Volevo essere Marianne Faithfull. Questo sognavo mentre frequentavo la seconda media in una scuola pubblica di Roma nord. Eravamo a metà degli anni Sessanta, i brividi del boom economico non si erano ancora esauriti e proiettavano gli ultimi lampi di benessere su un piccolo mondo antico e provinciale che si commuoveva per le canzoni di Gigliola Cinquetti.
Io no. Semmai mi stava più simpatica Caterina Caselli che quell’anno, il 1966, si era piazzata al secondo posto al Festival di Sanremo con Nessuno mi può giudicare: ai concerti si esibiva con un basso Fender rosa cipria e si diceva che per partecipare alla gara canora fosse scappata di casa. Due buoni motivi per apprezzarla.

Comunque uno spiraglio di novità per noi ragazzine che alle feste, per esibire una parvenza di minigonna, eravamo costrette ad arrotolare in vita di nascosto le lunghe palandrane che ci imponevano i nostri genitori. Ma nonostante i buoni propositi del beat italiano, io non avevo altra musa all’infuori di Marianne Faithfull che, per la cronaca, in quegli anni era la fidanzata ufficiale di Mick Jagger.(…)

Let’s Spend the Night Together, cantavano i Rolling Stones, e noi fanciulle ancora vergini del quartiere Trieste-Salario eravamo pronte a raccogliere l’invito. Ma al di là delle tipiche pulsioni erotiche adolescenziali, che hanno bisogno di una rockstar dal bacino roteante per mettere in moto i primi ormoni, al di là dell’attrazione fisica per il frontman della band più debosciata del momento, io volevo proprio essere Marianne e diventare una donna libera e spregiudicata, pronta a tutto pur di afferrare la nuova magica era apparsa all’orizzonte. A questo servono le muse, a ispirarci, Marianne però sembrava irraggiungibile.

Nostalgia

(…) Con la mia amica Patty Pera professavamo il culto proibito di una vita diversa, ascoltando su un mangiadischi tutti i 45 giri dei Rolling Stones e As Tears Go By, l’unica canzone di Faithfull arrivata fino a noi; che poi Mick Jagger ne fece una cover in italiano, un po’ mielosa, in pieno contrasto con il repertorio diabolico della band.
Ma a colpire il nostro immaginario era la versione di Marianne. C’era qualcosa di speciale in quella semplice ballad folk dal sapore malinconico che aveva conquistato le hit parade, e naturalmente me e la Patty Pera. Credo che il suo fascino si celasse nell’inusuale vena nostalgica che trasudava da ogni solco, in totale contrasto con la giovane età dell’interprete.

Anche Marianne soffriva e le sue lacrime diventavano le nostre per la proprietà transitiva che solo le canzoni possiedono. Finalmente il disagio di vivere in una zona d’ombra, lontano dalle cose meravigliose che succedevano a nostra insaputa, possedeva una voce.

Avevamo quasi finito il nostro album di ritagli che, tra colla e umidità, si era gonfiato a dismisura quando tutti i giornali pubblicarono le foto dello scandalo. Le immagini dell’arresto per droga dei Rolling Stones dopo la perquisizione in casa di Keith Richards fecero il giro del mondo e  Marianne divenne il “mostro” da sbattere in prima pagina. In realtà niente di eccezionale per quegli anni, se non che l’interesse morboso dei media si concentrò sulla giovane dal viso d’angelo che aveva abbandonato il marito e il figlio piccolo per unirsi a Mick Jagger e alla sua combriccola di ragazzacci.  (…)

Marianne era nella realtà una giovane artista che stava cercando la sua strada e aveva già raccolto molti consensi nel mondo musicale.

Non era certo Alice nel Paese delle Meraviglie del rock, capitata per caso nella stanza degli orchi famelici, ma mentre la band uscì rafforzata da quella sarabanda mediatica, conquistando l’alone di leggenda di cui ancora oggi va fiera, la fidanzata bionda fu fatta letteralmente a pezzi. (…)
Le droghe e la libertà sessuale si addicevano ai cattivi ragazzi, ma non alle fanciulle perbene cresciute dalle suore. Così il santino della Madonna pop angelicata che troneggiava sulle copertine dei suoi primi dischi si trasformò, come in una brutta favola, nell’immagine di una delinquente, una puttana e, naturalmente, una cattiva madre.

