Ho nostalgia di molte cose, tra queste il travolgente entusiasmo che provavo un tempo per i film di Natale. Per anni ogni anno c’è stato almeno un film da attendere con frenesia, da guardare poi al cinema mangiando male e riguardare il 25 dicembre pomeriggio dopo aver mangiato invece molto bene da mia nonna, godendo della totale familiarità di quella pratica e della coazione a ripetere di un’esperienza capace di produrre un calore nel petto e una serenità senza pari, un sentimento per cui i tedeschi hanno senz’altro una parola molto lunga e altrettanto puntuale.

Era facile, era bello. Non esistevano i concetti di preoccupazione, o ansia da prestazione, o delusione, o povertà. C’era solo il gusto di sedersi nel buio di una sala e stare bene per due ore. Non so dove sia finita quella fregola, a volte penso che non proverò mai più una felicità simile a quella provata davanti a ogni logo della Warner Bros all’inizio di un nuovo film di Harry Potter. Chiedo già scusa ai miei futuri figli: non mi darete mai la stessa gioia.

La fine del sesso

Può darsi che diventare adulti sia anche questa roba qui. Perdere gli entusiasmi, lasciare che il cuore si rinsecchisca, concedersi un massimo di cinque rotelle di liquirizia per scongiurare una gastrite altrimenti annunciata. E forse diventare adulti significa anche desiderare intimamente di andare a vedere Wonka al cinema e infine astenersi per una questione di principio: sono disposta a rinunciare alla fanciullezza, ma non sono pronta a perdere un altro sex symbol.

L’abbiamo già visto succedere con Johnny Depp, Willy Wonka è il personaggio dove il sesso va a morire. Non importa quanto sei stato attraente nella tua carriera di attore, quanti poster della tua faccia abbiano addobbato le camerette di adolescenti dall’ormone pazzo. Nel momento in cui diventi il capo supremo dei cioccolatini (e non sto parlando del sexy gitano di Chocolat) nessuno ti si vorrà più fare.

Se Depp aveva qualche speranza di riemergere dal caschetto di Krizia che sfoggiava nella Fabbrica di cioccolato del 2005, il colpo di grazia Tim Burton glielo dà nel 2010 con Alice in Wonderland, costringendolo a esibirsi nella cosiddetta “deliranza” del Cappellaio Matto, scena che sospetto corrisponda anche all’inizio della sua crisi coniugale con Vanessa Paradis.

Per Timothée Chalamet però mi sembra un po’ presto per gettare la spugna. La parabola della desiderabilità era appena iniziata, lo dimostra il fatto che l’abbia reclamato per sé Kylie Jenner, la più giovane nonché più tamarra del clan Kardashian (un gruppo di donne il cui giudizio su qualcosa o qualcuno, nel bene o nel male, dice sempre qualcosa sui tempi in cui viviamo). E invece ce lo ritroviamo a tradimento nel film di Natale per famiglie, con cappelli buffi e giacche di velluto, precocemente avviato sulla strada dell’inavvicinabilità.

Forse ci provano a renderlo un Willy Wonka un po’ cool, giovane ribelle con i capelli spettinati che a un occhio allenato e/o malizioso possono suggerire che il re del cioccolato non porta le mutande sotto i pantaloni, ma voglio ricordare che Di Caprio alla sua età se ne stava a petto nudo in The Beach, massimo massimo in canottiera. Cosa ce ne facciamo di un giramondo fricchettone con la passione per i dolcetti?

Scopro poi che il trailer di Wonka è altresì ingannevole, perché nasconde un’informazione importante: trattasi di mezzo musical, se ho ben capito, il meno sexy di tutti i generi cinematografici.

Il desiderio

L’operazione è errata dal principio. Willy Wonka non può essere un belloccio, e comunque va detto che nessun bambino al mondo leggendo Roald Dahl si è mai posto il problema.

Era perfetto Gene Wilder, che è stato molte cose nella sua carriera ma un adone mai. Eppure anche lui oggi viene in parte riabilitato: l’internet suggerisce una somiglianza tra Wilder e Jeremy Allen White, lo chef di The Bear, tormentato quanto le maniche aderentissime delle sue t-shirt, il quale però per il momento si tiene ben alla larga dai film per bambini e ci delizia invece pulendosi le dita unte di costine sulla maglietta, come un vero uomo, in un video promozionale di Entertainment Weekly – che non nego di aver guardato molte volte di seguito – per il film in uscita The Iron Claw. Purtroppo nel film interpreta un wrestler, il secondo ruolo meno attraente del mondo dopo l’invasato del cioccolato.

Wonka intanto demolisce anche quello che era rimasto di Hugh Grant portandolo in scena nei panni di un Umpa Lumpa, l’omino dai capelli verdi e la pelle color Donald Trump. In un’intervista con Drew Barrymore, Grant ha dichiarato di essere diventato troppo “vecchio, grasso e brutto” per fare ancora le commedie romantiche, una presa di coscienza che va di certo apprezzata, però mi chiedo se non ci fosse una via di mezzo prima del totale tracollo in Cgi (una domanda che deve essersi fatto anche lui, visto che ha definito questo ruolo “una corona di spine”).

Restano pochi dubbi su chi invece sta percorrendo la strada per il mio cuore nella direzione giusta: è Josh O’Connor, il tombarolo inglese del bellissimo La chimera di Alice Rohrwacher, che molti si ricorderanno come il giovane Charles di The Crown (che forse batteva sia Wonka sia il wrestler per carenza di erotismo), ma di cui io avevo già preso nota in un altro bel film di qualche anno fa, God’s Own Country, una specie di Brokeback Mountain con i pastori dello Yorkshire che controbilanciava benissimo il principe di Galles.

Che non sarà un film di Natale, e di sicuro non è per famiglie, ma il calore nel petto lo produce, almeno nel mio. Chissà quale parola tedesca descrive l’improvviso desiderio di lasciare il proprio partner per andarsi ad appostare fuori dalla casa di un attore con un binocolo. 

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