni della parte progressista (il barbuto trans F to M che si fa fotografare incinto, la legge spagnola che consente ai sedicenni di cambiare sesso sui documenti con una semplice dichiarazione allo stato civile, il testosterone che i genitori somministrano a una figlia dodicenne sessualmente “incerta”), i reazionari al potere si descrivono come vittime di poteri ancora più forti e non meglio definiti.

Da qui nasce il tono di innocente e paternalistico sarcasmo per cui la frase in apparenza neutra di Vannacci si potrebbe tradurre come «cari omosessuali, fatevene una ragione, non sarete mai come i maschi e le femmine è logico e sensato che siano». Traendo da questo anche conseguenze legali e politiche, tipo il rifiuto dell’adozione per le coppie gay. Come se in Costituzione, invece che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione» eccetera, ci fosse scritto «tutti i cittadini sono tenuti ad apparire normali di fronte alla legge», il che sarebbe appunto logico, se la legge fosse conferma della consuetudine.

Subdoli social

E poi c’è un altro nemico, insidioso perché subdolo e perché si traveste da libertà. Lo so che ormai colpevolizzare i social è un luogo comune, ma i social sono la più potente macchina di condizionamento psichico che la tecnologia abbia mai prodotto. Anche nell’ambito di cui sto parlando, cioè del rapporto tra normalità ed eccezionalità; e anche in materia sessuale, abituando a pensare che essere speciali ed essere normali sia la stessa cosa.

Cosa c’è di più normale che andarsi a mangiare una pizza? Eppure, se fotografo la pizza che ho nel piatto e la posto su Instagram, mi aspetto che la mia pizza riceva un sacco di like, dunque la mia pizza merita l’applauso. E così la mia vita, la mia storia, i miei desideri, nel carnevale auto-celebrativo di un’eccezionalità di massa.

Se un tempo i romanzi si sobbarcavano l’ingrato compito di trasformare vicende banali e quotidiane in riflessioni generali di lunga durata, ora i social agiscono in direzione contraria: partono da problemi generali, di cui magari ha parlato un filosofo in tivù, e li sminuzzano (col meccanismo infernale dei feedback) in tanti individuali ma orgogliosi pigolii («anch’io, io, io»).

Sventolare la propria normalità è inteso come un prendere la parola, e chi prende la parola è eccezionale.

Eccezionali nella normalità e normali nell’eccezione. Simbolo grottesco di questo ossimoro è Elon Musk: bizzarro ma comune, contro il politicamente corretto e controcorrente, mediocre ma ricchissimo e geniale imprenditore, il padrone di X (ex Twitter) si è eletto portavoce della maggioranza silenziosa.

Chi sta in silenzio a un certo punto invoca chi parli per lui; Musk ci mette la forza mediatica di X, qualcun altro potrebbe metterci la forza e basta. Molti leader conservatori amano presentarsi come difensori del buonsenso, campioni di normalità («io sono come voi»).

Chi non si accontenta dello status quo ma anzi lo considera un veleno, chi affronta intrepido lo sgretolarsi sotto i suoi piedi di ogni passata sicurezza, chi vuol gridare che la normalità è una trappola conservatrice, per diffondere il proprio allarme è costretto ad affidarsi a un mezzo che ha fatto della finta normalità uno strumento di dominio.

Siamo tutti unici, ma alcuni sono più unici degli altri.

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