Resistenza

L’incontro con l’autore di Sympathy for the Devil, che io e Patty Pera nella nostra ingenuità pensavamo le avesse aperto le porte del paradiso terrestre, le spalancò invece quelle dell’inferno.
Marianne aveva appena 22 anni, era troppo giovane e fragile per sostenere un ruolo di musa così impegnativo, eppure non tutti sanno che era stata proprio lei a suggerire quella canzone all’odor di zolfo che consacrò la carriera dei Rolling Stones.
Al contrario di Mick, sicuramente un gigante nel suo genere ma certo non un fior d’intellettuale, Faithfull era una divoratrice di libri. Addirittura per decidere se un ragazzo era degno di una notte di sesso lo sottoponeva prima a un serrato interrogatorio verificando che conoscesse almeno le poesie di Byron e di Keats o The Lady of Shalott di Tennyson, la storia di un’eroina romantica che (come lei) aveva ceduto alla tentazione di una vita fuori dalla torre dove il destino l’aveva segregata.

Non mi meraviglia che come primo atto di musismo accertato Marianne abbia suggerito caldamente al suo fidanzato di leggere Il Maestro e Margherita dello scrittore russo Michail Bulgakov. Il libro, appena uscito postumo dopo anni di travagliata censura sovietica, folgorò il cantante, che subito compose la sua versione del patto con il diavolo. Sympathy for the Devil riscosse un successo immediato e contribuì ad amplificare la popolarità dei Rolling Stones; di pari passo si moltiplicarono le critiche feroci che accusavano la band e la musica rock in generale di incitare al satanismo. (…)
Purtroppo Marianne non era la Margherita di Bulgakov e non possedeva la diabolica crema che trasforma la protagonista del libro in una supereroina potente e spavalda, capace di sorvolare nuda i cieli di Russia a cavalcioni di una scopa.  Solo i più attrezzati, o forse i più scaltri, riuscirono a rimanere a galla o, come Mick Jagger, addirittura a cavalcare l’onda alimentando il proprio mito. Altri si arresero, come Brian Jones, il fondatore della band, anima instabile e anello debole di quella perfetta macchina da guerra che stava macinando un successo dietro l’altro. (…)

Oltre al grande talento, a colpire l’immaginazione dei seguaci di Marianne Faithfull è anche la sua incredibile resistenza, una capacità di resurrezione pari solo al più famoso “risorto” della storia, tanto che ogni sua rinascita è salutata come un vero miracolo. Marianne è una fenice bionda che, dopo aver toccato gli abissi, ogni volta rinasce dalle sue ceneri e, con uno stupefacente colpo d’ala, si rimette a volare con una nuova voglia di vivere e sperimentare.

Accade anche nel 1979: tutti la danno ormai per dispersa ma la cantante annichilisce il pubblico con un brano che sembra emergere direttamente dall’oltretomba e conquista le classifiche di tutto il mondo. La sua voce è spezzata, rotta, rovinata da anni di vita spericolata: Broken English più che una canzone è un graffio sonoro che arriva come un pugno dritto al cuore della gente e Marianne è di nuovo sull’altare venerata dalle nuove generazioni.

A tu per tu

(…) Quando finalmente la incontro, Nostra Signora della Sopravvivenza ha appena scritto la sua autobiografia, è ormai passata un’eternità dai tempi in cui ritagliavo le sue foto in bianco e nero per il mio album da adolescente ma l’emozione mi attanaglia lo stesso. (…) Marianne arriva sorridente e vestita di nero. Io sorrido, vestita di nero. Ci stringiamo la mano e, forse è solo un’impressione, ma sento un’immediata complicità. È ancora bellissima nonostante il volto segnato dagli innumerevoli viaggi all’inferno. Mi guarda avvolta da un’affascinante timidezza british e mi dice con una voce carica di tutta la dark side dell’esistenza che avrebbe sempre sognato fare il mio lavoro: sì, le piacerebbe di più fare domande che dare risposte. Mi spiazza.

A quel punto vorrei raccontarle tutta la mia vita da Patty Pera in poi, spiegandole che qualche piccolo abisso l’ho sfiorato anch’io ma le grandi donne come lei mi hanno insegnato a resistere e attraverso la loro fragilità ho trovato la mia forza. Al via del tecnico parto con l’intervista, mi hanno concesso solo dieci minuti del suo tempo e devo darmi una mossa.

Alla fine ne esce un incontro cordiale e affettuoso, a tratti anche profondo, uno scambio “da donna a donna”, come si dice odiosamente in gergo. Ma niente di più. Quando sta per andarsene Mrs Faithfull si volta e mi chiede se mi farebbe piacere avere una sua dedica sulla copia del libro pieno di orecchie che stringo al petto, e io le rispondo imbarazzata: «Magari, Marianne, perché sei da sempre la mia musa». Lei mi guarda e invade lo studio con una risata roca iperuranica che ci stende tutti.


Il testo è un estratto da La vendetta delle muse, il nuovo libro di Serena Dandini, in libreria il 7 novembre per HarperCollins

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