Tra i miei talenti più spiccati c’è la capacità di ignorare l’evidenza ben oltre i limiti socialmente accettati. È grazie a questa mia dote che ho tenuto in piedi la magia del Natale e le tradizioni annesse fino a un’età in cui i miei genitori avrebbero dovuto farmi il dito medio ogni volta che prendevo carta e penna per scrivere a Babbo Natale.

Invece, nella grande tradizione millennial, sono stata accompagnata dolcemente verso la verità in età avanzata, senza strappi, e ad oggi rimpiango i riti del 24 dicembre della mia infanzia, in cui mio nonno, ex colonnello dell’esercito, mentre io mi nascondevo in camera per non spaventare Babbo Natale, rinunciava alla dignità per mettere in scena ogni anno tutta un’alternanza di capolini in salotto e campanellini di slitta che durava un bel po’, abbastanza da farmi pisciare addosso per l’emozione per diversi natali consecutivi.

Mi piaceva la tradizione: fare i biscotti con mia zia, i tortellini con mia nonna, Frank Sinatra che cantava White Christmas, spacchettare una nuova Barbie, persino pisciarmi addosso.

Mi era tutto molto congeniale, quindi l’ho tirata per le lunghe e quando trovai la letterina che avevo imbucato per il Polo Nord in un cassetto di mio padre feci l’unica cosa possibile: richiusi il cassetto. Magari ne ha spedita una copia via fax, mi dissi mentre mi preparavo a ignorare i fatti ancora per un po’.

Le richieste

La stessa letterina è tornata a perseguitarmi quest’anno, quando mio padre l’ha ritrovata nel corso di un trasloco. È del 2001, avevo nove anni, e sono lampanti due cose: che ero determinata a credere a una versione alternativa della realtà, come abbiamo già detto, e che ero una bambina gravemente ruffiana.

«Colgo l’occasione per ringraziarti dei meravigliosi regali dell’anno scorso», scrivevo in incipit, laida come poche. Poi passavo a elencare le mie nuove diciotto richieste contando chiaramente sul principio della pesca a strascico e infilando con nonchalance la «serenità per i bambini e gli adulti bisognosi» al secondo posto della lista, tra il Dolceforno e la macchina da scrivere di Barbie (che comunque non ricevetti).

In mezzo alle volute di un corsivo da prima della classe, tra righe di diversi colori pastello – ricordo ancora il set di penne che usavo per le occasioni speciali – si intravede lo spirito gretto della piccola capitalista attaccata alle cose, che sarebbe poi diventata un’adulta capitalista attaccata alle cose, solo più capace a nasconderlo.

«E l’ultimo desiderio», chiosavo, «una letterina firmata da te». Probabilmente volevo le prove, avevo bisogno di una conferma che la mia smania bulimica per gli oggetti ricadesse sullo sconosciuto che rendeva felici i bambini per mestiere, mica sui miei genitori nullatenenti.
Solo con lui potevo sbragare, chiedere più varianti dello stesso giocattolo senza vergognarmi e inserire nell’elenco un generico «e altre cose a tua scelta». Cose, cose, cose. Non importava neanche quali, bastava che fossero tante e in diverse colorazioni.

E infatti dopo l’ultimo desiderio ce n’è già un altro, «il maggiolino nuovo di Barbie, possibilmente rosso», che chiude questo triste exploit di smania consumistica, salvato solo da un lampo di una tenerezza disarmante, quasi dickensiana: «Il pezzo mancante del mio orologio Swatch».

Cosa è cambiato 

Com’è ovvio negli anni credo di aver ricevuto lo 0,1 per cento dei regali richiesti, perché in effetti non ero Richie Rich, ma mi ci sarebbe voluto un po’ di tempo per capirlo.
Tuttavia non ricordo di essermi mai sentita delusa, e questo è il secondo momento Dickens di questa storia di Natale: è il desiderio del regalo il regalo stesso?

Il capitalismo risponde “no” a questa domanda, e ogni anno spara in orbita una lunga serie di nuove liste per gli acquisti e guide al regalo perfetto che in confronto la mia del 2001 era del tutto ragionevole.
A catalogare le più estreme ci pensa Benton McClintock, un tiktoker americano che passa in rassegna le idee regalo dedicate all’1 per cento della popolazione mondiale.
Al primo posto della Kardashian Gift Guide di quest’anno troviamo una sauna a forma di tubo della risonanza magnetica che potete regalare ai vostri cari per solo 2.498 dollari, un pensiero che sarà sicuramente gradito a quella persona speciale nella vostra vita che ha in casa una stanza di cui non sa proprio cosa fare.
McClintock ci comunica poi che “grazie a Dio” anche Hermes ha fatto una lista di regalini per le tasche di nessuno, come il fermacarte di pelle a forma di fungo da 1.350 dollari, che starà benissimo insieme al cestino della carta straccia da 7.750 dollari, anch’esso in pelle (umana?).

Non può mancare la regina della fuffa per miliardari, Gwyneth Paltrow, che nella sua guida di Goop propone diverse sfiziosità, tra cui un copri-racchetta da tennis da 800 dollari.
Non credo esista un oggetto più «mangino brioche» di questo. E invece esiste, ci informa McClintock: nella lista di Goop troviamo anche un secchiello per la legna del camino da 695 dollari.

Tutto questo mi frustra enormemente, per lo stesso motivo per cui la notte mi rigiro nel letto pensando a come avranno fatto i Ferragnez a trovare quel tappeto che sembra gres porcellanato: sarei una ricca eccezionale, molto più brava di voi. Arrederei meglio le mie case, farei regali bellissimi.
È questa forse l’unica cosa che è cambiata davvero dal 2001: oltre a desiderare le cose per me stessa, ora vorrei soprattutto poter riempire di cose gli altri. E questo è il momento Dickens numero tre, in cui la protagonista incontra il fantasma del Natale futuro e realizza che anche quest’anno spenderà 150 euro in panettoni di Marchesi.

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