Gennaio è il mese del Veganuary, una sfida annuale lanciata nel 2014 da un’associazione britannica che promuove lo stile di vita vegano, offrendo ricette e consigli per mangiare vegetale e sostenibile per tutto il mese (e oltre). In Italia il 9 per cento della popolazione è vegetariana e il 2 per cento è vegana: un numero, quest’ultimo, che negli ultimi dieci anni è quadruplicato.

Ma anche l’89 per cento degli italiani onnivori può imparare una lezione dai vegani (e dai vegetariani): diminuire il consumo di carne fa bene alla salute, all’ambiente e ha profonde motivazioni etiche. 

L’impatto ambientale della carne

L’industria zootecnica, cioè l’allevamento, è tra i settori che maggiormente contribuiscono alla crisi climatica. Secondo le stime dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni unite (Fao) è tra le cause principali della deforestazione, occupa il 77 per cento dei terreni agricoli del mondo e produce il 14 per cento delle emissioni globali di gas serra. Circa l’80 per cento del disboscamento della foresta amazzonica è dovuto agli allevamenti di bovini, secondo il Wwf.

Una dieta vegana inquina tre volte meno di una dieta onnivora, come ha mostrato uno studio dell’università di Oxford. Anche guardando alle risorse, la produzione di carne sembra un sistema poco efficiente: carne e latticini forniscono il 18 per cento delle calorie e il 37 per cento delle proteine consumate a livello globale, ma la loro produzione comporta, tra le altre cose, l’utilizzo di un terzo di tutta l’acqua destinata all’agricoltura. Per singola proteina, la produzione di manzo emette oltre venti volte di più rispetto alla produzione di fagioli.

Guardando all’Italia, il consumo di carne genera in media quasi 37 miliardi di euro di costi nascosti ogni anno, divisi circa a metà tra impatto ambientale e impatto sulla salute. I costi nascosti, o esterni, sono costi che un’attività genera senza ricompensare per il danno subito da un’altra persona. Diviso per la popolazione italiana, il costo generato dal consumo di carne si attesta sui 605 euro annui a persona. Questi dati emergono da uno studio della società di consulenza scientifica Demetra, commissionato dalla Lega anti vivisezione (Lav).

La salute

Lo stesso studio Demetra-Lav ha stimato che «ogni anno a causa del consumo di carne in Italia vengono persi circa 350mila anni di vita». Il consumo di carne rossa, secondo gli studi epidemiologici, è correlato al rischio di contrarre il carcinoma del colon-retto, il diabete di tipo 2, l’ictus e le malattie cardiovascolari.

L’eccessivo consumo di carne non fa bene alla salute. La dottoressa Silvia Goggi, medico specialista in scienze dell’alimentazione, spiega a Domani: «La carne è in cima a qualunque piramide alimentare del mondo, quindi non è un alimento che andrebbe consumato di frequente». Aggiunge che «non è necessaria: al nostro corpo servono i nutrienti, non gli alimenti», quindi per mangiare vegetale «serve una dieta bilanciata e integrare la vitamina B12, di cui però anche molte persone onnivore hanno carenze».

Mangiare vegano fa bene alla salute: «Anche gli onnivori dovrebbero già essere vegani il 90 per cento del tempo. Mangiare vegano significa massimizzare i benefici salutari della dieta mediterranea» spiega Goggi. Specifica che un pasto dovrebbe essere composto da verdura in abbondanza, una fonte di cereali e una fonte proteica: seguendo una dieta mediterranea, a pranzo o cena le proteine dovrebbero arrivare dai legumi. «Tutti dovremmo mangiare i legumi una volta al giorno, un vegano lo fa semplicemente una volta in più», spiega.

Una delle critiche mosse all’alimentazione vegana è che sia più costosa, ma dipende da cosa si mangia. Va aggiunto che i prezzi non dipendono soltanto dalle materie prime. Per esempio, «le bevande vegetali hanno un’Iva al 22 per cento, come i prodotti di lusso, mentre il latte animale la ha al 4 per cento» dice Gianluca Felicetti, presidente della Lav. L’industria zootecnica riceve molti fondi pubblici europei e nazionali: «può dare cibi a prezzi concorrenziali proprio per questo, ma dovrebbe essere disincentivata», continua Felicetti. «La necessità di un cambiamento alimentare può passare dalle scelte personali. Ma anche dalla politica», sostiene.

Il rispetto per gli animali

Gli animali “da allevamento” sono spesso considerati come oggetti, una percezione diversa da quella degli animali domestici. Ma la ricerca scientifica sottolinea da tempo che tutti gli animali sentono il dolore, provano emozioni e elaborano ricordi. Giorgia della Rocca, vice direttrice scientifica del Centro di ricerca sul dolore animale (Ce.ri.d.a) e docente di farmacologia e tossicologia veterinaria all’Università di Perugia spiega che: «Tutti gli animali riescono a percepire e processare consapevolmente il dolore. La gioia, l’entusiasmo, il piacere, ma anche la paura e la rabbia non appartengono solo all’animale uomo, ma anche a moltissime specie animali».

«Oggi siamo a metà di un cammino». Felicetti descrive così lo stato dei diritti degli animali in Italia. Mentre negli anni sono nate molte leggi a loro tutela, «le norme sugli allevamenti considerano ancora gli animali come beni mobili, utili solo a soddisfare un presunto bisogno degli umani», spiega il presidente della Lav.

A livello globale, si stima che il 90 per cento degli animali allevati si trovi in allevamenti intensivi. Sono luoghi in cui gli animali vivono in capannoni sovraffollati, senza vedere mai la luce del sole, in pessime condizioni igieniche – vivono nella melma dei loro stessi escrementi. Malati e non curati, mutilati, confinati in gabbie dove non possono neanche girarsi: sono situazioni documentate da numerosi video e documentari.

Per molte persone, vedere le condizioni degli animali negli allevamenti è stata la scintilla che ha portato alla scelta di diventare vegane. «Navigando su Facebook mi è capitato un video che mostrava i momenti principali della produzione lattiero-casearia: le mucche ingravidate a ripetizione fino allo stremo, i vitelli allontanati dalle loro madri poco dopo la nascita e rinchiusi in box dove venivano allattati artificialmente e fatti ingrassare per poi essere uccisi. Ho spento il computer e sono rimasta in silenzio. L’unica cosa che ho pensato è stata: non voglio più finanziare questo sistema». Così racconta Arianna Fraccon, attivista del santuario per animali liberi Capra libera tutti, a pochi chilometri da Roma. «I santuari sono luoghi di accoglienza per centinaia di animali sottratti alla violenza degli allevamenti» spiega Fraccon. «Nella società capitalistica, sembra quasi inconcepibile pensare che gli altri animali possano esistere senza una funzione produttiva, ma nei santuari impariamo a conoscerli come individui, con proprie storie e personalità», conclude.

Quanti animali uccidiamo ogni anno

Negli allevamenti italiani ci sono più animali vivi che persone in tutto il Paese. Circa 200 milioni, più di tre animali per ogni cittadino. Sono più di 600 milioni gli animali uccisi ogni anno in Italia. Più di 80 miliardi nel mondo, di cui circa 18 miliardi inutilmente a causa dello spreco alimentare. E si parla di animali terrestri: tenendo conto delle stime sui pesci (più incerte), i numeri raddoppiano. Sono numeri difficili da visualizzare, ma per fare un esempio, ogni giorno vengono macellate circa 900mila mucche. Messe in fila, calcolando una lunghezza di due metri per ognuna, coprirebbero i confini terrestri dell’Italia, 1.800 chilometri.

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